Carmelo Canale e le risposte non pervenute

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Nel precedente articolo, scritto a seguito dell’audizione del Tenente Colonnello Carmelo Canale in Commissione antimafia, presieduta dalla presidente Chiara Colosimo, avevo ritenuto opportuno formulare quelle domande che a mio modesto avviso non erano state poste al teste.

Non che pretendessi o mi illudessi che l’ex ufficiale dei Carabinieri rispondesse alle mie domande, ma poiché su Facebook – con profili più o meno falsi – alcuni utenti del social si erano sperticati nell’attribuire al dossier mafia-appalti il movente delle stragi del ’92, così come ha fatto Canale in Commissione,  speravo che soggetti così vicini all’ex ufficiale – così come si evince dai commenti – volessero chiarire alcuni miei dubbi.

Non è accaduto.

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Per dovere di informazione nei confronti dei lettori mi assumo quindi l’onere della risposta alle domande che avevo formulato.

Il senatore Scarpinato aveva chiesto a Canale se ricordasse di avere detto, prima alla procura di Caltanissetta, in un verbale del 13 novembre 2012, e poi all’udienza del 6 maggio 2013 nel Borsellino quater, che Borsellino non aveva mai manifestato alcun interesse per l’indagine mafia appalti.

Stando alla stessa dichiarazione di Canale, parrebbe di sì.

Nel maggio e giugno del 1993, il G.U.P. presso il Tribunale di Palermo, disponeva il rinvio a processo di più soggetti (cd processo Alagna + 30, conclusosi in primo grado con sentenza emessa il 26/05/95) per rispondere per reati di associazione per delinquere semplice, di tipo mafioso, finalizzato al traffico di stupefacenti. Nessuno degli imputati era accusato per vicende legate al mondo degli appalti.

Tra i testimoni che permisero di incardinare quel procedimento, quattro erano quelli a cui lo stesso Canale ha fatto riferimento nel corso della sua audizione in Commissione antimafia: Vincenzo Calcara, Rosario Spatola, Giacoma Filippello e Elisabetta Grimaldi.  Dei quattro collaboratori sentiti dal carabiniere, nessuno mai rilasciò dichiarazioni in merito agli appalti.

Lo Spatola iniziò a collaborare con Borsellino, autoaccusandosi di reati relativi allo spaccio di sostanze stupefacenti.

Anche la Filippello, dopo l’uccisione del suo compagno, Natale l’Ala, iniziò a collaborare con Borsellino.

Paolo Borsellino

Borsellino nel ’91 dinanzi al Csm dichiarò non solo che probabilmente lo Spatola non era inserito in ‘Cosa Nostra’, ma che era venuto a conoscenza che lo Spatola e la Filippello – testi nello stesso procedimento – venivano fatti incontrare, e che le loro dichiarazioni poi collimavano perfettamente.

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Questo, oltre a mettere in discussione l’attendibilità dei due testi, lasciava presupporre ci fosse il rischio di dichiarazioni concordate anche di altri collaboranti.

Il 6 giugno 1992, Elisabetta Grimaldi, sentita a sommarie informazioni dai carabinieri dichiara di aver sentito  dire che dovevano uccidere Borsellino, confermando così dichiarazioni del ’91, rispetto le quali l’allora maresciallo Canale era stato portato a conoscenza da quella che era allora la sua confidente.

La conversazione era avvenuta all’interno di un bar tra spacciatori locali, disturbati dall’attività dell’allora procuratore.

Sempre la Grimaldi, nel corso di un’udienza, ribadiva quanto aveva dichiarato, aggiungendo inoltre quanto riferitole dal marito, ovvero che  anche lui avrebbe sentito parlare – sempre all’interno di un bar –  Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, l’assessore Pisciotta e altri, in merito alla decisione di uccidere il giudice, poiché la sua attività era di disturbo a costoro e agli spacciatori indicati dalla teste.

Non mi esprimo in merito all’attendibilità dell’allora confidente di Canale – che si può comunque evincere da quanto dichiarato in udienza, verbale di cui ne consiglio la lettura) – ma va precisato che i soggetti indicati non parlarono mai di appalti, bensì di spaccio di stupefacenti.

È credibile che in due diverse circostanze, all’interno di un bar, più persone potessero discutere dell’assassinio di un procuratore?

Mi permetto di dubitarne, ma se già questo lo ritengo poco credibile, ancor meno credibile ritengo che le  famiglie di ‘Cosa nostra’ del luogo potessero permettere ad altri l’omicidio di un procuratore, evento che avrebbe avuto serie ripercussioni sul territorio.

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E se senza la mafia non si uccide il procuratore, ecco che entra in gioco la mafia.

Vincenzo Calcara

Sempre nel 1991 (attenzione alle date), nel mese di novembre, il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara inizia a parlare di un progetto omicidiario in danno di Borsellino, che lui stesso avrebbe dovuto portare a termine.

A dargli l’incarico è Antonio Vaccarino, questa volta indicato da Calcara come capomafia di Castelvetrano.

Accuse e processi che si concluderanno con l’assoluzione dell’imputato, il cui movente non sarebbe stato comunque quello che Borsellino era di ostacolo a vicende legate al mondo degli appalti.

Di Calcara, definito “pentito eterodiretto ed inquinatore di pozzi” dall’allora procuratore di Caltanissetta, Gabriele Paci, parla anche il magistrato Massimo Russo.

Le dichiarazioni di Calcara ancora oggi costituiscono un problema serio se vogliamo capire perché sono accadute certe cosa a Palermo e in provincia di Trapani “ – dichiara Massimo Russo, come riportato da  LiveSicilia, evidenziando che non fece mai il nome di Matteo Messina Denaro e che nessuno dei pentiti lo conosceva.

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Diceva delle cose, come dire, intriganti; e questo è il tema. E le dice per un certo periodo; per esempio parla dell’attentato a Borsellino, anticipando di 8 mesi quello che sarebbe accaduto. Questa è la domanda alla quale ancora dobbiamo dare una risposta, a me la daranno i miei colleghi se ci riusciranno, ma se non si parte da lì forse molte cose non le capiremo”.

Russo più volte ha ribadito come le dichiarazioni di Calcara non fossero “farina del suo sacco o di qualche altro sacco che non è di farina.”

Chi poteva avere interesse?

Riavvolgiamo il nastro e torniamo a quegli anni.

Contrari all’uccisione di Borsellino a Marsala, erano Vincenzo D’Amico e Francesco Craparotta.

Due capimafia che si preoccupavano delle conseguenze di quell’omicidio.

Per il loro rifiuto, l’11 gennaio del 1992 furono uccisi.

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Del loro omicidio ne ha parlato Carlo Zichittella nel processo a carico di Matteo Messina Denaro per le stragi del 1992.

C’è un passaggio importante, riportato nel libro “Matteo va alla guerra” di Giacomo di Girolamo: “Questo primo no di quei disgraziati aveva insomma creato un po’ di tensione. E poi qualcuno se l’era cantata. Perché a un certo punto a Borsellino fu rafforzata la scorta. Quindi, è vero, c’era chi parlava con la famiglia di Marsala, ma c’era anche chi riceveva messaggi. Quattro cornuti ci ero a cuntare tutti cose, commentò Matteo con disprezzo”.

Chi se la era cantata?

Ricordo nitidamente – dichiara il magistrato Alessandra Camassa nel corso di un’intervista a Tp24che un giorno il maresciallo Canale, al pian terreno del palazzo di giustizia di Marsala, mi fermò e mi disse: ”Dottoressa  lo sa che c’è questa notizia su un possibile attentato al Dr Borsellino ed un altro sostituto?” Al che io chiesi chi fosse la fonte e lui mi rispose: “Questo è quello che arriva da radio Carcere”. Poi se le due notizie provenissero dallo stesso soggetto e furono veicolate da Canale, tramite Calcara, io questo non lo so”.

Non possiamo credere che il Tenente Colonnello Canale potesse far veicolare le notizie tramite l’allora pentito Calcara, la cui veridicità delle sue propalazioni oggi è ritenuta, anche stando a diverse sentenze, pari a zero, ma abbiamo il dovere di chiederci quali fossero le fonti delle notizie in merito all’attentato a Borsellino.

Le uniche testimonianze ufficiali che abbiamo sono quelle della Grimaldi e di Calcara, rispettivamente nel settembre del ’91 e nel novembre dello stesso anno.

Ma i due, potevano essere realmente a conoscenza del progetto omicidiario?

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Nessuno dei due poteva esserlo, nonostante Calcara racconti che  una delle ipotesi per l’uccisione di Borsellino prevedeva l’utilizzo di un fucile di precisione.

Fatto che risultava a verità, ma non a opera del Calcara che disse di essere stato scelto lui come killer, bensì Vito Mazzara, che sparava da vero professionista ed era un pezzo importante della storia di tutti i trapanesi.

Calcara, da chi aveva appreso la notizia dell’attentato da compiere?

Un dato non di poco conto, se come dice il magistrato Russo, i depistaggi non nascono dopo via D’Amelio, a ancor prima che Borsellino venisse ucciso.

Sta di fatto che quella “cantata” portò a rafforzare la scorta a Borsellino ed evitare che venisse ucciso a Marsala, così come avrebbero voluto Craparotta e D’Amico, alla cui sorte si unì anche Vincenzo Milazzo, boss di Alcamo, vicino a uomini dei servizi segreti, che aveva cominciato ad avere perplessità sulle stragi.

Storie di mafia, di spacciatori, di servizi segreti, ma nulla che racconti di mafia-appalti.

L’unica domanda, alla quale non so dare una risposta, è quella rivolta nel precedente articolo al Tenente Colonnello Canale: In Commissione antimafia lei ha raccontato dell’interesse del giudice Paolo Borsellino per il dossier mafia/appalti, vuol dirci quando fu la prima volta che lei fece dichiarazioni in tal senso?

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Gian J. Morici



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