Guerra, Rete, Ambiente, Mercato: servono nuovi Consensi

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Conto e carta

difficile da pignorare

 


L’editorialista economico del mercoledì desidera giocarsi presto la wild card annuale di un column di “brevi cenni sull’universo”. E di questo chiede subito comprensione al direttore e ai lettori.

La Guerra è divenuta negli ultimi tre anni la punta di lancia che ha decretato la fine traumatica della “fine della storia” (della storia millenaria delle guerre) annunciata dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989. Ma neppure le guerre del ventunesimo secolo inoltrato sono riuscite a sfuggire al risucchio insidioso della cultura globalizzatoria, tanto egemone quanto manipolatoria.


Conto e carta

difficile da pignorare

 


I conflitti fra Russia e Ucraina e in Medio Oriente – piuttosto che le nuove tensioni fra le due Cine – hanno certamente dichiarato la crisi della più grande promessa dalla globalizzazione: la pacificazione del pianeta, almeno l’assorbimento strutturale delle pulsioni belliche ancestrali nella competizione economica e tecnologica. Nel 2025, invece, un Occidente resuscitato in fretta dal secolo scorso sta correndo a riarmarsi: tentando di avvolgere una nuova “politica della sicurezza” nel compimento della recovery post-Covid. Ma non senza inevitabili imbarazzi e malintesi.



Le ultime guerre – di per se stesse nemiche degli scambi di materie prime, prodotti e servizi, capitali finanziari e umani – si sono presentate come laboratorio unico di innovazione tecnologica, anzitutto di sviluppo definitivo dell’intelligenza artificiale. Lo spettacolo dei droni che a Kursk o a Gaza hanno testato con effetti sanguinosi i sistemi dei nuovi Grandi Fratelli Globali è apparso però il contrario della consolidata e rassicurante immagine politico-mediatica della globalizzazione. Quest’ultima – in versione militarista – sta mostrando invece tutti i suoi paradossi.



Il più recente ed eclatante sta vedendo Donald Trump – Presidente americano neo-sovranista – impegnarsi subito nello spegnimento accelerato delle guerre: avversato tuttavia da numerosi leader internazionali “globalisti”, in fondo propensi a continuarle dietro il mantra della difesa della “civiltà democratica”. Viceversa: alla nuova Casa Bianca che ha posto in termini geopolitici la questione della Groenlandia – un vasto territorio completamente indifeso alla frontiera nordamericana verso la Russia – la Danimarca ha risposto indicendo un referendum per “l’indipendenza democratica” di 56mila inuit. Forse fuori tempo e luogo per una minoranza etnica ignorata anche nei decenni della globalizzazione da un piccola democrazia europea che ne ha mantenuto la “proprietà” di stampo coloniale su un altro continente.

Ancora: Elon Musk – sorta di “duumviro” nella nuova Presidente Usa – è divenuto il sospettato simbolico di una Rete che avrebbe gettato la maschera “buona” e si proporrebbe oggi come strumento di dominio e di manipolazione dell’umanità. Cioè l’opposto del “vangelo di internet” che all’inizio del nuovo secolo annunciava una “democrazia globale” fatta di inclusione totale e libertà assoluta di comunicare e produrre. Eppure allineati con il patron di X e Starlink – a fianco di un Presidente Usa accusato di ogni illiberalità – si sono ritrovati tutti gli altri padri fondatori della Rete “buona”: i profeti degli emoj, l’alfabeto di un mondo “casa di tutti” a raggio di click, senza più conflitti e discriminazioni e in via di guarigione anche dalle diseguaglianze.

La transizione green, intanto, sta diventando sempre meno popolare, meno di un decennio dopo che di fronte a Greta Thunberg si inchinavano tutti i potenti della Terra e nel suo nome decine di milioni di studenti marciavano lietamente ogni venerdì. Ma già prima della pandemia ci avevano pensato i gilet gialli francesi, gli agricoltori olandesi o tedeschi e soprattutto centinaia di milioni di elettori euramericani ad accusare la lotta al cambiamento climatico – almeno nell’approccio tecnocratico – di ideologismo fake a copertura di grandi business per pochi, a spese e danno di molti.

Si avvicina infine il ventennio dal crac di Wall Street: primo grande incidente di percorso della globalizzazione. Nel falò dei mercati finanziari non finirono distrutti solo migliaia di miliardi di risparmi e capitali di molte centinaia di milioni di famiglie e imprese, ma anche un valore collettivo intangibile che la globalizzazione aveva tentato di accumulare. Andò in fumo la fiducia “di tutti al mondo” nel libero mercato come luogo efficiente ed efficace nel proteggere la finanza “buona”; nel garantire opportunità reali e pari a tutti coloro che volessero investire in un’attività, acquistare una casa o preparare una vecchiaia economicamente tranquilla e indipendente. Nel 2025 la sfiducia mai nel frattempo rimarginata è alla base di un neo-sovranismo bancario e assicurativo: anzitutto nell’Ue, nella quale pure l’unica “unione” realmente costruita è stata quella monetaria.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

La pace è sempre preferibile a qualunque guerra. Le tecnologie digitali, di per se stesse, hanno già generato progressi epocali nella scienza pura e applicata, nella produttività dell’economia, nella crescita di “società aperte”. Il cambiamento climatico è un rischio reale – anzitutto per gli umani di domani – e le fonti di energia rinnovabile rappresentano la principale formula risolutiva (non l’unica: c’è anche il nucleare, osteggiato anche perché sviluppato in tempo di guerra e utilizzato principalmente come arma deterrente). La globalizzazione di mercato – anzitutto nella sua declinazione finanziaria – ha mostrato grandi potenzialità: anche se certamente non inferiori alle sue pericolose fragilità.

Servono però nuovi “consensi” su obiettivi e strumenti, mentre l’unica evidenza sembra essere che il pianeta è all’anno zero o poco più. E non perché manchino dati o elaborazioni culturali: il trentennio abbondante della “fine della storia” (ormai identificabile come fase compiuta) ne ha prodotti in quantità infinite, non confrontabili con i giacimenti di conoscenze disponibili nel 1945 o nel 1989. Come sempre, tutto è nelle mani degli umani che abitano il pianeta “qui e ora”. E la prima sfida sembra – ancora una volta – “smilitarizzare” le grandi questioni umane, sottraendole alla strumentalizzazione politica: da qualunque parte provenga, con qualunque argomento o fine.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link