Pensione, perché bisogna pensarci già da giovani (anche se forse arriverà a 70 anni)

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Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


di
Enrico Marro

Siamo passati dal baby boom alla generazione Alpha, che non può fare a meno di domandarsi se la pensione la prenderà mai: ecco come prepararsi ai nuovi scenari

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Quest’anno la pensione minima sarà di 617 euro al mese, ha comunicato l’Inps. Appena 3 euro in più del 2023. Ma meglio di niente. Soprattutto considerando che l’integrazione al minimo è un istituto che non ci sarà per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 e  andrà in pensione con l’assegno interamente calcolato con il metodo contributivo, prendendo un importo commisurato ai contributi effettivamente versati durante tutta la vita lavorativa. Un motivo in più, per i giovani e per i relativamente giovani di pensare alla quiescenza. Non farlo è abbastanza naturale (è stato sempre così), ma  è un errore. Per il futuro, forse, più di quanto lo sia stato in passato, quando la vita era più lineare o, se volete, più monotona: dopo 30-40 anni dello stesso lavoro (ma anche meno, basti pensare ai baby pensionati), ecco la pensione solo un po’ più leggera dello stipendio. Il problema maggiore, per le vecchie generazioni, era al massimo quello di farsi riconoscere i contributi non versati in gioventù. Ma il sistema prevedeva appunto l’integrazione al minimo: quando i contributi non erano sufficienti a raggiungere una soglia di legge, lo Stato integrava la pensione fino a quel minimo (nel 2025 esso è stabilito in 616,67 euro al mese). 

Di generazione in generazione

Ma per chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995 l’integrazione al minimo non c’è più. Inoltre, è cambiata l’idea stessa di pensione. Sempre più spesso le persone fanno più lavori nell’arco della vita. E lo scenario demografico in cui questo avviene è profondamente diverso. Siamo passati dal baby boom alla generazione Alpha, che non può fare a meno di domandarsi se la pensione la prenderà mai. Se le generazioni del Dopoguerra hanno visto crescere e consolidarsi lo Stato sociale, sono almeno trent’anni che i loro figli e nipoti fanno i conti con i tagli al Welfare, in particolare alle pensioni, imposti dalla necessità di mettere un freno al debito pubblico. Basti pensare che, secondo l’ultimo rapporto della Ragioneria generale dello Stato (giugno 2024) solo dalle riforme dal 2004 in poi si sono ottenuti risparmi «pari a oltre 60 punti percentuali di Pil, cumulati al 2060», cioè circa 1.200 miliardi di euro, quasi 21 miliardi e mezzo in media ogni anno.




















































Il «tasso di sostituzione netto»

Il risultato, dice ancora la Ragioneria, è che il «tasso di sostituzione netto» per un dipendente privato scende dall’82,7% del 2010 al 66,3% del 2070. Significa che, mentre chi è andato in pensione nel 2010 ha preso un assegno pari in media all’82,7% dell’ultima retribuzione netta, chi vi andrà nel 2070 prenderà, a parità di lavoro svolto, solo il 66,3%. Proprio in previsione di questo impoverimento della pensione pubblica, sempre nei primi anni Novanta, fu introdotta la previdenza integrativa, ovvero la pensione privata che i lavoratori avrebbero potuto costruirsi versando una contribuzione aggiuntiva ai fondi. Ma finora vi hanno aderito solo 9,8 milioni di persone, cioè meno del 40% della forza lavoro, e tra gli under 35 gli iscritti sono appena il 27%: forse non ci pensano o spesso non hanno un lavoro continuativo e retribuzioni tali da poter versare altri contributi oltre quelli dovuti all’Inps. O forse si sentono tranquilli, essendo questa la generazione che si prepara a ricevere in eredità un patrimonio senza precedenti.

Pensione più leggera e in ritardo

La pensione, dunque, si alleggerirà. Ma arriverà anche più tardi. Prima della riforma Amato del 1992, gli uomini andavano in pensione di vecchiaia a 60 anni e le donne a 55 e si poteva andare in pensione di anzianità con 35 anni di contributi a qualsiasi età, senza parlare dei baby pensionati nel pubblico impiego che potevano lasciare dopo appena 19 anni e mezzo di servizio (14 anni e mezzo le donne). Nel 2025 per andare in pensione di vecchiaia ci vogliono invece 67 anni d’età e 20 di contributi, senza distinzione tra uomini e donne, mentre per la pensione anticipata indipendentemente dall’età servono 42 anni e 10 mesi di contributi per i lavoratori e un anno in meno per le lavoratrici. E tutti questi requisiti, secondo la legge, dovrebbero subire un nuovo adeguamento, dal primo gennaio 2027, alla speranza di vita media rilevata dall’Istat. Che ha già annunciato che lo scatto dovrebbe essere di tre mesi in più. E altri due o tre mesi dovrebbero scattare dal primo gennaio 2029. Questo significa che tra due anni servirebbero 67 anni e tre mesi per andare in pensione di vecchiaia mentre per lasciare il lavoro in anticipo sarebbero necessari 43 anni e un mese di contributi.

Polemiche sul simulatore online

Aumenti dei requisiti, questi, determinati dal sistema che li lega appunto alla speranza di vita introdotto nel 2009 dal governo Berlusconi. Da allora, con la parentesi causata dal Covid, c’è stato un continuo incremento e, secondo le ultime previsioni dell’Istat, nel 2051 si arriverà a 69 anni e mezzo d’età per poter andare in pensione di vecchiaia e a circa 45 anni di versamenti per lasciare il lavoro in anticipo. Ma intanto non è detto che l’adeguamento nel 2027 ci sarà, vista la bufera scoppiata qualche settimana fa, quando la Cgil ha denunciato che l’Inps, sul suo simulatore online della pensione, aveva già incorporato i tre mesi in più, nonostante questi non siano stati ancora formalmente decisi dal governo. Il giorno dopo, l’istituto ha dovuto far marcia indietro e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, colui al quale la legge assegna il compito di firmare il relativo decreto, ha detto di essere contrario. Restano intanto ancora diversi canali per anticipare il pensionamento (Quota 103, Opzione donna, Ape sociale) ma molti sono stati fortemente ristretti dalle decisioni prese dal governo Meloni già con la manovra per il 2024. 

Cosa prevede la legge di bilancio 2025

È vero che i lavoratori che hanno cominciato dopo il 31 dicembre 1995 (sistema contributivo) possono andare in pensione tre anni pima, cioè a 64 anni d’età con 20 di contributi ma solo se hanno maturato un importo pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale, cioè 1.616 euro nel 2025, limite che scende a 2,8 volte (1.508 euro) per le donne con un figlio e a 2,6 volte (1.400 euro) per quelle con due figli. Per raggiungere queste soglie la legge di Bilancio 2025 ha previsto la possibilità di sommare all’importo maturato presso l’Inps la rendita eventualmente maturata presso il fondo pensione, ma in tal caso il requisito dei contributi salirà da 20 a 25 anni. Inoltre, dal 2030 e per tutti la soglia d’importo salirà a 3,2 volte l’assegno sociale. Alla fine, secondo le previsioni dello stesso governo, la platea di coloro che andranno in pensione a 64 anni si amplierà di pochissimo: appena un centinaio di lavoratori in più quest’anno e 600 nel 2034. Chi sta nel contributivo e non potrà accedere al pensionamento tre anni prima dovrà aspettare appunto i normali requisiti (oggi 67 anni d’età e 20 di contributi) a patto però di aver maturato un assegno pari ad almeno l’assegno sociale (538 euro al mese nel 2025) altrimenti dovrà aspettare di compiere 71 anni (in questo caso saranno sufficienti 5 anni di contributi). 

I dubbi dei giovani

Come rispondere allora ai giovani che con un motivato scetticismo si chiedono se loro in pensione ci andranno mai? Che sì, salvo catastrofi al momento imprevedibili, ci andranno. Ma sempre più tardi perché la durata media della vita si allunga ed è fondamentale mantenere un equilibrio tra la durata della vita lavorativa e quella della vita in pensione (nel 1990, in Italia, gli uomini vivevano in media 73,9 anni e le donne 80,2; nel 2023 gli uomini sono saliti a 81,1 anni e le donne a 85,2). E che l’importo dell’assegno pubblico sarà, in genere, sensibilmente inferiore a quello dell’ultima retribuzione. Per avere una buona pensione diventa quindi ancora più importante avere un buon lavoro. Perciò occorre pensarci subito.

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7 febbraio 2025 ( modifica il 7 febbraio 2025 | 09:17)

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