Mi chiamo Christian e sono un esterno d’attacco della squadra Allievi under 17 della Folgore Segromigno. Gioco a pallone da 10 anni, e in questa stagione ho attraversato il momento più difficile della mia vita da calciatore, visto che prima di quest’anno non mi era mai capitato di incappare in un infortunio serio. E’ successo alla fine dell’estate, in un allenamento normalissimo: mi finisce una pallonata sulla gamba, e dopo la pallonata il ginocchio fa un movimento strano mandandomi kappaò. Nei primi giorni facevo fatica anche a camminare. Non c’era niente di rotto, e quindi ho commesso l’errore di sottovalutare il problema. Ogni due settimane ricominciavo ad allenarmi, e subito il ginocchio tornava gonfio e il dolore si ripresentava. E così altro stop, altra visita specialistica, altri soldi spesi dai miei genitori e altro nervoso per me. E’ brutto stare per mesi e mesi senza giocare a calcio, soprattutto se come nel mio caso il calcio è la tua più grande passione. E’ particolarmente brutto stare fuori quando vedi che la tua squadra è in grossa difficoltà (come la nostra Folgore quest’anno, penultima in classifica) e te vorresti dare una mano ai tuoi compagni ma non puoi. In questi mesi di convalescenza ho cercato comunque di fare la mia parte restando vicino alla squadra come tifoso: non mi sono perso nemmeno una partita; anche se infortunato, ho seguito da vicino i miei compagni sia in casa sia in trasferta. Il Segromigno per me non è solo la squadra in cui gioco ma anche la squadra del cuore, insieme alla Lucchese, perché è la squadra del mio territorio, del mio paese, con il campo sportivo a un chilometro e mezzo da casa mia. Nel Segromigno ci ho giocato negli anni delle elementari e ci sono tornato a giocare l’anno scorso, dopo una parentesi importante di 4 anni nel Marlia dove ho giocato la partita più bella della mia vita: una leggendaria vittoria per 4-3 contro il Valdottavo in cui io fui protagonista con due gol e un assist. Il mio ruolo, quello di ala, è un ruolo delicato, in cui per giocare bene devi riuscire a saltare l’uomo in velocità, per poi liberare lo spazio per accentrarti e tirare in porta. Come tutti gli esterni longilinei che vivono per il dribbling ho bisogno di essere in fiducia per cercare con convinzione di saltare l’uomo. Il mio punto debole dal punto di vista caratteriale è quello di farmi condizionare troppo dalle parole che sento dire intorno a me durante la partita. Patisco abbastanza il tifo-contro: noi ragazzi dovremmo imparare a tapparci le orecchie e pensare solo a quello che succede in campo, anche se non è facile perché a volte gli adulti a bordo campo non ci aiutano. Penso ai brutti episodi di tifo-contro e a volte pure di offese razziste che anche nel nostro calcio giovanile vedono protagonisti allenatori e tifosi. Bisognerebbe insegnare ai genitori a riflettere su cosa prova l’altra persona (che sia un giovane calciatore, un arbitro, un allenatore) quando gli arrivano certe critiche velenose o certe offese. Purtroppo la gente dice quelle parole perché neanche ci pensa, alle conseguenze e al dolore che quelle parole provocano nel destinatario. E invece dovrebbe pensarci, altrimenti si rischia di trasformare una festa di sport in un inferno.
Ci stiamo preparando alla prossima partita in casa con il Bientina che sarà una partita speciale: lo sarà per me, che finalmente dopo tanti mesi di stop ho finalmente ricominciato a giocare; e lo sarà anche per tutta la mia squadra che domenica oltre ai genitori avrà al suo fianco il tifo dei ragazzi ospiti del centro di accoglienza di Capannori, dove noi Allievi del Segromigno andiamo a passare i nostri giovedì pomeriggio. Sono una decina di ragazzi migranti minorenni da poco arrivati in Italia da paesi come Gambia, Guinea, Egitto o Pakistan, dopo viaggi pericolosissimi e illegali fatti a causa delle leggi europee che proibiscono agli abitanti poveri di questi paesi di prendere un aereo per cercare un futuro migliore in Italia, in Francia o in Germania. Sfidando questi divieti, questi ragazzi ce l’hanno fatta: e dopo aver attraversato deserti, mari e montagne e aver camminato per centinaia di chilometri sono arrivati a Capannori. Nel centro di accoglienza, organizzato come una famiglia (con due camere, cucina, bagno, salone e senza ambienti dispersivi e numeri troppo grandi) questi ragazzi sono seguiti da una squadra di giovani educatori. Gli stessi educatori che organizzano anche i pomeriggi in cui insieme ai ragazzi migranti della nostra età ci siamo anche noi Allievi del Segromigno: oggi pomeriggio insieme a due miei compagni di squadra c’ero anche io, al centro di accoglienza. Alcuni dei ragazzi che ho conosciuto sono arrivati in Italia solo da due mesi, e quindi stanno iniziando ora a imparare piano piano la nostra lingua. Per comunicare bisogna ingegnarsi: con Google traduttore, o con qualche parola di inglese, o a gesti. Gli educatori Leonardo e Mara mentre eravamo tutti radunati in salotto hanno srotolato sul tavolo un cartellone gigante lungo 3 metri, dove abbiamo disegnato e colorato tutti insieme di giallo e di rosso (i colori della nostra squadra) un incitamento per la Folgore scritto in tante lingue diverse. Questo striscione fatto in casa lo porteranno in campo domenica durante la nostra partita i ragazzi del centro di accoglienza che verranno a fare il tifo per noi. Qualcuno dei nostri nuovi amici oltre allo striscione porterà anche dei tamburi e delle percussioni per dare anche un po’ di ritmo alle nostre azioni d’attacco. Speriamo di regalare ai nostri tifosi speciali una vittoria, che fra l’altro servirebbe moltissimo anche alla nostra classifica. In ogni caso, al di là del risultato, una vittoria la festeggeremo comunque: quella del nostro stare insieme, di un tifo bello e non incattivito come quello di certi genitori; di una Capannori che sa fare squadra in tutti i sensi, cercando di dare il benvenuto e di far sentire a casa nella nostra festa di sport i ragazzi arrivati per ultimi e da molto lontano nella nostra amata Lucchesia.
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