Gli ambientalisti hanno fatto errori, ma è sbagliato indicarli come colpevoli

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La svolta a destra in America ed Europa investe anche le politiche green. Quale futuro per partiti e movimenti ambientali? Rifiutare la propaganda reazionaria e capire le diverse responsabilità degli attori in campo, senza facili scorciatoie

Di fronte alla svolta reazionaria in Europa e America in molti hanno rimarcato le colpe della sinistra. Questa doverosa e giusta autoanalisi oggi investe anche la questione climatica e ambientale. Pur essendo un tema trasversale poiché tocca tutti, solo (alcuni) partiti e personaggi di sinistra hanno abbracciato la causa ambientale negli ultimi anni. La destra (americana ed europea) ha quindi manipolato la questione, facendo apparire il clima come un tema ideologico della sinistra che interessa solo i privilegiati. L’incapacità di mostrare l’interesse comune sottostante alle politiche green ha affossato il discorso pubblico, ora dirottato dalla furia trumpiana a favore del petrolio. Il che è paradossale poiché ci troviamo in un contesto in cui è evidente che la svolta green rappresenta anche il futuro tecnologico e industriale, di cui probabilmente trarrà vantaggio la Cina.

Il recente articolo di Gianfranco Pellegrino su queste pagine ha il merito di mostrare come il discorso reazionario ha investito tanto le politiche europee, quanto il movimento sociale climatico. La “demonizzazione dell’ambientalista radical chic” si nutre tanto dell’odio creato ad arte verso l’Europa, quanto di alcuni errori comunicativi e strategici del movimento climatico. Tuttavia, sebbene sia doveroso constatare questo fatto che molti percepiscono come reale, in questo contesto di recesso e caos discorsivo chi ha a cuore il problema ha il dovere di mantenere il sangue freddo e non farsi travolgere.

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In tal senso, segnalare l’errore strategico di Greta Thunberg (l’indossare la kefiah ha fatto sembrare la questione climatica un tema ideologico e di parte), mettendolo assieme allo scherno trumpiano verso il green deal europeo, non fa che dare per buona la manipolazione discorsiva reazionaria. Invece, abbiamo il dovere di non fare di tutta l’erba green un fascio poiché, anche in presenza di errori di ogni attore in gioco, le responsabilità sono diverse.

Sebbene la responsabilità primaria cada sui partiti e leader politici principali, che però non hanno usato il proprio potere per la causa, bisogna concentrarsi sulle responsabilità dei soggetti che, almeno a parole, hanno avuto a cuore la questione climatica: i movimenti, i partiti, la tecnocrazia europea. Negli ultimi anni i movimenti per la giustizia climatica hanno usato diverse tattiche anche radicali (come la disobbedienza civile e altre azioni simboliche eclatanti) per protestare contro l’inazione politica. Si può eccepire sull’efficacia di queste azioni – che non vogliono risolvere nulla, bensì solo scuotere le coscienze di fronte all’inazione della politica – ma non gli si può attribuire un peso significativo nell’attuale svolta a destra. La loro vera o presunta radicalità non è il vero problema, anche perché azioni analoghe o più dannose sono state fatte dagli agricoltori, con il beneplacito di destra e media mainstream.

I partiti green o vicini alla causa ambientale hanno responsabilità varie: di essere stati incapaci di crescere (ad esempio in Italia) o di essersi persi nelle difficoltà dei compromessi tipici dei grandi partiti (ad esempio in Germania). Invece, la tecnocrazia europea ha avuto la colpa di non provare a pensare soluzioni diverse dal repertorio standard Ue (regolamenti restrittivi e il fallimentare mercato dei crediti di carbonio), mentre gli altri grandi player (Usa e Cina) investivano direttamente su aziende e tecnologie.

Ciò che Pellegrino esplicitamente propone – che l’ambientalismo diventi un tema non divisivo – è giusto. Ma ciò che la sua analisi implicitamente suggerisce – che lo si possa raggiungere solo con una maggiore moderazione delle parti – è sbagliato perché concede troppo alla propaganda reazionaria che mette tutto in un calderone green. Cosa sarebbe un ipotetico movimento climatico moderato? Proteste pacifiche in piazza e cittadini responsabilmente green nel loro privato? Ma questo già lo abbiamo avuto e non ha certo impedito alla destra di inventare lo spettro dell’ambientalismo radicale.

Quindi nell’attuale disfatta non dobbiamo prendere per buona la manipolazione reazionaria e, pur riconoscendo errori a vario livello, dobbiamo riconoscere che le responsabilità sono diverse e commisurate al potere che i soggetti hanno: prendersela con i movimenti – che hanno ben poco potere – è in fondo una forma di consolazione deresponsabilizzante.

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