Nel cuore della Siria di oggi: un viaggio tra Damasco, Aleppo e Idlib

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Agli inizi di gennaio sono tornato in Siria per verificare, insieme ai miei colleghi siriani di Terre des hommes, la nuova situazione umanitaria. La Siria porta ancora i segni di una guerra devastante che ha stravolto la vita dei suoi abitanti. Il mio viaggio mi ha condotto da Damasco alla provincia di Idlib, una regione complessa, ricca di contraddizioni ma anche di speranze, nonostante le enormi difficoltà.

Malgrado le promesse di inclusività e di future elezioni libere del governo di transizione guidato da Ahmed al-Sharaa, leader del gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), molti siriani, comprese le organizzazioni della società civile, rimangono scettici e preoccupati. Le parole del governo sono seguite con attenzione, ma la popolazione si aspetta azioni concrete che dimostrino che il cambiamento non è solo una promessa, ma una realtà tangibile.

Attraversando il paese: segni di una guerra ancora viva

Il viaggio inizia a Damasco, dove la vita sembra aver ripreso un ritmo quasi normale, ma le cicatrici del conflitto sono ovunque. Percorrendo la strada verso Aleppo, passando per Hama e Homs, le macerie della guerra sono evidenti. Le città sono segnate e trasformate, i paesaggi colpiti, ma non privi di vita. Il panorama alterna colline desertiche e pianure con terreni coltivati a pistacchi, ulivi e mandorli, che una volta erano risorse vitali per l’economia del paese. Prima della guerra, la Siria era uno dei maggiori esportatori di olio d’oliva, frutta, verdura e cotone del Medio Oriente. Oggi, questi settori sono stati devastati dalla guerra e dall’embargo.

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Aleppo: tra ricostruzione e difficoltà quotidiane

La mitica Aleppo, una delle città più antiche e straordinarie del mondo, porta ancora i segni indelebili delle battaglie che l’hanno martoriata. Il suo centro storico, patrimonio dell’umanità, è un mosaico di edifici restaurati e rovine che raccontano la violenza dei combattimenti. Purtroppo, il terremoto del 6 febbraio 2023 ha ulteriormente aggravato la situazione, provocando danni gravi e nuove perdite.

Eppure, Aleppo è una città che non si arrende. I mercati sono pieni di vita, con venditori che offrono i loro prodotti, urlando con energia. L’atmosfera mi ha ricordato quella di Napoli, con il suo caos e la sua vitalità. Nei quartieri periferici, dove Terre des hommes ha avviato da anni centri di fisioterapia, supporto psicologico e coesione sociale, la povertà è palpabile. Molti residenti dipendono dagli aiuti internazionali per sopravvivere. L’istruzione è una delle principali sfide: molte scuole sono distrutte e le famiglie sono costrette a far fronte a una carenza di strutture educative. Un altro problema crescente è il conflitto tra i rientrati dal Libano e i residenti. Molte case sono occupate da sfollati interni che hanno perso tutto e ora vivono in case abbandonate da chi è fuggito all’estero. Questa situazione crea tensioni e divisioni che complicano ulteriormente la già fragile coesione sociale.

La crisi umanitaria a Idlib

Il viaggio prosegue verso Idlib, una provincia che, prima della guerra, era famosa per le sue piantagioni di ulivi e i panorami agricoli tipicamente mediterranei. Idlib rappresentava una parte fondamentale dell’economia agricola della Siria, con raccolti annuali che superavano le 176.000 tonnellate di olio d’oliva. Oggi, Idlib è una delle aree più colpite dal conflitto, con una situazione umanitaria drammatica.

La città di Idlib è caratterizzata da un intenso traffico caotico e da mercati pieni di prodotti e acquirenti. Mi hanno colpito due aspetti in particolare: la presenza di numerose concessionarie di auto, con grandi esposizioni di veicoli nuovi e usati, probabilmente provenienti dalla Turchia o dal Golfo; e la diffusa vendita di armi, dove è facile acquistare un AK-47 Kalashnikov. La provincia di Idlib ospita da 14 anni circa 1.200 campi profughi, che accolgono quasi 2 milioni di persone scappate dalle città siriane durante la guerra civile. Questi campi sono costituiti da tende precarie, e le condizioni igienico-sanitarie sono critiche. La mancanza di una raccolta sistematica dei rifiuti e l’accesso limitato a servizi sanitari ed educativi aggravano ulteriormente la situazione.

foto di Bruno Neri

Le tende, dopo 14 anni di utilizzo, sono ormai fatiscenti e logore, offrendo una protezione minima contro l’inverno rigido: molte famiglie sono costrette a bruciare legna o altri materiali per riscaldarsi e cucinare, con il grave rischio di incendi e gravi ustioni. La scarsità di scuole è una delle difficoltà principali, e i bambini sono i più colpiti. Nei campi che ho visitato, ho visto bambini che, a causa della mancanza di scuole adeguate e delle difficoltà economiche, non ricevano l’istruzione di cui avrebbero bisogno.

I bambini, quando siamo entrati nei campi, ci hanno accerchiato, con i loro vestiti inadeguati che non li proteggono dal freddo. Le loro piccole mani tremavano cercando calore, e i loro occhi ci raccontavano storie di dolore e resilienza, testimonianze silenziose di una crisi che non conosce tregua. Quello che ci ha colpito di più è stata la condizione delle bambine, che spesso i genitori non le mandano a scuola. Ci è stato spiegato che molte scuole sono andate distrutte e che le uniche scuole rimaste sono private e a pagamento, creando un divario crescente tra bambine e bambini. Le bambine sono così incaricate dei lavori domestici o della cura dei fratelli più piccoli, invece di frequentare le lezioni.

La presenza delle Ong: un faro di speranza

La presenza di Terre des hommes , come di altre Ong, in questi campi è fondamentale. Stiamo cercando di fornire supporto immediato alle famiglie più vulnerabili con aiuti alimentari e spazi sicuri per l’istruzione dei figli. Questi spazi inclusivi danno l’opportunità alle bambine e ai bambini con disabilità di accedere a un’istruzione di base, promuovendo l’inclusione sociale. Le sfide sono enormi, ma la speranza di un cambiamento, anche attraverso piccoli gesti, è ciò che ci motiva ogni giorno.
I tagli di Trump colpiscono i campi profughi.

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Il mio viaggio in Siria a gennaio è stata ancora una volta un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ho visto ancora di più la devastazione diffusa, ma anche la forza e la resilienza di un popolo che, nonostante tutto, non smette di sperare. La guerra ha lasciato cicatrici profonde, ma la Siria è una terra di opportunità. La ricostruzione è un cammino lungo e difficile, ma la speranza di un futuro migliore è ancora viva, alimentata dalla solidarietà, dalla cooperazione internazionale e dal coraggio delle persone.

Dobbiamo sostenere la società civile siriana che ogni giorno manifesta pacificamente nelle piazze per rivendicare i diritti delle minoranze etniche e religiose, delle donne, e sostenere la coesione sociale.

Tuttavia, le notizie che ci giungono dagli Stati Uniti, come il taglio degli aiuti internazionali alle Agenzie ONU e alle ONG, rischiano di ridurre drasticamente le capacità di supportare la resilienza delle popolazioni più vulnerabili. Ho avuto notizie di tagli del 30% al budget di molte agenzie umanitarie. Importanti progetti umanitari in tutto il mondo sono a rischio, tra cui la gestione dei campi profughi in Siria, come il campo di Al Hol, nel Rojava, che ospita 40.000 persone, tra cui donne e bambini già legati all’ISIS. La mancanza di fondi potrebbe portare alla chiusura del campo e al rientro in Iraq di circa 18.000 rifugiati iracheni e 4.000 foreign fighters, con il rischio di scatenare una nuova guerra civile in Iraq e Siria. L’attuale politica del governo Usa colpisce le popolazioni più vulnerabili, già colpite da guerre, malattie e fame. Può diventare un fattore moltiplicatore dei conflitti in tutto il mondo. Non guardiamo soltanto ai danni che procura in casa nostra e alla casa comune europea.

* Bruno Neri , senior program manager, responsabile per la Siria di Terre des hommes



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