La cavalcata silenziosa di Totò

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L’assist delle opposizioni e l’inutile polemica della scuola di formazione. Così la Dc resiste ai detrattori

La scuola di formazione politica di Totò Cuffaro, che poi non è di Totò Cuffaro ma della DC (o ancor meglio di Carmelo Pace, capogruppo della Democrazia Cristiana all’Assemblea regionale), in questi giorni è diventata il centro di gravità permanente di una politica che non ha più nulla da dire né da legiferare. Mentre Cuffaro inaugurava la scuola citando De Gasperi, un paio di parlamentari dell’opposizione – invitati a presenziare di fronte agli allievi democristiani (insegnare ci sembra un po’ troppo) – hanno ribaltato la frittata: “Accettiamo a una condizione: che se ne possa parlar male”. Con garbo, hanno aggiunto. Così è nato un rimpallo di dichiarazioni, condito da qualche diretta Facebook che ci sta sempre bene, per capire chi ha sbagliato e perché. Pace ha prima revocato l’invito, poi ha revocato la revoca ma quelli non ci andranno comunque. Fine della storia.

Guadagnato un titoletto sui giornali, che male non fa, i deputati “insurrezionisti” potranno tornare nell’ombra. Il cuffarismo, o il “cuffaresimo” (come oggi preferisce chiamarlo il segretario nazionale della DC), continua ad essere un paradigma. “Per cuffarismo – ha detto il diretto interessato in un’intervista a ‘La Verità’ – si intendeva la capacità di quel Cuffaro, che oggi non c’è più, di occuparsi delle persone attraverso un do ut des, in cambio del voto. Il cuffaresimo, memore dall’umanesimo, è invece la capacità e la volontà della nuova Dc di ascoltare le persone e di farsi carico dei loro bisogni”. La Vardera e Di Paola non ci hanno creduto, forse neanche Cuffaro ci crede fino in fondo, ma la vita va avanti e la DC è una realtà consolidata del panorama politico siciliano. E Cuffaro è uno dei consiglieri più ascoltati dal presidente della Regione, di cui si dichiara “amico leale”.

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La Democrazia Cristiana rimane una forza attrattiva: l’appuntamento di Ribera, peraltro, è un’iniziativa meno sponsorizzata della Festa dell’Amicizia, sempre a Ribera, che da un paio d’anni a questa parte ha ripreso vigore (persino i Cugini di Campagna ci sono venuti). Superata la fase in cui ha resistito agli schizzi di fango e anche a chi non avrebbe voluto riammetterlo alla vita pubblica, Totò è riuscito a riconquistare spazio in maniera clamorosa. In primis coi voti di preferenza, poi con la sua grande influenza, la veracità, i vasuna, le gaffe (tipo “I am a drink”, goffa citazione di “I have a dream” di Martin Luther King). Si è preso tre consiglieri comunali e un assessore a Palermo, cinque deputati e due assessori alla Regione, ha allargato la schiera degli amministratori locali in giro per l’Isola, era a un passo dal chiudere una federazione con Forza Italia prima del rifiuto di Tajani e dell’avvento di Lombardo; e riesce ad essere baricentrico nelle decisioni assunte a Palazzo d’Orleans. Qualunque sia il tema (dalle nomine di sottogoverno alle spese in Finanziaria), la DC ha un peso specifico imponente e una rete di relazioni ottime (ad esempio, con la Lega di Sammartino).

Qualsiasi operazione “contro Cuffaro” – e questo quelli dell’opposizione lo sanno bene, a tal punto da apparire banali – gode della luce riflessa di un personaggio che non si è mai sottratto al palcoscenico della ribalta. Neppure dopo la scarcerazione da Rebibbia (doveva aveva scontato 5 anni per favoreggiamento) e il suo iniziale rifiuto della politica. Che poco per volta è divenuto richiamo, poi interesse e infine coinvolgimento. Ma quella fase è superata. Archiviata. Come il tentativo, nel 2018, di lasciarlo fuori da palazzo dei Normanni per un dibattito sulla condizione dei carcerati. La Sicilia e la politica si sono pian piano emancipate e, sulla scia dello stato di diritto, hanno concesso a Cuffaro di riappropriarsi della sua posizione pubblica, pur senza rivestire incarichi pubblici (decisione che spetta soltanto a lui).

Con il suo nuovo partito ha fatto strada, pur non riuscendo (non ancora) a sfondare nel resto d’Italia dove i veti incrociati sull’utilizzo del simbolo hanno prevalso. Puntualmente, però, Cuffaro torna vittima dei suoi detrattori e di alcune categorie di pensiero, quando alla vigilia di ogni elezione viene etichettato come “reprobo” o “reietto”. Eppure conferma di avere un seguito, come accaduto alle Europee: il suo candidato di bandiera Massimo Dell’Utri,, schierato nelle liste di Forza Italia grazie a un accordo con Noi Moderati (che ha fatto da garante con Tajani), ha ottenuto oltre 65 mila preferenze. Ha consentito agli azzurri di superare il 23 per cento e alla Chinnici, che ne aveva osteggiato la federazione col proprio partito, di accedere per la terza volta a Strasburgo.

Chi prova a scalciare o a umiliare la sua presenza, fin qui non ha fatto breccia nell’elettorato. E la corsa silenziosa di Totò si è rivelata più dirompente di tanti personaggi in cerca d’autore, che s’aggrappano al ricordo dei suoi cannoli per provare a brillare. Questa è, fin qui, è la storia. Poi ci sono le scelte, contingenti, che attraversano la politica. Che andrebbero scandagliate nel merito. Per capire se i due assessorati in dote alla DC – Cuffaro o non Cuffaro – riescano a produrre risultati (fra Schifani e il referente della Funzione pubblica, Andrea Messina, i rapporti ultimamente non sembrano così idilliaci); se le proposte che provengono da quel mondo – vedi la reintroduzione del voto diretto nelle ex province – siano ancora attuali; se un partito che si definisce “della speranza” possa ancora partecipare alla spartizione di mance o nomine a tavolino. Tutto è sindacabile. Ma senza scadere nel limbo della banalità, che non qualifica Cuffaro (non più) ma solo che gli dà addosso.





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