avanza il progetto per l’implementazione della biopsia liquida nel tumore al seno metastatico

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In Piemonte, un nuovo progetto mira a migliorare la diagnosi e il trattamento del tumore al seno metastatico tramite l’uso della biopsia liquida. Questo esame, che analizza il DNA tumorale presente nel sangue, offre informazioni preziose per adattare le terapie alle singole pazienti. Con oltre 500 nuovi casi diagnosticati ogni anno, la Regione sta compiendo passi significativi per garantire l’accesso a questo strumento diagnostico innovativo, fondamentale per le pazienti che affrontano questa malattia complessa.

L’importanza della biopsia liquida

La biopsia liquida è una tecnica non invasiva che permette di ottenere campioni di DNA tumorale circolante attraverso un semplice prelievo di sangue. Maria Scatolini, direttrice del Laboratorio di Oncologia molecolare della Fondazione Tempia di Biella, mette in evidenza come questo approccio non solo favorisca la ricerca di mutazioni target per le terapie oncologiche, ma consenta anche monitoraggi periodici dell’evoluzione della malattia. Rispetto agli approcci tradizionali, questa metodologia presenta vantaggi rispetto all’invasività delle biopsie tissutali, rendendo il processo più accessibile e tollerabile per le pazienti.

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Questo aspetto cresce in rilevanza considerando che attualmente in Italia oltre 50.000 donne sono colpite da tumore della mammella metastatico. Tra queste, circa il 70% mostra una positività ai recettori ormonali, ma è suscettibile a mutazioni che rendono i trattamenti ormonali meno efficaci. Per questo motivo, la biopsia liquida gioca un ruolo cruciale nella selezione delle terapie e nella personalizzazione del percorso di cura.

Innovazioni terapeutiche nel tumore al seno metastatico

All’interno del contesto della biopsia liquida, uno dei recenti sviluppi terapeutici è l’introduzione di un nuovo farmaco chiamato elacestrant, un degradatore selettivo del recettore degli estrogeni . Alessandra Gennari, direttore di Oncologia dell’Aou Maggiore della Carità di Novara, spiega come questo farmaco rappresenti una valida opportunità per le pazienti che, in prima linea di trattamento, hanno già risposto bene alla terapia ormonale. Gli studi clinici hanno evidenziato che elacestrant può aumentare significativamente la sopravvivenza libera da progressione della malattia, mantenendo al contempo un profilo di sicurezza accettabile.

Il fatto che il farmaco possa essere assunto quotidianamente in monosomministrazione è un’ulteriore caratteristica apprezzata dalle pazienti, in quanto contribuisce a facilitare l’aderenza al trattamento. Inoltre, elacestrant può ritardare l’inizio della chemioterapia, che spesso porta con sé effetti collaterali ingenti e temuti.

L’implementazione del progetto in Piemonte

Un elemento chiave per il successo dell’iniziativa di biopsia liquida è la necessità di garantire che l’esame sia disponibile sull’intero territorio piemontese. Secondo Mario Airoldi, direttore Oncologia medica 2 della Città della Salute e della Scienza di Torino, è cruciale definire un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale che integri le competenze di clinici oncologi e di esperti in anatomo-patologia o genetica molecolare. Un approccio integrato non solo permette una gestione più fluida del processo diagnostico, ma assicura anche un flusso di informazioni efficace tra i diversi professionisti coinvolti.

La creazione di un Pdta specifico è vista come un requisito fondamentale per ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure e per evitare sprechi, ottimizzando così il percorso di cura delle pazienti. L’obiettivo finale è quello di costruire un processo sostenibile che consideri le esigenze e i diritti delle pazienti, rendendo i percorsi terapeutici sempre più personalizzati e adeguati.

Considerazioni sui bisogni delle pazienti

Fulvia Pedani, rappresentante di Andos onlus nazionale, sottolinea l’importanza di ascoltare e integrare le esigenze delle pazienti in questo progetto innovativo. Non si tratta solamente di fornire un nuovo esame diagnostico, ma di creare un ambiente supportivo che inciti la partecipazione attiva delle donne nel loro percorso di cura. In questo senso, è necessario sviluppare programmi educativi e formativi in collaborazione con enti del terzo settore, affinché le pazienti siano adeguatamente preparate a gestire la loro condizione e a comprendere le nuove opportunità terapeutiche disponibili.





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