“Grande potenziale, ma senza investimenti rischia di essere solo un lifting”

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“Una migliore gestione delle risorse e una più efficace integrazione tra ospedale e territorio”.

Gli ospedali di comunità rappresentano un punto di raccordo fondamentale tra l’assistenza domiciliare e ospedaliera, offrendo cure per patologie che non richiedono un ricovero ad alta intensità.

In Sicilia, grazie al Decreto Ministeriale 77 e ai fondi del Pnrr, è prevista la creazione di ben 43 ospedali di comunità che, insieme alle 156 case di comunità e le 50 centrali operative, dovrebbero assistere, principalmente i pazienti fragili , tra cui i 1.169.575 over 65 dell’Isola.

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“L’ospedale di comunità non deve essere confuso con un ospedale tradizionale. Il suo scopo è offrire un ricovero di breve durata e a bassa-media intensità clinica, con un numero di posti letto generalmente compreso tra 20 e 40. Queste strutture, se adeguatamente organizzate, non solo faciliteranno il flusso di pazienti, ma offriranno anche un supporto cruciale nelle fasi di pre-ricovero, durante la gestione di esami diagnostici e nelle valutazioni cliniche, migliorando così il percorso di cura e la qualità dell’assistenza sanitaria”. A spiegarlo è Fabrizio De Nicola, che per 15 anni è stato direttore generale di diverse Aziende sanitarie della Sicilia e docente di management sanitario.

Il ruolo

“Troppo spesso il pronto soccorso vengono percepiti come un luogo di accesso per qualsiasi necessità sanitaria, mentre dovrebbe essere destinato esclusivamente ai casi acuti. Gli ospedali di comunità possono intervenire proprio su questa criticità, filtrando le richieste e garantendo un’assistenza più appropriata prima di indirizzare i pazienti a strutture più specializzate – prosegue -. Allo stesso modo, gli ospedali di comunità svolgono un ruolo chiave nel processo di dimissione, evitando che pazienti fragili o anziani vengano rimandati a casa senza un’adeguata transizione assistenziale. Spesso la lunghezza delle degenze ospedaliere è eccessiva e ha un impatto economico significativo, con costi giornalieri che possono variare tra 800 e 3.000 euro. L’ospedale di comunità può ridurre queste spese, offrendo un luogo protetto per la convalescenza e il recupero prima del ritorno a domicilio”.

L’organizzazione

Secondo le indicazioni ministeriali e dell’Agenas, gli ospedali di comunità devono essere distribuiti in proporzione alla popolazione, con una struttura ogni 50.000-100.000 abitanti. Il DM 77 ha definito standard specifici per queste strutture – sottolinea –. L’investimento negli ospedali di comunità fa parte di un piano più ampio di modernizzazione della sanità, che include anche l’ammodernamento tecnologico e digitale delle strutture sanitarie. Tra le priorità ci sono l’informatizzazione della sanità, il potenziamento del fascicolo sanitario elettronico e l’incremento dell’efficienza dei sistemi informativi regionali. Inoltre, è previsto un aggiornamento del parco tecnologico ospedaliero con nuove apparecchiature diagnostiche e una maggiore sicurezza delle infrastrutture sanitarie. Proprio per questo, oltre al personale sanitario, servono operatori amministrativi e informatici per supportare la digitalizzazione e la gestione dei dati sanitari”.

Il problema del personale

“Il Pnrr, però, non ha previsto finanziamenti per il personale. Quindi, i fondi non possono essere utilizzati per reclutare nuovi dipendenti o per incrementare i contributi. Inoltre, sebbene la gestione medica debba essere garantita, il modello assistenziale è prevalentemente infermieristico, il che suscita dibattiti tra i professionisti della salute. L’Unione Europea ha fissato dei limiti. E sono le regioni, con i loro sistemi organizzativi differenti, che dovranno occuparsi di formare e allocare il personale nelle strutture. Le difficoltà per le regioni non saranno solo nell’attivare e mettere in funzione le strutture in tempo (2026), ma anche nel garantire che siano adeguatamente dotate di personale. Tuttavia, grazie ai fondi del Pnrr, sono stati attivati numerosi corsi di aggiornamento per medici, infermieri e personale amministrativo, che puntano su competenze informatiche, tecnologiche e manageriali“.

Tra dati e gestione

“Oltre le problematiche legate al personale e ai problemi riguardanti la digitalizzazione, il rischio di ritardi nella realizzazione degli ospedali di comunità rimane alto. Le regioni devono affrontare anche la sfida dell’integrazione dei dati sanitari, garantendo che le informazioni dei pazienti siano accessibili in modo uniforme su tutto il territorio – prosegue -. La Corte dei Conti ha evidenziato, inoltre, alcune criticità cruciali nella gestione del sistema sanitario, tra cui la mancata definizione di un chiaro disegno strategico e la carenza di capacità tecnica nelle strutture ospedaliere. A queste si aggiungono difficoltà nella gestione dei fondi e problemi legati ai costi”.

Sfide e rischi

“Se non si investe adeguatamente nel personale sanitario, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, anche per le case di comunità, i 20 miliardi di euro del Pnrr rischiano di finanziare solo un costoso lifting del sistema sanitario nazionale, anziché una trasformazione strutturale. Inoltre, non bisogna dimenticarsi delle difficoltà che si creano a causa delle forti disuguaglianze regionali. Per far si che il Sistema possa fare un’adeguata risposta bisogna superare la frammentazione esistente in modo trasversale – conclude De Nicola -. Solo con riforme strutturali, investimenti mirati e una forte integrazione tra ospedale e territorio, il Sistema sanitario nazionale potrà rispondere adeguatamente alle sfide future, riducendo le disuguaglianze e migliorando l’efficacia complessiva dell’assistenza, creando un nuovo sistema di valorizzazione”.



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