VACANZE IN MONTAGNA/ Per gli italiani relax e benessere contano più dello sport sulla neve

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Una vita in vacanza, forse no. Ma una vacanza anche se breve in montagna, sulla neve, è realtà per almeno otto milioni gli italiani nei primi tre mesi dell’anno, un dato leggermente in calo rispetto al 2024 e frutto soprattutto di una programmazione più tardiva, tendenza che si è consolidata in questi ultimi anni. Il dato emerge dal focus sulle vacanze in montagna tratto dall’Osservatorio Turismo Confcommercio realizzato per il primo trimestre 2025, in collaborazione con Swg.



Si tratta, appunto, di vacanze mordi e fuggi, con una durata massima di 4-5 giorni: solo il 10% di quanti prevedono di fare una vacanza in montagna ha programmato la classica settimana bianca. La spesa media pro capite è calcolata in circa 380 euro. Otto vacanzieri italiani su dieci resteranno esclusivamente entro i confini nazionali: Trentino e Alto Adige le più gettonate, con a ruota Valle d’Aosta e Piemonte, poi la Lombardia. Il 9% sceglierà la neve oltreconfine, soprattutto sui crinali alpini di Svizzera, Austria e Francia.

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Quanto alla struttura ricettiva scelta per il soggiorno per questo tipo di vacanza – si tratta soprattutto di viaggi di coppia (64%) o in famiglia (40%) – si andrà soprattutto in albergo, con il 14% che sceglierà comunque soluzioni tipiche del contesto montano come baite, chalet e rifugi. Ma cosa si farà sulla neve? Un terzo – sostiene Confcommercio – praticherà sport invernali, prevalentemente lo sci, ma la maggior parte delle persone ha come obiettivo il riposo (51%), le escursioni naturalistiche (46%), le degustazioni enogastronomiche (29%) e il relax in spa e centri benessere (25%). Una tendenza, quest’ultima, che ha profondamente modificato, negli anni, le caratteristiche dell’offerta di servizi turistici in montagna, rendendo i flussi meno dipendenti dalle condizioni dell’innevamento, incognita sempre più rilevante e difficile da controllare.



Proprio sul rapporto, spesso delicato, tra turismo e montagna, si sono recentemente registrati due casi limite: l’invasione di migliaia di vacanzieri mordi e fuggi a Roccaraso, che ha spinto le amministrazioni locali a correre a ripari, con contingentamento dei flussi e restrizioni varie; e lo spopolamento progressivo di vari piccoli centri montani, come Lizzola, Alta val Seriana, nel bergamasco, una piccola stazione sciistica che ha visto chiudere uno dopo l’altro praticamente tutti gli esercizi commerciali, e non potendo contare su particolari appeal sembra oggi destinata a un progressivo abbandono. Che potrebbe forse essere evitato con la realizzazione di un progetto che prevede la nascita di un nuovo comprensorio sciistico, collegando gli impianti di Lizzola con quelli di Colere, nella vicina val di Scalve. Progetto che però sembra essere bloccato per la levata di scudi di varie associazioni ambientaliste.

Due casi emblematici, e non gli unici, che testimoniano la difficoltà di conciliare il futuro anche economico delle terre alte a meno valore aggiunto con la necessità di preservare la sostenibilità ambientale dei territori. Da poco è stato pubblicato il documento finale elaborato dalla Rete della promozione del turismo sostenibile della Fondazione Dolomiti Unesco, che vuole suggerire linee guida adatte a comunicare la montagna. “Non solo la diffusione di buone pratiche e di una adeguata cultura di fruizione della montagna – sostiene Umberto Martini, docente di Economia e management all’Università di Trento, coordinatore del tavolo di lavoro -, ma anche la produzione di contenuti di comunicazione adeguati alla tutela dell’ambiente montano e alla promozione di comportamenti sostenibili e responsabili da parte dei frequentatori (anche in relazione alla sicurezza e all’incolumità personale), divengono obiettivi primari al fine di mantenere il più possibile l’equilibrio tra la fruizione turistica della montagna e la conservazione/valorizzazione delle risorse naturali, sociali e culturali che la animano e la rendono attrattiva, soprattutto per chi vive nei contesti urbanizzati a maggiore densità. Anche il tentativo di controllare la comunicazione generata da altri soggetti, soprattutto sui canali dei social media, diviene una necessità in tal senso, per evitare la diffusione di messaggi fuorvianti o semplicemente portatori di una visione della montagna incompatibile con la sua reale valorizzazione”.

“La fragilità intrinseca dell’ambiente montano – continua Martini – è messa sempre più a rischio non solo dall’aumento in sé dei flussi (e della conseguente necessità di servizi, strutture e infrastrutture), ma anche dalla inconsapevolezza dei nuovi frequentatori, spesso portatori di attese di servizi, bisogni e azioni lontane dall’essere sostenibili. Per queste ragioni, appare del tutto necessario che i soggetti istituzionali che sono delegati alla gestione del territorio, ed in particolare delle zone più fragili, intervengano nel cercare di arginare i modelli di fruizione della montagna più impattanti e aggressivi”.

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