Messaggi WhatsApp come prova del credito

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L’ordinanza n. 1254/2025 della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, depositata il 18 gennaio 2025, ha offerto nuovi spunti sulla valenza probatoria dei messaggi WhatsApp nel processo civile. Questo tema si inserisce nel più ampio dibattito sull’acquisizione delle prove nel rito di cognizione, dove la corretta gestione degli elementi probatori può risultare decisiva per l’esito del giudizio. Per un approfondimento su questi aspetti e sulle strategie difensive più efficaci, ti segnaliamo il volume “Rito di cognizione, impugnazioni ed esecuzione dopo il Correttivo Cartabia”, aggiornato con le ultime novità normative e giurisprudenziali. 

Trovi il testo integrale della sentenza qui ==> Cass., Sez. II Civ., ordinanza n. 1254/2025

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Il caso in esame

La vicenda trae origine da una controversia su un contratto d’opera per la fornitura e l’installazione di serramenti. Nel giudizio di primo grado, il Tribunale aveva accolto l’opposizione a un decreto ingiuntivo, ritenendo insufficiente la prova del credito. La Corte d’appello aveva, invece, riformato la decisione riconoscendo le pretese creditorie sulla base degli elementi probatori, tra cui la copia fotografica di un messaggio WhatsApp.

L’ingiunto, insoddisfatto della decisione, proponeva ricorso in Cassazione contestando, in particolare, l’utilizzo della copia fotografica del messaggio WhatsApp come prova, in quanto privo di certezza sull’autore.

I messaggi WhatsApp come prova documentale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso riconoscendo la valenza probatoria dei messaggi WhatsApp conservati nella memoria del telefono cellulare.

La Cassazione, in particolare, ha confermato che i messaggi WhatsApp rientrano nella categoria dei documenti informatici, equiparandoli alle e-mail. Essi rappresentano informazioni giuridicamente rilevanti e, in quanto tali, possono essere utilizzati come prova nel processo civile. Il loro valore probatorio, tuttavia, dipende da una rigorosa verifica sulla loro autenticità e sulla riconducibilità all’autore.

In particolare, la Corte ha chiarito che, affinché un messaggio WhatsApp possa costituire prova piena, è necessario dimostrare che esso provenga effettivamente dalla parte contro la quale è prodotto. Questa interpretazione è in linea con quanto previsto dall’articolo 633 c.p.c. in materia di tutela monitoria, a norma del quale, il giudice pronuncia l’ingiunzione di pagamento quando vi sia una prova scritta del diritto fatto valere. La disposizione, tuttavia, non specifica se tale prova debba essere esclusivamente cartacea o possa comprendere anche documenti digitali, lasciando così spazio all’interpretazione giurisprudenziale in merito all’utilizzabilità delle comunicazioni elettroniche.

La piena utilizzabilità degli screenshot dei messaggi WhatsApp 

Uno degli aspetti più rilevanti affrontati dalla Corte, poi, riguarda le modalità di acquisizione dei messaggi WhatsApp. L’ordinanza conferma che le riproduzioni fotografiche e gli screenshot delle conversazioni possono essere utilizzati nel processo civile (per avere una panoramica completa, anche in ambito penale, ti suggeriamo anche “Screenshot di messaggi WhatsApp e SMS come prova dei fatti e delle cose rappresentate”) e costituiscono prova documentale. La loro validità, tuttavia, dipende dalla possibilità di verificare la loro conformità all’originale e la loro riconducibilità all’autore.

Questa posizione è in linea con l’art. 2712 c.c., che disciplina le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche, stabilendo che esse fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne contesta la conformità. In altre parole, se la parte contro cui il messaggio è utilizzato non lo disconosce formalmente, lo screenshot assume valore probatorio senza necessità di ulteriori accertamenti.

Il ruolo del disconoscimento e la necessità di verifica

I giudici di legittimità hanno ribadito, inoltre, la distinzione tra utilizzabilità e attendibilità della prova. Se è vero che i messaggi WhatsApp possono essere utilizzati nel processo civile, è altrettanto vero che la loro efficacia probatoria dipende dal comportamento della parte contro cui vengono prodotti.

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Se la controparte non ne disconosce formalmente la conformità ai fatti rappresentati, la prova è pienamente valida. In caso contrario, chi intende far valere il messaggio deve dimostrarne l’autenticità, attraverso perizie informatiche, confronti con altre prove documentali o la conferma dell’autore della comunicazione.

Conclusioni

L’ordinanza n. 1254/2025 conferma, in definitiva, che i messaggi WhatsApp possono essere utilizzati come prove documentali, a patto che la loro provenienza e attendibilità siano verificate. Essi possono essere acquisiti mediante screenshot o riproduzione fotografica e rientrano tra le rappresentazioni meccaniche disciplinate dall’art. 2712 c.c., godendo di piena efficacia probatoria se non vengono espressamente disconosciuti.

Per gli avvocati e gli operatori del diritto, questa pronuncia sottolinea l’importanza di una corretta gestione delle prove digitali, sia nella fase di produzione che in quella di contestazione, per evitare che elementi potenzialmente decisivi vengano esclusi dal giudizio.

Per un approfondimento su questi aspetti e sulle strategie difensive più efficaci, ti segnaliamo il volume “Rito di cognizione, impugnazioni ed esecuzione dopo il Correttivo Cartabia”, aggiornato con le ultime novità normative e giurisprudenziali.


Rito di cognizione, impugnazioni ed esecuzione dopo il Correttivo Cartabia



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Aggiornato al decreto noto come Correttivo Cartabia (il D.Lgs. 31 ottobre 2024, n. 164), il volume approfondisce le particolarità del rito di cognizione, delle impugnazioni e delle esecuzioni alla luce degli ultimi interventi normativi. Oltre ad estendere le possibilità del deposito telematico obbligatorio, il decreto è intervenuto su diversi aspetti che il presente lavoro utilmente ripercorre passo passo: dall’intervento chiarificatore sull’introduzione della causa e i poteri del giudice prima dell’udienza ai nuovi requisiti della forma dell’appello e della notifica dell’impugnazione, dal titolo esecutivo anche in duplicato informatico all’indicazione nel precetto del giudice competente per l’esecuzione. Con schemi procedurali, tabella di raffronto della normativa e formule, il volume ha l’obiettivo di offrire un valido strumento operativo per i professionisti al fine di semplificare il lavoro di aggiornamento e approfondire alcuni aspetti della Riforma, come da ultimo aggiornata. 

ENRICO SIROTTI GAUDENZI
Avvocato cassazionista, si occupa di diritto civile, commerciale e finanziario e di diritto penale. Autore di numerose pubblicazioni, è mediatore civile e commerciale ai sensi del D.Lgs. 28/2010 e formatore accreditato dal Ministero di Giustizia con riferimento alla materia della mediazione. Esperto di strumenti alternativi di risoluzione delle controversie (ADR), in particolare inerenti il contenzioso con gli istituti di credito. Docente e coordinatore in corsi e convegni in tema di diritto bancario, finanziario e strumenti alternativi alla giustizia ordinaria

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