Trasferta vietata ai tifosi della Roma, passo avanti dello “Stato di polizia”

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Oggi pomeriggio, alle ore 12:30, si svolgerà allo Stadio Penzo di Venezia la partita tra i padroni di casa del Venezia e la Roma, valevole per la 24ª giornata di Serie A.

Come sempre più spesso accade, il Prefetto della città ha disposto solo giovedì il divieto di seguire la propria squadra in trasferta ai tifosi romanisti residenti nel Lazio, creando grande disagio a chi aveva organizzato da tempo, incastrando spesa, treni, lavoro, famiglia ecc., il viaggio in Veneto.

Tale divieto, espresso all’ultimo secondo, aveva già colpito i tifosi giallorossi a dicembre per la partita di Como e successivamente per quella di Udine, con cui la “Curva Sud” ha stretto negli anni rapporti di amicizia. Quest’ultima alla fine fu permessa per via delle falsità, dimostrate anche con l’aiuto della società, che erano state portate a fondamento del divieto.

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Tuttavia, nella fattispecie di Venezia la novità principale risiede nel fatto che, per l’occasione, il divieto di acquisto dei biglietti è stato esteso anche ai residenti nelle province proprio di Udine e Pordenone.

Questo “allargamento del divieto” è stato determinato dal Comitato di Analisi per la Sicurezza delle Manifestazioni Sportive, l’organo istituito nel 2008 dopo il caso Raciti, e condivisa con il Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica.

Le motivazioni appaiono particolarmente pretestuose. Si va dalla storica rivalità tra le tifoseria veneziana e romanista; al possibile ruolo giocato da quella udinese al fianco degli ultras giallorossi (in contraddizione aperta con il divieto per la trasferta di Udine); fino alla struttura “morfologica” della città che, in pieno Carnevale, non permetterebbe di garantire l’ordine pubblico. 

In realtà, l’ennesima mannaia calata sul tifo organizzato è l’ultimo ritrovato per continuare a sperimentare sull’ambiente stadio quello che dopo potrà essere applicato contro qualsiasi voce del dissenso organizzato in società, come è stato per il passaggio dal “daspo” al “daspo urbano”, e in ultimo al “daspo fuori contesto“.

Più che uno strumento di sicurezza, il dispositivo inoltrato è un processo alle intenzioni – con autocratica sentenza – basato inoltre su prove presunte o inventate. La rivalità tra romanisti e veneziane non va oltre i canoni di quello che si vede tutte le domeniche in molti campi; il blocco dei tifosi friulani è fuori di ogni logica anche solo securitaria, visto che le distanze non hanno mai impedito ai gruppi organizzati di seguire la loro squadra, né si è mai vietata una trasferta per triangolazioni di amicizie tra le varie tifoserie. Se così fosse, il numero di quelle a rischio salirebbe enormemente…

In questo contesto, l’iniziale divieto per i romanisti di andare a Udine  esprimeva un intento repressivo maturato a priori (non è giustificabile vietare l’incontro tra due tifoserie amiche per motivi di sicurezza), su cui questo “allargamento” appare allora come un aggiornamento più digeribile all’opinione pubblica e meno attaccabile giuridicamente.

In ultimo, richiamare alla morfologia della città rimanda agli studi del Prefetto Haussmann, che voleva rendere Parigi urbanisticamente inadeguata alle attività dei gruppi ribelli che volevano rovesciare l’ordine costituito. Siamo tornati addirittura al 1800… anche se quelle misure, comunque, non impedirono alla Comune di Parigi di insorgere.

La realtà è che la narrazione delle curve come “centro pulsante della criminalità” è funzionale alla repressione generalizzata di quello che avviene nei quartieri e nei settori popolari, di cui le curve ne sono una rappresentazione, con tutte le contraddizioni e le difficoltà che questo si porta dietro.

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La criminalizzazione del tifo organizzato è da sempre un ambito di sperimentazione della repressione della voce del dissenso in tutta la società, non solo di chi va allo stadio.

L’obiettivo è colpire le voci contrarie a chi governa, che nello stadio potrebbero trovare terreno fertile di riconoscimento e unione, essendo uno degli ultimi ambiti di massa rimasti in questa società frammentata e individualista.

Più che un fallimento dello Stato, tutto questo sembra un passo in avanti nella costruzione dello Stato di polizia in cui da qualche anno ormai sta mutando quel poco che rimane della Repubblica.

Lo sport è di chi lo vive, così come la terra o il prodotto dalle fabbriche era (ed è) di chi ci lavorava. È bene che questi concetti tornino a essere patrimonio anche del movimento ultras, prima che gli stadi vengano trasformati in silenti teatri per ricchi.

Leggi anche:

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– © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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