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Attilio Barbieri

Gli ultimi trent’anni di Politica agricola comune dell’Unione europea, la Pac, hanno provocato danni incommensurabili. Ma è l’ultimo periodo ad aver provocato i guai peggiori. Da quando cioè le scelte fatte a Bruxelles si sono colorate dell’ambientalismo ideologico che ha trovato nell’ex vicepresidente della Commissione Ue, l’olandese Frans Timmermans, il massimo interprete. Negli ultimi giorni si sono susseguiti gli allarmi di alcune organizzazioni dei produttori, in concomitanza con l’apertura a Berlino della fiera Fruit Logistica, dedicata alla produzione di frutticole e orticole.

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«Con la Pac ideologica è a rischio il 60% della produzione agricola europea, il futuro del settore e la salute dei consumatori», afferma il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini. «Solo lo scorso anno le nostre cooperative hanno investito 1,9 miliardi di euro in sostenibilità», aggiunge Gardini, «i produttori agricoli e la cooperazione agroalimentare sono impegnati da decenni in progetti di agricoltura di precisione finalizzati a ridurre l’utilizzo di acqua e di chimica. Con i droni si interviene solo quando è necessario, ottimizzando l’utilizzo delle risorse. Un divieto indiscriminato di tutte le molecole avrebbe conseguenze devastanti perla produttività, perla transizione ecologica e perla sicurezza alimentare dei consumatori».

A fare il punto, sempre da Berlino, sulla raffica di divieti imposti dalla deriva ambientalista che ha dettato la linea della Ue negli ultimi due decenni, è il numero uno della federazione agricola di Confcooperative, Raffaele Drei. Dei 300 agrofarmaci a disposizione dei nostri agricoltori – erano 1.000 trent’anni fa – in Europa sono attualmente in fase di rinnovo delle autorizzazioni ben 200 sostanze attive utilizzate. E ci sono forti pressioni da parte delle lobby green per la loro revoca. «L’ortofrutta è il settore più esposto agli effetti dei cambiamenti climatici», spiega Drei, «per continuare a salvaguardare gli attuali livelli produttivi occorre una chiara inversione di tendenza rispetto al drastico calo delle sostanze attive autorizzate, indispensabili per la difesa delle colture.

La limitazione dei principi autorizzati ha visto in questi anni i nostri produttori nella impossibilità di contrastare le fitopatie causate dai cambiamenti climatici che hanno colpito gli alberi da frutta». I numeri snocciolati da Drei sono impressionanti. «Negli ultimi dieci anni», racconta, «una coltura come il kiwi, che è strategica anche sui mercati internazionali, si è dimezzata. Le pere sono passate dalle quasi 800mila tonnellate del 2015 al minimo storico di 184mila tonnellate del 2023. Da Berlino lanciamo la richiesta all’Europa di una moratoria di cinque anni sul processo di revoca dei principi attivi», rilancia il presidente di Fedagripesca Confcooperative.

 

 

Secondo un recente rapporto curato da Aretè per Agrofarma, oggi in Italia ci sono circa 300 sostanze attive approvate, che rappresentano il 75% in meno rispetto alle oltre 1.000 sostanze attive disponibili 30 anni fa. Non solo: dal 2014 a oggi il numero delle sostanze attive revocate ammonta a 82, di cui più del 70% veniva utilizzato proprio per la difesa di frutticole e orticole. E ancora più significativo è il fatto che soltanto l’1% degli agrofarmaci autorizzati prima del 2000 sia tuttora in uso in Italia: più dell’83% degli agrofarmaci sul mercato italiano è stato infatti approvato a partire dal 2011 in poi.
Ma se questo è il passato recente, il futuro prossimo rischia di essere ancora più punitivo per il settore. Sono circa 30 le sostanze attive a rischio revoca soltanto nel prossimo triennio e andranno a impattare su colture fondamentali per il nostro paese, come mele e pere, pesche, albicocche e susine, pomodori, kiwi, uva.

I guai in verità non finiscono qui. Mentre la nostra produzione frutticola crolla, a tutto vantaggio delle importazioni, c’è stato un boom degli allarmi alimentari segnalati dal sistema europeo Rasff. «Con l’aumento del 30% degli allarmi alimentari relativo alla frutta e alla verdura straniere occorre far valere il principio di reciprocità negli scambi commerciali, sia a livello comunitario che extra Ue, per tutelare la salute dei consumatori e l’attività degli agricoltori italiani dalla concorrenza sleale», spiega la Coldiretti. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Rasff diffusa in vista del salone Fruit Logistica di Berlino, il più importante appuntamento europeo per il settore. Il 38% degli “alert” lanciati dal Rasff riguarda frutta o verdura importate dalla Turchia.
Seguono l’Iran con il 13%, l’India e l’Egitto con il 9%, gli Stati Uniti con il 6%.

Negli ultimi quindici anni, segnala la Coldiretti, il frutteto Italia ha perso 200mila ettari, con la superficie coltivata a frutta e agrumi che è scesa per la prima volta sotto la soglia dei 500mila ettari. Come conseguenza della riduzione della superficie, si stima si siano persi per cessazione della coltivazione oltre 200 milioni di piante da frutto. Non va meglio il settore di ortaggi, legumi e patate, con una perdita di superficie coltivata stimata nello stesso periodo in altri 100mila ettari. Fra l’altro, come segnala sempre la confederazione guidata da Ettore Prandini, in Italia l’utilizzo di fitofarmaci, si è ridotto del 50% negli ultimi 30 anni. Siamo il Paese più virtuoso al mondo – aggiunge la Coldiretti – ma la rinuncia alle sostanze più efficaci ha ridotto il nostro il potenziale produttivo e l’Italia è passata da essere un paese esportatore ad avere un saldo in volumi negativo, importando più ortofrutta di quella esportata, anche per la mancanza di reciprocità delle regole con i paesi extra-Ue che possono contare su costi di produzione più bassi ed utilizzano pesticidi da noi vietati. Ma il problema riguarda anche i consumi. Negli ultimi cinque anni le famiglie italiane hanno tagliato gli acquisti di frutta di 21 chilogrammi, con un impatto pericoloso anche sulla salute. Se si aggiungono anche gli ortaggi il “conto” sale a 40 chili in meno, secondo l’analisi Coldiretti su dati Cso Italy.

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