ecco cosa si nasconde dietro “l’aggressività” di Trump

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Gli Usa hanno dinanzi a sé un compito troppo grande. È questo che si disvela dietro il sipario dell’aggressività neo-imperialistica di Trump. Il crollo dell’Urss e la rapida rinascita della potenza russa, sotto la specie di un capitalismo oligarchico aggressivo, in forme diverse dal capitalismo monopolistico di Stato sovietico, ha completamente disorientato la direzione politica nordamericana, instabile, divisa e divisiva più di quanto si creda o si vuole far credere, ma pur sempre nelle mani di un pugno di imprese sempre meno industriali e sempre più dominate da quella finanza che Hyman Minsky descrisse da par suo.



Questa sorta di capitalismo finanziarizzato all’estremo è sempre minacciata dalla caduta tendenziale del saggio di profitto, a cui si risponde con la finanza, le stock options e il riarmo. Ma questa rincorsa all’unipolarismo – sotto la pressione immensa di un compito impossibile da assolvere in solitudine – ha reso il compito nordamericano di continuare a dominare il mondo sempre più denso di incognite e sempre più difficile.

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L’emersione irreversibile della Cina – di contro e nel mentre – sul fronte indo-pacifico è stata via via quella di una potenza non negoziabile, più aggressiva che mai perché protesa a divenire (com’era nel XV secolo), potenza talassocratica e dominatrice dell’Artico, sotto la guida di una frazione dell’antica classe di rivoluzionari che si sono trasformati in mandarini post-confuciani sempre in lotta tra loro. Soprattutto oggi, sotto la coperta ferrea di Xi Jinping, che nasconde ma non elimina la lotta incessante per il potere, la determinazione militare è evidente e fortissima.



Gli Usa non hanno saputo affrontare il compito a cui la storia mondiale li ha costretti dopo la Seconda guerra mondiale. Terminata con la vittoria schiacciante, ma penosissima nell’Indo-pacifico, in Europa gli Usa dovettero confrontarsi, invece, con la vittoria militare dei russi a cui essi stessi contribuirono in primis. Stalin arrivò solo a Berlino e decise d’imperio della struttura di potere del continente, che si è ricomposta solo poche decenni orsono in forme asimmetriche: sotto il segno della democrazia a livello nazionale; sotto la cuspide di un costrutto oligarchico-tecnocratico a livello continentale, denominato Ue, che sottrae potenza agli Stati nazionali senza crescere in potenza su scala mondiale, creando un continuo indebolimento della democrazia e del capitalismo continentale europeo.

Questo costrutto, ossia l’Unione Europea, aveva scelto l’alleanza strategica con la Russia, dominato militarmente ed economicamente com’era, in forma congiunta, dalla Francia e soprattutto dalla Germania; Germania che nel contempo era ed è altresì divenuta la principale concorrente degli Usa nelle relazioni con la Cina.

La politica di potenza cinese ha profondamente disorientato gli Usa quando la questione energetica è esplosa, dal Grande Medio Oriente all’Eurasia per via della potenza militare russa che aggrediva l’Ucraina. Un arco bellico che ha mandato in frantumi il gioco instabile di alleanze europeo-russe che doveva sostenere gli Usa nel confronto sempre più indispensabile con una Cina via via più aggressiva. Dimostrazione di ciò è stato l’attacco del nazionalismo genocidario palestinese, ordito dalla Cina e dall’Iran (dopo lo stupefacente, e tragico per ingenuità diplomatica, accordo della cosiddetta “via del cotone” del G20 di pochi mesi prima) contro Israele, con il pogrom del 7 ottobre 2023.

Come fu prima della Prima guerra mondiale, i nazionalismi sono utilizzati dalle grandi potenze per infuocare le praterie.

La scelta di Trump, vittorioso nelle elezioni nordamericane per ragioni profondamente radicate nella storia culturale degli Usa (investiti da una crisi di cosmopolitismo nichilista delle sue classi dirigenti senza pari e che passa sotto il nome di cultura woke), deriva in primo luogo non dalla situazione mondiale, ma dalla situazione interna degli Usa, sempre dominati culturalmente dagli europei (via università private ad alto costo e permeate dai woke’s mores sopra evocati) e soprattutto dalla cultura francese decostruttivista foucaultiana-derridaniana che distruggerà la civilizzazione giudaico-cristiana.

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Si tratta una trasformazione molto profonda, che pone in discussione la volontà stessa di continuarla, quella civilizzazione, da parte dei gruppi dirigenti europeo-statunitensi. E a cui le milizie trumpiane si oppongono con fenomenologie sociali e politiche di massa, assai simili a quelle della crisi europea degli anni Trenta, in Germania e in Francia in primo luogo.

Trump altro non è che la manifestazione emblematica della ribellione che una parte della classe oligarchica egemonizzante e insieme rappresentante i fermenti delle classi povere e deracinées, rende espressivamente evidente. Lo rende evidente con stili da rotocalco tipo Grand Hotel a ogni livello della struttura sociale e politica Usa, ingigantendo in tal mondo il dominio oligarchico tardo-capitalistico proteso al dominio mondiale in forme che iniziano essere analizzate con dovizia di studi e di argomentazioni, purtroppo solo patrimonio di gruppi sempre meno numerosi di intellettuali (una specie umana, questa, che si avvia alla scomparsa da specie non protetta).

Il neo-jingoismo militaresco nazionalistico (Make America Great Again) e neo-monroniano trumpiano è una nuova fase del processo di consolidamento del complesso militar-industriale finanziario ad alta tecnologia, derivante dalle conquiste spaziali, vere e presunte, che ci attendono.

Un mondo sempre più tragico e sempre più interessante.

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