Viviamo in un’epoca in cui la produttività è diventata una misura del valore individuale. A lavoro, a scuola e nella vita di tutti i giorni ci spingono verso vette sempre più alte, ci incoraggiano a compiere sacrifici, a sforzarci fino allo sfinimento pur di raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi e temerari.
Quella di oggi è, insomma, la “società della stanchezza” come l’ha definita il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han nel suo omonimo libro. Una società in cui il tempo libero è visto con estremo sospetto e la quiete e l’ozio quasi come dei disvalori. Ma è sempre stato così? Scopriamolo in questo nuovo appuntamento con la nostra rubrica filosofica!
La società della stanchezza di Byung-Chul Han
Byung-Chul Han, nel suo libro La società della stanchezza, mette in evidenza come fino al secolo scorso la società era caratterizzata da una dimensione negativa in cui l’individuo era soggetto a un potere repressivo esterno, a forze che ci prescrivevano cosa fare e cosa non fare. Da questa “società disciplinare” in cui l’uomo doveva sottostare ad un sistema rigido di regole inderogabili, si è passati ad una “società della prestazione”, solo apparentemente positiva in quanto ogni cosa è lecita e permessa.
L’essere umano, dopo aver rotto le catene delle costrizioni esterne, è riuscito a guadagnare una libertà pressoché totale e assoluta cosicché davanti a sé gli sono aperti un’infinità di nuove possibilità e opportunità. Il conflitto che prima era esterno all’individuo adesso si è spostato all’interno e ognuno vive nel terrore di non essere all’altezza delle aspettative proprie e degli altri, costringendosi continuamente a rompere e superare i propri limiti, anche a costo di spendere tutte le proprie energie.
Lavoriamo, studiamo e ci diamo incessantemente da fare, spesso senza distinzione tra orario lavorativo e tempo personale, spinti da una cultura che celebra il sacrificio e l’efficienza sopra ogni altra cosa. Ci sentiamo costretti a ottimizzare ogni istante della propria vita per produrre qualcosa: che si tratti di lavoro, di crescita personale o persino di svago trasformato in performance. Ci troviamo in un paradigma in cui il riposo è considerato colpevole e l’inerzia è sinonimo di fallimento.
Il corpo e la mente cedono sotto la pressione costante del dover fare, del dover essere sempre performanti, disponibili, all’altezza delle aspettative. I confini tra tempo libero e tempo di lavoro si sfaldano, complici le nuove tecnologie che ci tengono sempre connessi e reattivi. Il risultato è una fatica invisibile, una spossatezza interiore che non si risolve con qualche giorno di riposo, perché il problema è strutturale, non momentaneo.
Eppure, questa visione non è l’unica possibile. Per secoli, filosofi e pensatori hanno riflettuto sul valore dell’ozio e della pausa. Aristotele distingueva tra il lavoro necessario alla sopravvivenza e lo scholé, il tempo libero dedicato alla contemplazione e alla crescita intellettuale. Seneca, nelle Lettere a Lucilio, ammoniva contro l’inutile affanno degli uomini d’affari, sostenendo che l’ozio, quando ben impiegato, è il tempo della vera realizzazione. Anche Nietzsche, nel suo invito a vivere in modo dionisiaco, ci esorta a liberarci dalle catene di un’esistenza interamente regolata dall’utilità e dalla produttività.
Il male del secolo: l’iperproduttività
Il male di questa società della stanchezza è proprio l’iperproduttività che si manifesta con sintomi fisici e psicologici ben precisi. Depressione, deficit di attenzione, disturbi della personalità e sindrome del burnout sono alcune delle patologie oggi sempre più diffuse tra i giovani e i meno giovani. Si tratta di condizioni che si attivano quando non riusciamo a stare dietro ai ritmi frenetici che ci autoimponiamo, quando, cioè, ci perdiamo nello sforzo di dover necessariamente riempire ogni spazio libero della nostra esistenza.
Come possiamo, dunque, reagire? Qual è la cura a questo male che affligge la società della stanchezza? Byung-Chul Han ci spiega che dovremmo contrapporre alla forza positiva e alle mille possibilità della società odierna, una forza negativa, ovverosia la capacità di saper dire di no, di annoiarci e di fermarci.
Non si tratta di semplice inattività, ma di un’azione consapevole: concedersi il tempo di pensare, di annoiarsi, di non avere uno scopo immediato. L’arte, la letteratura, la filosofia, la riflessione nascono proprio in questi spazi di libertà, dove il tempo non è ingabbiato dall’utile. Walter Benjamin parlava della necessità di rallentare per cogliere il senso più profondo delle cose, mentre Bertrand Russell, nel suo celebre saggio Elogio dell’ozio, sosteneva che il progresso umano dipende dalla capacità di sottrarsi alla frenesia produttiva per dedicarsi alla creatività e al pensiero.
Attenzione però! La massima “unire l’utile al dilettevole” non è così positiva come può sembrare. Se riempiamo i nostri momenti di pausa con attività che devono sembrare produttive potremmo incappare nell’effetto opposto. Pensiamo a tutti i libri motivazionali, ai giochi costruttivi, alle attività di miglioramento personale o di cura delle proprie relazioni…anche ciò che può sembrare innocuo può rivelarsi controproducente.
La creatività nasce dallo spazio vuoto, dalla possibilità di lasciar vagare la mente senza uno scopo preciso. Quando tutto il tempo è vincolato a un obiettivo, si perde la capacità di pensare in modo originale e fuori dagli schemi.
Questo non vuol dire rifiutare il lavoro, o ogni altro attività produttiva ma ripensare il loro rapporto con esse. È un invito a recuperare il tempo per sé, a concedersi momenti di pausa senza sensi di colpa, a riscoprire il piacere della lentezza. L’ozio non è solo un diritto, ma una necessità per una vita equilibrata e soddisfacente.
In un mondo che ci spinge a correre sempre più veloce, la vera rivoluzione potrebbe essere fermarsi, prendersi il tempo di respirare, di osservare, di esistere senza il bisogno di dimostrare qualcosa. È il momento di riscoprire il valore del tempo non produttivo, perché è proprio in quei momenti che nascono le idee più importanti, le connessioni più profonde e le intuizioni che possono cambiare il nostro modo di vivere.
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