Visualizzazioni: 32
Càpita, talvolta, di trovare cose che pensavamo sepolte nel passato.
Càpita soprattutto se come me vivete in un disordine costante. No, non pensate a sporcizia e incuranza. Direi piuttosto entropia creativa.
L’ho trovata questa mattina tra le pieghe del materasso del divano letto nel soggiorno. Non lo aprivo da molto tempo. Oggi, chissà perché, ho deciso di farlo. Forse per vedere se il meccanismo fosse ancora efficiente. A cosa potrà servirmi ormai? Forse sarebbe il caso di disfarmene e sostituirlo con due poltrone.
Una bustina di figurine, quelle con gli animali. Vuota, ma non sgualcita. Aperta sul lato superiore appena sotto i lembi incollati. Non tagliata con le forbici, ma strappata con precisione da quelle piccole dita.
Ricordo le figurine dei tempi della mia gioventù, quelle con cui si giocava lanciandole contro un muro, dando loro la forma approssimativa di un’ala in modo che andassero più lontano. Qualcuno di noi le utilizzava anche per lo scopo per cui erano state realizzate: incollarle su un album che una volta completato veniva dimenticato in un cassetto in attesa di essere sostituito da quello del nuovo anno. La raccolta delle figurine era un modo per socializzare: gli scambi, le sfide, l’apertura delle bustine in gruppo per vedere se fosse presente quella rara…
Poso la bustina vuota sul tavolo e mi metto alla ricerca dell’album. C’è di sicuro, non abbiamo buttato via nulla. Apro quasi senza pensarci il baule dei ricordi.
Eccolo.
Accarezzo con le dita la copertina lucida. Non riesco a distogliere lo sguardo da quel nome scritto in stampatello nel riquadro in basso a destra, sotto la dicitura: “Album di:”
Sei lettere scritte con il pennarello giallo, il colore che amava di più perché le ricordava la vecchia Cinquecento del nonno.
Inizio a sfogliare le pagine. La carta è più ruvida e dà una sensazione piacevole sotto i polpastrelli. Le figurine incollate, invece, sono lisce, lucide come la copertina. Un bel contrasto, penso. Giro una pagina dopo l’altra, lentamente… L’ultima è un pugno nello stomaco. Quattro parole anche queste scritte in stampatello con il pennarello giallo.
“Grazie mamma e papà.”
Non le ricordavo, ma leggerle mi riporta alla mente le piccole cose che inventavo per vederla ridere, per vedere i suoi occhi che si illuminavano.
No, per lei le figurine non erano un momento di socialità o di scambio con gli amici. A quell’età, nei pomeriggi dopo la scuola, era normale che alcuni bambini e bambine si ritrovassero a casa dell’uno o dell’altro. Anche noi avevamo organizzato pomeriggi di giochi con i compagni di classe, ma non era stato facile. Qualcuno di loro non si presentava, altri venivano perché i loro genitori li costringevano, altri ancora avrebbero voluto esserci, ma i genitori trovavano per loro altri impegni più importanti.
Speravo che non se ne accorgesse, purtroppo sapevo che non era così. Lei fingeva di non farci caso, noi fingevamo di non vedere la sua delusione. Ma quando tutti andavano via i suoi occhi tornavano a illuminarsi.
Per lei le figurine erano una parte importante della vita.
“Grazie mamma e papà…”
Non voglio smettere di sfogliare l’album. È completo: tutti gli spazi sono stati riempiti con le figurine di animali. La precisione è assoluta, tutte le immagini occupano perfettamente il proprio spazio… Tranne una, se non ricordo male è nelle pagine centrali. Eccola! Non è perfettamente centrata nel suo riquadro, un leggerissimo scostamento che era stato difficile da accettare. Mi ero impegnato a cercare una soluzione e alla fine l’avevo trovata invocando le Muse delle Arti e raccontando l’album come pezzo unico, la piccola imperfezione intenzionale nella precisione assoluta di tutto il resto dell’opera.
Anche completare la raccolta non era stato facile, come potete immaginare: via via che l’album si riempiva diventava sempre più complicato trovare le figurine mancanti. Passavo quasi tutte le sere all’edicola sotto casa, ma ogni volta, dentro le bustine, c’erano solo doppioni. Non ne faceva una tragedia, affatto! Ma io vedevo quella leggera ombra di tristezza quando neppure nell’ultima bustina c’erano le figurine giuste, quelle che potevano riempire gli spazi vuoti.
A qualcuno potrà sembrare eccessivo, ma se non potevo fare nulla per i problemi più importanti, almeno su questo avrei potuto intervenire. Così mi ero rivolto direttamente all’editore per avere quelle poche figurine. Pensavo di fare un pacchetto con la carta da regalo gialla e darglielo una sera, dopo cena, nel momento più bello di tutte le nostre giornate.
No… non lo accetterà così, avevo pensato.
Il rito dell’apertura delle bustine, la meraviglia davanti a quelle piccole fotografie dai mille colori, la speranza di trovare la figurina mancante (almeno su quello avevamo ancora speranza…)
Così ero passato ancora in edicola a comperare tutte le bustine che c’erano quel giorno. Una ventina, se non ricordo male. Ne avevo aperte alcune, scollando i due lembi e incollandoli nuovamente dopo aver sostituito una delle figurine con quella giusta.
“Grazie mamma e papà.”
Mi soffermo ancora su queste parole. Chiudo gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Nel buio dietro le palpebre compare il suo viso, lo stupore dei suoi occhi quando, aprendo una bustina, aveva trovato l’ultima figurina. Come se il tempo non fosse passato percepisco il tremore delle piccole mani mentre toglieva la protezione dal retro del piccolo rettangolo di carta e la precisione con cui lo incollava sull’ultimo spazio vuoto dell’album.
Si era accorta del mio trucco? Forse. Anzi, ne sono quasi certo. Ma la felicità, le risate, gli abbracci… Era tutto vero, uno degli ultimi momenti davvero spensierati.
Mi tocco la guancia destra. Ricordo che l’avevo fatto anche allora per scoprire che era bagnata a causa dei suoi baci.
«Ma cosa fai: sbavi?» avevo detto. E avevamo riso tutti insieme.
È umida anche adesso, ma il motivo è diverso.
Decido di uscire. Camminare un po’ mi farà bene, anche se fa freddo.
Penso che passerò dall’edicola a comperare qualche bustina di figurine. Spero abbiano quelle con gli animali.
Gliele porterò domani. Le lascerò là finché il sole e la pioggia non le rovineranno. Oppure finché il vento non le porterà via, come fa con le foglie morte.
Allora ne porterò altre.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link