Le esportazioni verso gli Usa valgono 10 miliardi. La preoccupazione maggiore è per il settore alimentare. Imprese sul chi vive. Malavolti (Confindustria): «Potrebbero pure trarre un vantaggio di competitività»
La guerra dei dazi innescata da Trump mette in allarme anche le aziende della regione, contando che gli Stati Uniti, dal 2024, hanno superato la Germania come primo mercato di destinazione dell’export, con un valore di oltre 10,5 miliardi di euro annui (12,5% sul totale). Un allarme alimentato dallo stato di incertezza (lo stesso che si è abbattuto sulle Borse) e dall’inevitabile impatto sull’inflazione, ma, in realtà — fa notare Alessandro Malavolti, delegato all’internazionalizzazione per Confindustria Emilia-Romagna — «per quanto deciso finora da Trump, e stando alle attuali minacce pronunciate nei confronti dell’Europa (si parla di un rialzo dei dazi in media attorno al 2,5% ) le nostre imprese potrebbero pure trarre un vantaggio di competitività». «Al momento — ribadisce — abbiamo tutti le antenne dritte. Questa nuova politica destabilizza. Però i dazi sul Messico (poi ritirati) sul Canada, e il dazio generale da 13% sulla Cina, fanno sì che come Europa siamo leggermente più competitivi». Sul vecchio continente pesano gli avvertimenti, ma gli industriali sono abbastanza convinti che il presidente Usa non vorrà chiudere tutte le frontiere commerciali. Non ne avrebbe l’interesse.
I settori in forte crescita
Guardando alle cifre, il settore che dall’Emilia-Romagna esporta di più negli Usa è la meccanica (3,4 miliardi euro, +122% negli ultimi 10 anni) poi ci sono i mezzi di trasporto (2,9 miliardi, +67%); ma quello che preoccupa maggiormente è l’alimentare (pur con un valore inferiore di export (805 milioni, +161%) perché è il comparto su cui si gioca un’antica guerra tra Usa e Francia. Volendo colpire i cugini d’oltralpe — è il ragionamento — si finirà per penalizzare tipologie di prodotti che abbiamo in comune che invece sono la forza dell’agroalimentare, come il Parmigiano Reggiano, i vini e l’ortofrutta della Romagna. Altri settori in forte crescita verso gli Stati Uniti sono: farmaceutica; prodotti chimici; apparecchi elettrici e metalli, ma se il «nemico» numero uno rimane la Cina, il quadro potrebbe virare a nostro favore. «Dividendo il mondo in macro regioni — spiega Malavolti — la produzione italiana o europea potrebbe diventare molto più importante per l’Europa stessa. C’è anche da dire che le aziende emiliano-romagnole hanno tantissime filiali estremamente produttive oltreoceano, circa 410. Si potrebbero dunque spostare un po’ di produzioni da una parte e dall’altra», tenendo anche conto che tra gli investimenti esteri sul nostro territorio, quelli americani sono al primo posto. Molte aziende, invece, stanno già scappando dalla Cina, e lì di filiali o stabilimenti emiliano-romagnoli attualmente se ne contano almeno 600: «È l’occasione per tornare a produrre in Europa». Produrre in Europa per il mercato europeo potrebbe quindi convenire anche alle stesse multinazionali americane.
Il timore di un’inflazione generalizzata
L’Italia, e soprattutto la nostra regione, — ragiona ancora Malavolti — «è molto più veloce ad adattarsi alle situazioni. È successo con il Covid e in altre crisi: riusciamo a muovere produzioni, muovere mercati e conquistarne di nuovi. Noi abbiamo mediamente aziende che riteniamo molto grandi, ma in realtà a livello mondiale sono piccole e molto più flessibili di qualunque multinazionale. La nostra eccellenza, poi, si fonda su competenze di nicchia. Sulla meccanica di precisione, ad esempio, siamo difficilmente sostituibili». Ma — avverte — una guerra commerciale, comunque si giochi, «non è positiva. Possiamo scegliere se esportare a Oriente o Occidente, abbiamo i nostri vantaggi ma se davvero la politica dei dazi verrà estesa, il primo pericolo sarà un’inflazione generalizzata», una mazzata per mondo produttivo e famiglie.
L’Emilia-Romagna e l’automotive
«Per come stanno adesso le cose, però, — torna a tranquillizzare — vedo molto più in difficoltà i grossi sistemi Paesi. Sono quelli che subiscono di più certe guerre commerciali, così come subiscono le aziende che hanno investito tanto nella produzione cinese a basso costo e ora devono rilocalizzare. Prendiamo ad esempio l’automotive: in Emilia-Romagna copre soprattutto il mercato del lusso, che normalmente è poco sensibili al prezzo. Se invece — e torniamo all’agroalimentare — 1 kg di pasta che costa 1 euro, arriva a costare 1,20 euro fa la differenza». In quanto all’inflazione sarà dunque inevitabile l’impennata a livello mondiale. «Poi dovrebbe assestarsi — prevede Malavolti —: è una tassa che purtroppo paghiamo tutti e paga soprattutto la fascia più bassa della popolazione». In conclusione, quanto deve temere la nostra economia? «Parlerei di lieve ottimismo — è la risposta — non vedo grossi rischi per i posti di lavoro, poi in realtà non so cosa succederà, è ancora tutto da vedere».
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