L’illusione del fossato, l’Intelligenza artificiale open-source demolisce il castello delle Big Tech

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Mentre società come Google e OpenAI impiegano mesi per rilasciare novità sui prodotti di Intelligenza artificiale, la community di sviluppatori indipendenti genera miglioramenti significativi in pochi giorni. Così si erode il monopolio dei colossi del settore. L’analisi di Matteo Flora nella nuova puntata della rubrica Tech Policy

Per anni, i giganti della tecnologia hanno costruito la propria narrazione attorno a un presunto vantaggio incolmabile nel campo dell’Intelligenza artificiale. Le loro risorse computazionali, i dataset proprietari e le squadre di ricerca d’élite rappresentavano, almeno sulla carta, un fossato invalicabile, un sistema di difesa capace di proteggere il loro dominio dalla concorrenza. Ma il recente documento trapelato da Google racconta una storia molto diversa: quel fossato non è mai esistito.

Non è un attacco ideologico contro le Big Tech, ma una constatazione tecnica. L’autore del documento, un ricercatore interno di Google, spiega come l’open-source non solo stia recuperando terreno rispetto ai modelli proprietari come GPT-4 e Gemini, ma lo stia facendo con una rapidità che sta rendendo sempre più irrilevanti i vantaggi di aziende come Google e OpenAI. Il problema non è tanto il valore assoluto dei modelli proprietari, quanto il ritmo con cui le alternative open-source stanno colmando il divario.

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E il paradosso più grande è che Google non è sola in questa crisi: OpenAI sta affrontando lo stesso problema. Mentre le due aziende si osservavano a vicenda, cercando di superarsi a colpi di modelli sempre più grandi e complessi, un terzo attore – l’open-source – ha silenziosamente preso il sopravvento.

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L’open-source sta divorando l’AI. Un’innovazione alla volta

Il punto cruciale del documento di Google è che l’open-source sta risolvendo problemi che le Big Tech considerano ancora sfide aperte. Alcuni esempi lo dimostrano chiaramente: oggi è possibile eseguire modelli linguistici avanzati su un semplice smartphone, personalizzare un’intelligenza artificiale su misura in poche ore con un normale laptop e generare modelli multimodali in tempi impensabili per i grandi laboratori di ricerca.

Tutto è cambiato quando, nel marzo 2023, Meta ha visto il proprio modello LLaMA finire nelle mani del pubblico. Sebbene la compagnia avesse inizialmente rilasciato solo il codice sorgente e non i pesi del modello, il leak ha aperto le porte a un’ondata di innovazione senza precedenti. In pochi giorni, sviluppatori indipendenti e ricercatori di tutto il mondo hanno iniziato a ottimizzare, adattare e migliorare il modello. In poche settimane, esistevano già versioni ottimizzate, finemente sintonizzate e capaci di raggiungere performance paragonabili a quelle dei modelli proprietari.

La velocità di questa evoluzione è sconcertante. Mentre le aziende come Google e OpenAI impiegano mesi per rilasciare nuove iterazioni dei loro modelli, la comunità open-source sta generando miglioramenti significativi nel giro di giorni. Il metodo di fine-tuning chiamato LoRA (Low-Rank Adaptation), ad esempio, permette di personalizzare modelli AI in poche ore con costi ridottissimi, democratizzando l’accesso alla tecnologia e rendendo superflua la necessità di infrastrutture da milioni di dollari. Il risultato? L’open-source sta erodendo il monopolio delle big tech più velocemente di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare.

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Il modello di business delle AI proprietarie è in crisi

L’AI non è solo una questione di ricerca e sviluppo, ma anche di sostenibilità economica. Google e OpenAI hanno basato il loro modello di business sulla vendita di API AI, contando sul fatto che la qualità dei loro modelli fosse abbastanza superiore da giustificare un abbonamento o un costo per token. Ma il documento di Google solleva un interrogativo chiave: chi pagherà per un modello chiuso quando esistono alternative gratuite, personalizzabili e di qualità comparabile?

L’open-source non solo sta riducendo il gap qualitativo, ma lo sta facendo in modo che modelli più piccoli, più veloci e più efficienti siano accessibili a chiunque. Se un’azienda può addestrare il proprio modello AI a una frazione del costo e senza le restrizioni imposte da OpenAI o Google, la necessità di acquistare servizi da queste aziende si riduce drasticamente. E qui entra in gioco il grande paradosso: l’unico vero vincitore, finora, sembra essere Meta.

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Mark Zuckerberg, Ceo di Meta

Meta, il beneficiario involontario della rivoluzione open-source

Il leak di LLaMA ha trasformato Meta nel protagonista involontario di un ecosistema AI open-source in continua espansione. Mentre Google e OpenAI tentano di mantenere il controllo sui loro modelli, la community sta costruendo l’AI del futuro su fondamenta che, ironicamente, derivano proprio da Meta.

Ciò significa che, nel lungo periodo, Meta potrebbe essere l’unica azienda in grado di beneficiare dell’innovazione open-source senza dover combattere contro di essa. Proprio come Google ha tratto vantaggio dalla sua strategia open con Android e Chrome, Meta potrebbe fare lo stesso con l’Intelligenza artificiale. Se il futuro dell’AI sarà open-source, chi possiede le basi su cui questo futuro si costruisce avrà un vantaggio strategico enorme.

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Il castello sta cadendo: cosa accadrà ora?

Il documento di Google non è solo una diagnosi dello stato attuale dell’AI, ma un avvertimento chiaro per le Big Tech: non è più possibile controllare l’evoluzione dell’Intelligenza artificiale. Il vecchio paradigma, in cui solo le aziende con i migliori ingegneri e i maggiori capitali potevano guidare l’innovazione, sta crollando di fronte alla forza collettiva della ricerca open-source.

Google e OpenAI ora si trovano davanti a un bivio. Possono tentare di difendere il loro castello con regolamentazioni più stringenti, modelli chiusi e politiche di accesso limitato, oppure possono aprirsi e partecipare attivamente alla rivoluzione open-source, accettando di non essere più le uniche protagoniste della storia. Ma una cosa è chiara: il fossato non esiste più. Era solo un’illusione. E mentre le Big Tech si interrogano sul futuro, la comunità open-source ha già iniziato ad assaltare il castello.





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