La variabile Egitto nella matassa del Corno d’Africa

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L’avvicinamento fra Il Cairo e Mogadiscio – e i rischi per Addis Abeba – è uno degli elementi chiave per leggere il futuro della regione

06 Febbraio 2025

Articolo di Giuseppe Cavallini

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Tempo di lettura 4 minuti

A dipanare la matassa in cui sono aggrovigliati oggi i paesi del Corno d’Africa e dintorni ci si riuscirebbe, forse, attraverso una buona sfera di cristallo. Un ruolo crescente nella regione lo sta giocando certamente l’Egitto, benché non appartenga affatto ai paesi che formano il Corno d’Africa.

Il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty, in merito alla vasta regione dell’Africa orientale, ha avuto in settimana colloqui separati con le controparti di Gibuti e Sudan, focalizzati sulla sicurezza del Mar Rosso, sulla stabilità della Somalia e sulle relazioni bilaterali.

I colloqui con Gibuti e Sudan 

Nel suo incontro con Mahmoud Ali Youssouf, ministro degli Esteri di Gibuti, Abdelatty ha parlato del «collegamento dei porti egiziani con Gibuti e dell’espansione della cooperazione logistica», discutendo per l’appunto un piano per una zona logistica egiziana a Gibuti. Youssouf ha dichiarato che i due paesi «condividono preoccupazioni in materia di sicurezza», poiché sono posizionati rispettivamente alla porta settentrionale e meridionale del Mar Rosso. Ma hanno manifestato anche preoccupazione per la sicurezza della Somalia, ribadendo il loro sostegno alla sua «unità, stabilità e integrità territoriale».

Con il ministro degli Esteri sudanese Ali Al-Sadiq Ali, d’altro canto, Abdelatty ha voluto riaffermare che, in ragione dei legami storici tra i due paesi, l’Egitto è impegnato nel «ripristinare la stabilità e la pace, garantendo il rispetto per la sovranità, l’unità e l’integrità territoriale del Sudan». Il dirigente del governo non ha mancato di citare la necessità della sicurezza idrica, sottolineando «gli interessi condivisi di entrambe le nazioni, paesi a valle del fiume Nilo». Una dichiarazione che fa pensare alla tuttora irrisolta vertenza in corso tra Egitto ed Etiopia in merito alla grande Diga del Rinascimento etiope (GERD).

I rischi per Mogadiscio

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Quanto alla Somalia, destano preoccupazione i recenti incontri del presidente Hassan Sheikh Mohamud, in cerca di sostegno e di alleanze al Cairo e ad Asmara. Il timore è che il paese si possa ridurre a pedina nello scacchiere politico e agli interessi esterni per il Corno d’Africa, con implicazioni di vasta portata per la stabilità dell’Etiopia e della regione in generale.

Non per nulla i viaggi di Mohamud sono avvenuti nel contesto del crescente coinvolgimento dell’Egitto nel suo paese. Lo scorso agosto, peraltro, l’Egitto aveva firmato un patto di difesa con la Somalia per rafforzare la cooperazione militare e la sicurezza. E aveva inviato ufficiali militari ed equipaggiamenti pesanti a Mogadiscio come parte di un dispiegamento che, nell’ambito della Missione di transizione dell’Unione Africana in Somalia (AUSSOM), potrebbe arrivare a includere fino a 10mila unità militari egiziane. Il Cairo è infatti entrato a far parte della missione regionale lo scorso dicembre, nonostante le proteste di Addis Abeba. 

Analisti concordanti ritengono che in tal modo l’Egitto cerchi di stabilire un punto d’appoggio pericolosamente vicino ai confini dell’Etiopia, sfruttando la Somalia come base per un eventuale futuro conflitto contro Addis Abeba.

Le tensioni fra Addis Abeba e Il Cairo 

L’Etiopia, d’altro lato, oltre all’endemica situazione di instabilità in cui versa per le conseguenze della lunga guerra con il Tigray e per i perduranti conflitti tra esercito federale e milizie amhara e oromo, sa che dovrà fare i conti anche con l’Egitto, una volta che il Cairo consolidasse la sua presenza in Somalia.

Nelle sue più recenti dichiarazioni, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha assicurato ai paesi vicini che il coinvolgimento dell’Egitto nella missione di pace dell’AUSSOM in Somalia non rappresenta alcuna minaccia per la loro sovranità. Il capo di stato egiziano non è riuscito a evitare che le sue parole fossero accolte con scetticismo. Non solo da parte etiopica ma anche del Kenya, altro paese che per anni ha sostenuto con forza la fragile pace della Somalia nella sua lotta contro al-Shabaab e altri gruppi radicali islamici.

La Somalia, inoltre, deve vedersela al momento con un progressivo logoramento della struttura federale: due stati-regione hanno respinto apertamente una proposta di modifica della costituzione, percepita da varie parti come un tentativo da parte di Mohamud, di rafforzare la propria autorità per aprirsi la strada a un’estensione del suo mandato. Se le divisioni interne dovessero aggravarsi, secondo alcuni esperti di sicurezza, potrebbero tra l’altro favorire le organizzazioni estremiste islamiche.

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Una nuova variabile recentissima al riguardo è certamente l’uccisione di Abdihakim Dhoqob, importante leader dello Stato islamico in Somalia. Il leader islamista è rimasto ucciso in un raid aereo ordinato dal presidente statunitense Donald Trump. E va infine considerata la possibilità di un più consistente coinvolgimento della nuova amministrazione Usa in Somalia, soprattutto in merito allo status del Somaliland. Diversi esponenti della base conservatrice che sostiene il presidente sono infatti favorevoli al riconoscimento dello stato federale, auto proclamata repubblica indipendente dal 1991. 

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