Il regime impatriati può essere fruito anche in situazioni di modifica del rapporto di lavoro, da dipendente (estero), ad autonomo, al momento del rientro in Italia. Questo, naturalmente, a condizione che vengano rispettati i requisiti minimi di residenza all’estero. In questo scenario, i lavoratori autonomi impatriato devono verificare la residenza fiscale estera (anche in assenza di AIRE) con un periodo maggiorato se fatturano, anche non in mono committenza, all’ex datore di lavoro estero.
Questo è quanto chiarito dalla Circolare n. 22/E/25 dell’Agenzia delle Entrate. Si tratta, a tutti gli effetti, di un’interpretazione rigida rispetto al periodo estero di residenza triennale, destinata agli autonomi impatriati che rientrano fatturando al datore di lavoro estero. Tuttavia, come avremo modo di vedere di seguito, questa interpretazione desta qualche perplessità.
Residenza estera pregressa maggiorata per l’impatriato autonomo che fattura al datore estero
La modifica il rapporto di lavoro, da dipendente ad autonomo, al momento del rientro in Italia, è una possibilità diffusa nel movimento transazionale dei lavoratori. Oltre alla prosecuzione come dipendente, del contratto di lavoro estero, il lavoratore ha la possibilità di fatturare al precedente datore di lavoro non residente.
La posizione tenuta dall’Agenzia, in questa casistica, è stata restrittiva. Lo svolgimento di attività di lavoro autonomo per conto dell’ex azienda datrice di lavoro estera, richiede un periodo di residenza fuori dall’Italia di almeno sei o sette anni, a seconda dei casi. Questo principio si applica anche ai lavoratori autonomi, indipendentemente dalla tipologia contrattuale con il committente estero.
In particolare, l’art. 5, co. 1, lett. b) del D.Lgs. n. 209/2023 disciplina le condizioni per accedere alle agevolazioni fiscali e prevede un’estensione del requisito temporale (di residenza estera pregressa) nei seguenti casi:
- Se il lavoratore non ha mai prestato attività in Italia per l’ex datore di lavoro o per una società dello stesso gruppo, il periodo minimo di residenza estera è di sei anni;
- Se invece il lavoratore, prima del trasferimento all’estero, aveva già lavorato in Italia per lo stesso soggetto o per un’azienda del gruppo, il requisito sale a sette anni.
La disposizione normativa in commento, secondo le Entrate, non specificando la tipologia contrattuale che intercorre tra i soggetti. Pertanto, in tutti i casi in cui vi siano prestazioni (di lavoro dipendente o autonomo) a favore dell’ex datore di lavoro estero, il periodo di residenza estera deve essere quello maggiorato a sei o sette anni (a seconda dei casi). Questa interpretazione, prende in considerazione tutte le casistiche, anche dove non vi è mono committenza, non prendendo in considerazione il più mite criterio della prevalenza.
Il caso specifico e l’interpretazione restrittiva
L’interpello in commento esamina il caso di una cittadina francese che aveva lavorato in Italia fino a marzo 2018 prima di trasferirsi in Svizzera, dove ha svolto attività subordinata fino ad agosto 2024. Tornata in Italia, ha firmato un contratto di consulenza con la stessa società svizzera, che rappresenta l’unico suo committente.
Nonostante la continuità del rapporto, l’Agenzia ha confermato l’accesso alle agevolazioni solo perché la contribuente ha maturato sei anni di residenza all’estero. Tuttavia, ha sottolineato che il requisito temporale minimo resta di sei o sette anni quando il professionista fornisce servizi al precedente datore, anche in forma autonoma.
Possibili criticità e impatti per i lavoratori autonomi
L’impostazione dell’Agenzia deve essere attentamente valutata da tutti i lavoratori, sia quelli già rientrati (in applicazione del D.Lgs. n. 209/23), sia quelli in procinto di rientro. Vediamo, di seguito, le possibili casistiche.
Impatriati autonomi già rientrati
Per i primi, particolare attenzione deve prestarla chi è rientrato avendo meno di sei (o sette) anni di residenza estera, in quanto rischia di perdere l’accesso alle agevolazioni se fattura anche solo parzialmente, per l’ex datore di lavoro. Le alternative, di fatto, si riducono a:
- Escludere del tutto l’ex datore di lavoro dal proprio portafoglio clienti;
- Rinunciare al regime agevolato (dalla pubblicazione della circolare);
- Accettare un potenziale rischio di contenzioso con l’Amministrazione finanziaria, in caso di controlli.
Si tratta di valutazioni da prendere con attenzione e da valutare anche in relazione al possibile impatto reddituale ed agli scenari che potrebbero venirsi a creare in contenzioso in futuro.
Impatriati autonomi in procinto di rientrare
Il lavoratore in procinto di rientro in Italia che sta valutando di operare come autonomo fatturando all’ex datore di lavoro estero deve prestare attenzione. In questo scenario, come abbiamo visto, l’Amministrazione finanziaria richiede almeno 6 o 7 anni di residenza fiscale estera (a seconda dei casi). Rientrano in questa casistica tutti i lavoratore che emettono una fattura verso l’ex datore estero, non rilevando il “peso” sul fatturato, ed eventuali situazioni di mono committenza.
L’elemento su cui si basa l’interpretazione rigida dell’interpello è legata al fatto che la norma non specifica alcuna tipologia contrattuale. Pertanto, i termini maggiorati di residenza estera devono intendersi riferibili sia ai lavoratori dipendenti che agli autonomi. L’aspetto sui cui, questa interpretazione potrebbe non “tenere” in un eventuale contenzioso è il riferimento al termine “impiego“, solitamente riferibile al lavoro dipendente (e non anche a quello autonomo). Tuttavia, occorrerà attendere gli esiti dei primi contenziosi (ci vorrà ancora qualche anno), per capire se la giurisprudenza sarà dello stesso avviso. Nel frattempo, chi deciderà di non attenersi a questo chiarimento deve attendersi la contestazione del regime agevolato in sede di accertamento.
Iscrizione AIRE per la residenza estera non indispensabile
Un ulteriore elemento di chiarimento è arrivato in merito all’AIRE. Le annualità di residenza estera possono essere confermate dal contribuente, anche in assenza di iscrizione AIRE. Infatti, la norma richiede che il contribuente non sia stato fiscalmente residente in Italia nei nei tre (sei o sette) anni precedenti il rientro. Pertanto, l’iscrizione all’AIRE non è un requisito esplicitamente previsto. Tuttavia, il contribuente deve essere in grado di dimostrare la propria effettiva residenza all’estero tramite documentazione idonea, anche in relazione a quanto previsto dalle Convezioni in essere con l’Italia.
Al fine di poter valutare al meglio la propria situazione e la possibilità di dimostrare la residenza estera in assenza di AIRE, è fondamentale l’analisi della propria situazione con l’ausilio di un Dottore commercialista esperto.
Consulenza fiscale online regime impatriati
La posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate introduce un’interpretazione stringente del regime impatriati, creando ostacoli per chi mantiene relazioni con l’ex datore di lavoro estero. La questione potrebbe presto sfociare in contenziosi, soprattutto per i liberi professionisti che non hanno ancora chiara l’applicazione della normativa. Se hai dubbi o desideri analizzare la tua situazione personale in relazione all’agevolazione, contattami per una consulenza fiscale online personalizzata.
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