Trump, Musk e i nuovi mostri che seppelliscono il ciclo liberale

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Sono dentro quella guerra a pezzi, permanente e mondiale che la politica aveva ignorato per poi salire sul suo carro di morte fino a espellere dalla scena ogni umanesimo, laico o religioso

Qui di seguito ampi stralci dell’articolo di Fausto Bertinotti pubblicato sulla rivista “Alternative per il socialismo”

Un quarto di secolo: 2000-2025. Inizia e finisce il quarto secolo liberale in Occidente. Il suo fallimento lascia il terreno coperto di macerie nelle quali prende corpo un nuovo ciclo capitalistico o un nuovo capitalismo. Il suo brodo di cultura è una crisi di civiltà. La fine dell’Occidente, tante volte annunciata, ora bussa alle sue porte. Dopo la fine del ‘900 è già il suo tempo. Il quarto di secolo liberale ha finito di consumarlo. La sua rovinosa conclusione si apre a un passaggio drammatico verso un altro mondo che sembra configurarsi come quello segnato da una regressione di civiltà.

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Se la fine del ‘900 ci ha interrogato sulla sorte della rivoluzione e del proletariato, la fine del ciclo liberale, sebbene in sé assai meno rilevante, sembra parlarci della crisi della democrazia politica e, persino, della modernità. Il grande balzo all’indietro. Il ciclo liberale è fallito e, scavando nelle sue macerie, il nuovo protagonista dalla smisurata ambizione totalitaria, il capitalismo tecno-finanziario, si fa strada nel disordine e nell’incertezza di tutte le relazioni mondiali, come di quelle economico-sociali, come nel rapporto produzione, consumo e natura, dove l’individuo mercantile vorrebbe prendere il posto della persona.

Il panorama è invaso da quei mostri del tempo del crepuscolo che Antonio Gramsci aveva già intravisto. Sono quella “guerra a pezzi”, eppure permanente e mondiale, che solo il Pontefice aveva denunciato e che la politica aveva ignorato per poi salire sul suo carro di morte fino a espellere dalla sfera della politica ogni umanesimo, laico o religioso che fosse, per sostituirlo con la coppia amico-nemico. Sono i nuovi mostri, la rinascita degli imperi e la logica di potenza, fenomeni che avvolgono le competizioni tecno-economiche e le nuove forme di colonialismo, sono i fenomeni che accompagnano la sfida per la guida del mondo tra gli Usa e la Cina, in uno spazio nel quale si moltiplicano le linee di faglia, i conflitti e le rivolte in quel disordine politico-statuale che smentisce tutte le promesse della globalizzazione capitalista.

Dalla fine del ciclo liberale che ne aveva accompagnato la crescita, emergono nuove potenze ignote alla modernità e nemiche della modernità stessa. Sono soggetti totalmente sottratti a qualsiasi controllo, non dico democratico ma, semplicemente statuale, che dominano il mercato finanziario, come i fondi sovrani dagli immensi patrimoni e dall’inestricabile intreccio tra quelli più potenti. Sono potenze tecno-finanziarie che si muovono nel mondo alla conquista non solo dell’economia ma anche della scienza, della tecnica, dell’informazione, della comunicazione e persino dello spazio. Ieri la conquista dello spazio animava la competizione tra le due grandi potenze politiche, Usa e Urss, oggi quella tra Musk e Bezos. La stessa competizione tra gli Usa e la Cina sarà sempre di più segnata dai nuovi Principi tecno-finanziari. La fine dell’Occidente e la sconfitta storica della modernità lasceranno sul campo una politica statuale reazionaria o un nuovo soggetto eversivo. È sembrato accorgersene un reazionario delle correnti più radicali degli Usa, Steve Bannon, quando, riferendosi al fenomeno Musk, ha parlato, appropriatamente, di tecno-feudalesimo. I nuovi mostri seppelliscono il ciclo liberale mentre ambiscono a farlo nei confronti della modernità e della politica. Del ciclo liberale resta soltanto il neoliberismo che, salvo brevi periodi, si è applicato solo contro il lavoro e contro lo stato sociale.

Il ciclo liberale, abbattuto da destra, lascia in eredità il rovesciamento del conflitto di classe, problema capitale a cui dovrebbero applicarsi prioritariamente coloro che, avversi al ciclo precedente (e sconfitti), dovrebbero costruire l’opposizione più radicale e di sistema a quello che si sta aprendo per non soccombervi. Il ciclo liberale ha fallito proprio coltivando quella diseguaglianza sociale che lo ha corroso dall’interno. Esso ha strisciato sulla presunta fine della storia e sulla presunzione di essere senza alternativa ma, deprivato di intelligenza politica, è andato verso la sua fine, senza avvedersene. L’intelligenza di futuro poteva affermarsi solo con il successo dei due movimenti di massa e internazionali che volevano affrontare criticamente quella globalizzazione capitalista che invece, vincente, è stata la base materiale del ciclo liberale.

Il movimento altermondista che contestava il modello economico, sociale e ambientale della globalizzazione capitalista, ha denunciato l’incompatibilità del capitalismo finanziario globale con la democrazia. Ha avuto ragione, ma non ha saputo costruire la forza per farla valere. Il più grande movimento pacifista del nostro tempo ha avuto ragione nell’indicare nella spirale guerra-terrorismo-guerra la fondazione della guerra permanente, ma non ha saputo farla vivere proprio quando i conflitti armati hanno invaso il mondo e distrutto umanità e vita. Ha perso chi aveva ragione. Ma chi politicamente ha vinto, aderendo alla grande ristrutturazione capitalista, perinde ac cadaver, e su questa base materiale, di classe, ha costituito il ciclo che ha dato vita al quarto di secolo liberale in Occidente e, specificamente in Europa, si è a sua volta condannato alla rovina.

Soffocata, e poi negata, la contraddizione esterna non ha saputo leggere e affrontare la contraddizione interna. Il primato attribuito alla stabilità politica e alla governabilità ha contribuito a separare la società politica dalla società civile, le istituzioni dal popolo. La crisi sociale, la dilatazione abnorme delle diseguaglianze hanno destrutturato il tessuto connettivo del paese reale, hanno sconnesso le soggettività. L’eclisse dell’alternativa di società ha fatto il buio. E il buio ha invaso anche la testa delle classi dirigenti. Già tra il 2020 e il 2021, altrimenti, si sarebbe potuto vedere l’errore di fondo nella previsione di Fukuyama del 1992. Non c’era nessuna fine della storia. Al contrario, la vittoria del capitalismo, l’affermazione della globalizzazione, il trionfo delle liberaldemocrazie risultavano già scosse dall’interno.

Nel 2000 esplode la bolla dei titoli tecnologici: fine dell’euforia. L’11 settembre del 2001, un atto terroristico scuote il cuore della potenza imperiale e rivela la fragilità dell’intera costruzione mondiale o almeno avrebbe dovuto farlo. Nel 2008, come una bomba, esplode una crisi finanziaria nel privato statunitense che poi diventa una crisi nell’intero mondo finanziario e che viene tradotta in Europa in crisi del debito pubblico. Ancora una volta, uno smacco riesce a mostrare la forza del capitalismo nell’uscire da una crisi, ma alla condizione di generare altre crisi. La soluzione temporanea viene trovata ancora una volta nella politica, nelle relazioni sociali. Attraverso il controllo del debito si afferma la supremazia del vincolo esterno (la competitività delle merci) sul vincolo interno (il bisogno delle popolazioni), del profitto sul salario.

Il ciclo liberale è andato verso la sua sconfitta proprio attraverso la sua vittoria politica. Il primato del vincolo esterno esporta la crisi nella società che, a sua volta, investe la democrazia. La sovrapposizione a essa di un assetto oligarchico e tecnocratico a cui si sono conformate tutte le forze politiche che si sono candidate a governare in Europa non riesce più a tenere il coperchio sulla pentola. Senza più una sinistra di classe e di popolo, prendono corpo i mostri del crepuscolo. Populismi di destra e potenze tecno-finanziarie uniti o in competizione – vedremo – invadono il campo. Possono essere contrastati solo andando alla radice di quel problema che si chiama capitalismo, ora in campo nella sua ultima versione. Il conflitto e la costruzione di soggettività critica sono ancora le radici della contesa. La sinistra politica che le ha ignorate in Occidente in tutto il ciclo liberale si è condannata all’irrilevanza.

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Nel nuovo terribile tempo di questo nascente capitalismo essa può rinascere solo da questo “ricominciare daccapo”. Il politicismo è stato una grave e rovinosa deriva, ieri; sarebbe solo una grottesca e inutile maschera della politica, domani. Cambia la mappa del potere nel mondo e cambia il rapporto tra economia e politica, tra l’economia e lo stato. Un terzo delle 500 maggiori imprese sono nelle mani di 10 fondi finanziari. Due di essi, BlackRock e Vanguard, gestiscono un valore pari a un quinto del Pil mondiale. I cinque Big Five dell’Hi-Tech sono una concentrazione tecno-scientifico-finanziaria che parla del nuovo Principe. Da una sua costola nasce quel Musk che invade la politica per condurla fuori dalla modernità trainata da un’internazionale nera. La sfida è radicale e radicale deve essere l’alternativa di società per chi voglia affrontare la contesa. Nella cassetta degli attrezzi, da lavorare per rinnovarli, si devono ritrovare, adesso, di nuovo, il conflitto sociale e il socialismo.



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