Singolare, femminile ♀ #167: Lost Girls

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Su IWONDERFULL è arrivato l’inedito Vampira umanista cerca suicida consenziente di Ariane Louis-Seize, premiato alle Giornate degli autori 2023. Un coming of age che mescola horror, commedia romantica e umorismo nero. La guest Cristina Resa esplora per noi questa rilettura della figura della vampira: una rappresentazione della mostruosità femminile capace di uscire dai canoni e profondamente ancorata alla contemporaneità.

La mostruosità è da sempre uno strumento efficace per raccontare l’adolescenza: un’età di transizione e trasformazione, in cui il corpo cambia e il rapporto con le altre persone oscilla tra attrazione e distanza. L’adolescenza rappresenta una condizione del non-essere, in cui non si è più qualcosa, ma non si è ancora qualcos’altro. Uno stato di sospensione tra piani dell’esistenza caratterizzato da un’irrequietezza profonda, una sete di vita che è insieme desiderio e smarrimento, una fame di esperienze che si scontra con il senso di inadeguatezza. E tra tutte le creature mostruose, nessuna incarna questa liminalità meglio del vampiro.

Sasha (Sara Montpetit), la protagonista di Vampira umanista cerca suicida consenziente, esordio della regista e sceneggiatrice canadese Ariane Louis-Seize, vive i turbamenti di entrambe le situazioni. Come dice lo stesso titolo, è una giovane vampira e ha un problema non da poco: non riesce a concepire l’idea di uccidere le persone per nutrirsi del loro sangue. Un rifiuto profondo e talmente interiorizzato da avere una manifestazione fisica: a Sasha, infatti, non sono ancora usciti i canini. Quando sua madre e suo padre, nel tentativo di renderla indipendente, le tagliano l’approvvigionamento di sangue, Sasha incontra Paul (Félix-Antoine Bénard), un giovane che ha deciso di porre fine alla propria vita e che vede in lei un’opportunità per farlo in modo significativo. Il loro incontro si trasforma in un legame inaspettato, un’alleanza tra due solitudini speculari, un viaggio di scoperta reciproca, in cui la sete di Sasha non è solo fisica, ma esistenziale, quella di comprendere se stessa e di trovare il proprio “modo” di stare al mondo.

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Vampira umanista cerca suicida consenziente è un piccolo film che dialoga in maniera intelligente con la tradizione cinematografica del vampiro. In un certo senso, pur essendo estremamente differente per tono e temi, lo fa con una sensibilità affine a quella di A Girl Walks Home Alone at Night (2014) di Ana Lily Amirpour (vedi, sotto, Dall’archivio), opera da cui Ariane Louis-Seize trae ispirazione per alcuni aspetti nella caratterizzazione della sua protagonista. Entrambe le registe giocano con i generi e i linguaggi – commedia nera il primo, western metropolitano il secondo – rileggendo la figura della giovane vampira al di fuori degli stereotipi tradizionali e trasformandola in un simbolo di solitudine, desiderio e autodeterminazione. Le due protagoniste sono giovani donne sospese tra adolescenza e maturità, che devono fare i conti con il proprio potere e la propria fame. Vivono esistenze isolate, per ragioni diverse. Infine, entrambe, a proprio modo, si allontanano dai topoi legati alle figure vampiresche e sfidano la nozione di mostruoso femminile nella sua accezione classica – per intenderci, quella teorizzata da Barbara Creed in The Monstrous-Feminine (1993). Se tradizionalmente la vampira è associata a una sessualità predatoria e prorompente – dalla Carmilla di Le Fanu fino alle riletture della femme fatale – o alla figura della madre arcaica, minacciosa e divorante, Louis-Seize e Amirpour ne offrono una reinterpretazione più intima, introspettiva e legata alle relazioni interpersonali. In A Girl Walks Home Alone at Night la mostruosità diventa una forma di autodeterminazione per la ragazza senza nome interpretata da Sheila Vand, che si aggira da sola per le strade notturne di Bad City nutrendosi di coloro che incarnano la violenza patriarcale, mentre in Vampira umanista cerca suicida consenziente Sasha è chiamata a trovare, a sua volta, un modo per ripensare la natura della propria mostruosità e adattarla alla propria sensibilità.

L’abiezione – concetto centrale nella teoria del mostruoso e definita da Julia Kristeva come «​​ciò che turba l’identità, il sistema, l’ordine, che non rispetta confini, posizioni, regole» – si manifesta in modi interessanti nei due film. In A Girl Walks Home Alone at Night, abietti sono gli uomini dai comportamenti violenti e abusanti che abitano Bad City. Come scrive anche Barbara Creed in Return of the Monstrous-Feminine (2023), volume in cui la studiosa aggiorna il suo classico della critica femminista, «la ragazza non intraprende un viaggio nella notte buia dell’abiezione, ma ne vive quotidianamente l’orrore, come se avesse scoperto la sua verità e avesse già messo in atto “la resistenza tipica basilare” di Kristeva. Rappresenta sia la forza dell’abiezione sia i suoi limiti». La mostruosità della vampira di Amirpour non è, dunque, solo un atto di trasgressione, ma di giustizia sovversiva, una precisa risposta a un ordine sociale abietto. In questo contesto, il chador scuro indossato dalla ragazza la avvolge quasi come il mantello di una supereroina, consentendole sia di nascondersi nella notte, sia di rendersi una figura riconoscibile.

In Vampira umanista cerca suicida consenziente, l’abiezione si manifesta invece in modo più sottile, paradossale e, in un certo senso, figurato. Non è il bisogno di nutrirsi di sangue umano che la rende un’anomalia nel sistema sociale, ma il fatto che Sasha non voglia farlo. Non è l’atto di uccidere a renderla mostruosa, ma il rifiuto della propria natura predatoria, la sua indole che le rende impossibile adattarsi alla logica della sopraffazione. Se nella tradizione horror il mostro è un’entità che rompe un ordine, perché appunto differisce dalla norma, nel film di Louis-Seize l’elemento dirompente non è la violenza, ma l’empatia. In questo senso, il film offre una riflessione acuta sul concetto stesso di alterità e di identità in un mondo che esige conformismo, anche nella mostruosità. Sasha è un mostro non abbastanza mostro, una vampira con uno spiccato senso di umanità. Per questo, vive, come la vampira di A Girl Walks Home Alone at Night, una condizione di profonda solitudine, un’esperienza tutto sommato comune in una fase della vita transitoria come l’adolescenza o la giovinezza. Un periodo in cui si sente il bisogno di affermare la propria individualità, ma al tempo stesso si desidera disperatamente connettersi con altre persone in cui potersi riconoscere.

Ed ecco che, in entrambi i film, questi incontri arrivano: Sasha conosce Paul, adolescente che sta affrontando una profonda depressione, incapace di trovare il proprio posto in un mondo che gli appare indecifrabile e ostile; la vampira di A Girl Walks Home Alone at Night incontra Arash (Arash Marandi), ragazzo malinconico che si prende cura del padre tossicodipendente, anch’egli in cerca di una via di fuga da un mondo che lo opprime. Questi incontri spezzano l’isolamento delle protagoniste, permettendo loro di rispecchiarsi in persone che, come loro, si sentono aliene al proprio contesto. È interessante notare come, nelle due opere, il momento di riconoscimento dell’altra persona, l’elemento identitario che lega i personaggi in una sorta di alleanza esistenziale, avvenga attraverso la musica. In Vampira umanista cerca suicida consenziente, Paul, deciso a farsi mordere da Sasha, le chiede quale canzone ascolterebbe prima di morire. Lei sceglie un disco dalla sua collezione – Emotions di Brenda Lee – e fa partire il giradischi. L’inquadratura è frontale, simmetrica, i due personaggi guardano davanti a loro, scambiandosi occhiate dolci e impacciate. Un momento che non sfigurerebbe in una rom com indie. Diverso per tono ma simile per funzione è la sequenza di A Girl Walks Home Alone at Night in cui Arash e la vampira ascoltano insieme Death dei White Lies. Lei si avvicina, sembra sul punto di mordergli il collo, ma invece si stringe a lui. Un gesto che sovverte l’attesa e si trasforma in qualcos’altro: un contatto, un modo per instaurare un legame. Anche qui, la musica diventa un veicolo emotivo, un codice condiviso particolarmente sentito, che aiuta i personaggi a riconoscersi nelle proprie contraddizioni e a creare un ponte tra due solitudini.

«L’idea era quella di mettere insieme ispirazioni classiche con aspetti più contemporanei. Mi sono sempre piaciuti i coming of age indie con elementi drammatici e da commedia nera e volevo unire la figura di una giovane vampira a quella fase della vita in cui non sai ancora chi sei, ma hai troppi pensieri e non sai come affrontare le tante contraddizioni che hai dentro. Ho avuto un’illuminazione: immaginare una vampira umanista, che quindi non può negare nessuna parte di lei. Cerca di reprimere il proprio istinto vampiresco, ma deve trovare un modo per convivere con le sue contraddizioni interiori» ha raccontato Ariane Louis-Seize in questa intervista a “Fangoria”. Trovare un modo, trovarlo insieme per spezzare la solitudine, è dunque la chiave per comprendere il personaggio di Sasha. Nei coming of age si tende spesso a rappresentare le persone giovani come adulte in potenza, proiettate verso ciò che diventeranno. Vampira umanista cerca suicida consenziente, invece, si interroga su cosa significhi essere adesso, sul trovare il proprio spazio nel presente, su come accogliere le proprie contraddizioni. Lo fa senza eludere argomenti complessi e delicati, affrontando con sensibilità e un’ironia mai fuori luogo temi come il comportamento suicidario, la depressione giovanile e il fine vita, riuscendo a essere toccante e intelligente senza risultare stucchevole o ricattatorio. Soprattutto, seguendo le orme di A Girl Walks Home Alone at Night di Ana Lily Amirpour, seppur con un tono decisamente più leggero, minor complessità e atmosfere decisamente meno cupe, dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto la rappresentazione della mostruosità femminile possa essere sfaccettata, adattarsi a generi e linguaggi eterogenei e, al tempo stesso, mantenere intatta la propria incisività, riuscendo a raccontare il presente e a dialogare con pubblici specifici. CRISTINA RESA

Un altro esordio di una regista, un’altra vampira dai contorni inaspettati: è A Girl Walks Home Alone at Night di Ana Lily Amirpour, di cui vi parlavamo già tra i titoli inediti segnalati su Film Tv n. 16/2015. Vi riproponiamo quella recensione.

Le strade di Bad City, di notte, non sono raccomandabili per una giovane donna non accompagnata: i lampioni tagliano le ombre come strisce di droga letale, spacciatori rapaci si spostano col favore delle tenebre e al mattino corpi senza vita vengono ammucchiati in una fossa comune a cielo aperto. Avvolta nel chador, la protagonista senza nome dell’esordio nel lungometraggio di Ana Lily Amirpour appare come una vittima remissiva, ma nasconde un segreto: si sveglia al tramonto, scivola come un’ombra lungo i muri e, fingendosi preda, divora i suoi predatori azzannandoli con i canini da vampira. Finché, vagando in cerca del prossimo pasto, si imbatte in Dracula. O meglio, nel costume vampiresco indossato dal goffo Arash, un ragazzo che di spacciatori violenti, criminalità e soprusi non ne può più, e che nella silenziosa e letale fanciulla trova, ricambiato, un’inaspettata anima gemella. Amirpour, classe 1980, è nata in Inghilterra da genitori iraniani e vive negli Usa, ma il suo film – rivelazione del 2014 ai festival di Deauville, Sundance, Sitges e Roma – è interamente recitato in farsi: Bad City, una versione meno glamour (ma altrettanto stilizzata) della Sin City di Miller e Rodriguez, è stata creata nei sobborghi californiani ma evoca un Iran oppressivo e cupo, dove l’orizzonte dei giovani protagonisti non prevede gioia né libertà (tossicodipendenza, prostituzione e miseria sono le sole prospettive). La succhiasangue al centro della storia ha un codice etico rigido: uccide solo uomini, e quasi soltanto uomini che si sono comportati molto male con le donne. Il chador nero, lungo fino ai piedi, strumento di repressione dell’individualità e della sessualità femminile, diventa maschera da vendicatrice, ironico mantello per una donna-pipistrello che affonda i denti nel collo di chi non la rispetta. Quasi una supereroina, un’icona prelevata dall’immaginario a stelle e strisce (il film, prodotto dalla SpectreVision di Elijah Wood, batte bandiera americana) che si aggira a bordo di skateboard e a ritmo di pop persiano in un Iran inventato. Dando vita a un racconto di romanticismo al sangue che non nasconde i suoi punti di riferimento: da Jim Jarmusch a Leos Carax, Ana Lily Amirpour costruisce un boy meets girl tenero e cruento, mixando l’immaginario occidentale e quello mediorientale con la sfacciataggine del talento naturale. ILARIA FEOLE

  • Parte il 10 febbraio e prosegue fino al 30 aprile la rassegna organizzata dal comune di Napoli e da CSC – Cineteca nazionale per celebrare i 150 anni dalla nascita di Elvira Notari, la prima regista del cinema italiano. Tutte le informazioni qui.

  • Il regista francese Christophe Ruggia è stato riconosciuto colpevole di aggressione sessuale all’attrice Adèle Haenel, crimine avvenuto quando lei aveva tra i 12 e 14 anni. Ruggia è stato condannato a due anni di arresti domiciliari al termine di quello che è stato, a oggi, il processo più mediaticamente seguito del #MeToo francese, di cui vi avevamo parlato in questo numero della newsletter.

  • Anche quest’anno ai premi Grammy – “gli Oscar della musica” – si è assistito a un trionfo femminile: Beyoncé ha vinto (per la prima volta in carriera) la statuetta più ambita, Album of the Year, oltre a quelle (la vera sorpresa) per miglior album country, e per il duetto con Miley Cyrus. Chappell Roan è stata eletta miglior esordiente, e ne ha approfittato per chiedere all’industria discografica compensi equi e assicurazione sanitaria per tutti gli artisti; Doechii è la terza donna nella storia a vincere per il miglior disco rap; la brat Charli XCX ha dominato le categorie dance-elettronica, Sabrina Carpenter quelle pop, St. Vincent quelle rock-alternative, Samara Joy quelle jazz e Sierra Ferrell quelle roots-americana. L’elenco completo dei – tantissimi! – premi è qui.



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