Export di armi, riparte l’iter del ddl che vuole cancellare la trasparenza

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Dopo quasi dieci mesi di stasi, riprende domani, giovedì 6 febbraio, presso le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera l’iter del disegno di legge di modifica della legge 185/90 sull’export di armi italiane. Una norma importante e storica che garantisce il controllo del Parlamento e dei cittadini su un comparto altamente critico e strategico, sia per gli impatti che le vendite di armi nei conflitti sia per i flussi finanziari privati che ne alimentano produzione ed export.

Le norme e le procedure che lo hanno regolato negli ultimi decenni sono state dunque di grande importanza e hanno ispirato anche le regolamentazioni internazionali. Ma se le modifiche alla legge già approvate dal Senato verranno confermate dalla Camera si avrà come conseguenza uno svuotamento della norma e delle sue prerogative più preziose.

Sono questi i motivi per cui (fin dalla presentazione del disegno di legge da parte del Governo, che anche al Senato ha imposto la propria posizione impedendo emendamenti migliorativi inizialmente presentati anche dalla maggioranza) un fronte molto ampio di organizzazioni della società civile si è mobilitato contro questa ipotesi. Attraverso una petizione pubblicadiverse analisi tecniche approfondite e proposte concrete messe all’attenzione del Parlamento durante alcune audizioni, la mobilitazione “Basta favori ai mercanti di armi” ha chiesto con forza di non peggiorare i meccanismi di autorizzazione e controllo sulle esportazioni di armi, mantenendo i presidi di trasparenza previsti della legge 185/90.

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Una posizione che viene ribadita alla vigilia del nuovo dibattito in Commissione, in vista del quale sottoponiamo ai Parlamentari coinvolti le nostre richieste, che si potrebbero realizzare concretamente approvando gli emendamenti al ddl già illustrati nei mesi scorsi:

  • Fare in modo che la reintroduzione del Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD), utile luogo di presa di responsabilità da parte della politica sulle questioni riguardanti l’export di armi, non si trasformi in un “via libera” preventivo a qualsiasi vendita di armi ma sia sempre bilanciato dall’analisi tecnica e informata degli uffici preposti presso la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero della Difesa.
  • Inserire nella norma nazionale un richiamo esplicito al Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty) – che non era presente nel testo originario della Legge 185/90 in quanto entrato in vigore solo nel 2014 – e ai suoi principi e criteri decisionali che hanno precedenza sulle leggi nazionali, con forza normativa maggiore di natura internazionale.
  • Migliorare la trasparenza complessiva sull’export di armi rendendo più completi e leggibili i dati della Relazione al Parlamento, in particolare contenendo indicazioni analitiche per tipi, quantità, valori monetari e Paesi destinatari delle armi autorizzate con esplicitazione del numero della Autorizzazione MAE (Maeci), gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla legge.
  • Impedire la cancellazione integrale della parte della Relazione annuale al Parlamento che riporta i dettagli dell’interazione tra banche e aziende militari.
  • Impedire l’eliminazione dell’Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento presso la Presidenza del Consiglio, unico che potrebbe avanzare pareri, informazioni e proposte per la riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa.
  • Reintrodurre la possibilità per il CISD di ricevere informazioni sul rispetto dei diritti umani anche da parte delle organizzazioni riconosciute dall’ONU e dall’Unione europea e da parte delle organizzazioni non governative riconosciute”.

La società civile che non vuole rassegnarsi al fatto che sia solo il profitto di pochi a dover guidare le scelte sull’export di armi, che ha invece importanti ripercussioni sulla politica estera e sui diritti umani. E continuerà a mobilitarsi (anche con azioni ed eventi nei prossimi giorni) per fermare lo svuotamento della legge 185/90 e, al contrario, chiedere un maggiore controllo sull’export di armi: «Fermiamo insieme gli affari armati irresponsabili che alimentano guerra e insicurezza».

Anche per questo è nato ZeroArmi, progetto è frutto della collaborazione tra Fondazione Finanza Etica e Rete Italiana Pace e Disarmo: il primo rapporto che misura con un approccio olistico i legami tra le banche italiane e l’industria delle armi. «Mentre mentre il Parlamento si appresta a stendere una pesante coltre di opacità sulla legge che obbliga il governo a regolare il commercio di armi secondo i principi “pacifisti” dell’art.11 della Costituzione e di tutte le convenzioni sul rispetto dei diritti umani a cui l’Italia ha aderito e di trasparenza – spiega Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica – la società civile italiana corre ai ripari ed elabora uno strumento per rendere più trasparente il coinvolgimento delle banche italiane nel settore».

«Finanziamo abbondantemente trasferimenti di armi italiane (sempre più precise ed efficaci, cioè devastanti) a Paesi di dubbia fede democratica, come nei casi di Egitto, Azerbaijan, Arabia Saudita, Turchia. Ma non sta bene dichiararlo pubblicamente, evidentemente. È quello che abbiamo visto lavorando al report ZeroArmi: banche leader nel finanziamento al settore che, invece di vantare questa leadership commerciale, tendevano a minimizzare», aggiunge Siliani.



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