Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato l’articolo “UE condanna l’Italia per le emissioni di gas serra. Arriva la stretta delle Regioni per il settore agro-zootecnico” con il tentativo di fare un po’ di chiarezza sulle misure recentemente disposte, a livello locale, per ridurre la quota di inquinamento ambientale attribuito alle produzioni agricole e zootecniche. Il fulcro del discorso affrontato è che, a seguito della ricezione di ben due cause per infrazione per il superamento dei valori limite delle concentrazioni di particelle inquinanti, il nostro Governo ha emanato un decreto che obbliga le quattro regioni padane (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte) a introdurre azioni più stringenti per ridurre il livello di inquinamento in vari settori, tra cui quello agricolo.
Tra le misure inserite nei singoli piani regionali, sono state previste le coperture delle vasche dei liquami, una scelta che comporta ingenti investimenti per gli allevatori e per lo Stato che fornisce gli incentivi alla realizzazione. La chiusura dei depositi di stoccaggio andrebbe a risolvere da una parte il problema dei cattivi odori da essi provenienti, e dall’altra la liberazione nell’atmosfera di notevoli quantità di metano. C’è da dire, però che, superata una certa soglia di accumulo, il metano deve comunque essere eliminato dall’interno di questi sistemi, e ciò viene generalmente fatto attraverso la combustione, con conseguente liberazione di CO2 e quindi un impatto pur sempre negativo, anche se inferiore, sull’ambiente.
Appare dunque lecito domandarsi se l’obbligo di copertura sia l’unica strada percorribile per raggiungere gli obiettivi sulla qualità dell’aria, o se ci siano delle soluzioni alternative ugualmente valide.
Di questa questione, con nostro sommo piacere, si è recentemente occupata anche una testata giornalistica a carattere divulgativo, estremamente conosciuta dal grande pubblico, ovvero “Il Salvagente“, nell’articolo “Coprire per non sentire la puzza?“, offrendo degli spunti di riflessione davvero interessanti, primo fra tutti, la posizione della Regione Piemonte. Questa, infatti, è stata pioniera nella ricerca di strade diverse giungendo ad eliminare l’obbligo di copertura, precedentemente inserito nel “Piano sulla qualità dell’aria del Piemonte”.
Capiamo meglio…
Il 4 dicembre 2024 la Regione Piemonte ha annunciato, attraverso i suoi canali ufficiali (QUI), di aver approvato un aggiornamento delle disposizioni del Piano Stralcio Agricoltura, attuativo del Piano sulla qualità dell’aria del Piemonte. L’obbligo di copertura dei depositi temporanei, cumuli e vasche di stoccaggio, dei reflui degli allevamenti, per ridurre le emissioni di ammoniaca in atmosfera, come componente nella formazione del PM10, era tra le misure previste per consentire il rientro nei limiti di qualità dell’aria entro il 2030. Ma il mondo agricolo aveva da subito espresso delle grandi perplessità in merito, tanto che la Politica ha voluto prendere in considerazione piuttosto velocemente il ricorso a metodi differenti di contenimento.
«Con questa delibera – si legge nel commento ufficiale dell’assessore regionale all’Ambiente Matteo Marnati – abbiamo convenuto di eliminare l’obbligo di copertura delle vasche adottando misure più sostenibili, biologiche e meno impattanti per gli allevatori. Si tratta di un aggiornamento che permette infatti di coniugare due aspetti egualmente importanti: da una parte perseguire sulla strada della riduzione delle emissioni di ammoniaca in atmosfera e dall’altra sostenere il nostro comparto agricolo con le sue produzioni di eccellenza».
La delibera citata è la DGR 00473_1050 del 3 dicembre 2024, che all’allegato 1 (consultabile QUI) riporta testualmente:
“Al fine di garantire il raggiungimento della corrispondente riduzione delle emissioni nel caso di evidente impossibilità di adeguamento dell’attività alle disposizioni del presente Piano stralcio, possono essere considerate anche tecniche che derivano dall’applicazione di innovazioni tecnologiche e/o gestionali per la riduzione delle emissioni dagli allevamenti“, e si precisa che queste tecniche e pratiche innovative sostitutive devono garantire, sulla base di studi scientifici effettuati da università ed enti di ricerca, almeno la stessa riduzione emissiva attesa.
Ma quali potrebbero essere le pratiche alternative applicabili?
Indagando sulle possibili soluzioni alternative, proprio l’articolo de Il Salvagente prima ricordato, menziona un’azienda che da anni è parte della Community di Ruminantia, la SOP S.r.l., Società Benefit di Busto Arsizio (VA). Questa realtà dal 2001 ricerca e produce soluzioni innovative che aiutano agricoltori e allevatori ad attivare un circolo virtuoso che migliora la resa contrastando il cambiamento climatico. Tra i loro prodotti, ne esistono infatti alcuni che, proprio delle ricerche scientifiche pubblicate tra il 2019 e il 2023 in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano e UC Davis in California hanno confermato essere efficaci nel ridurre le emissioni fino all’ 80% di metano, al 75% di anidride carbonica, al 100% ammoniaca, e al 100% protossido di azoto.
Potrebbero essere tra questi le alternative percorribili per la gestione del delicato tema delle emissioni? Quello che è certo è che, sulla scia della decisione della Regione Piemonte, sarebbe interessante che anche le altre Regioni coinvolte in questo processo prendessero in esame l’ipotesi di introdurre nei loro piani il ricorso a soluzioni alternative di comprovata efficacia, anche in considerazione degli elevati costi e dell’impossibilità di sostenere con fondi pubblici tutto il comparto in ugual misura.
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