Musk, Altman e la guerra da 97 miliardi di dollari per OpenAI

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Può una manovra di diversione valere 97 miliardi di dollari? Se ti chiami Elon Musk, sì. Ieri sera il patron di X, Tesla e SpaceX, neo boiardo di Stato dell’amministrazione di Donald Trump, ha annunciato che assieme a una cordata di investitori avrebbe offerto quella cifra per rilevare la fondazione che controlla OpenAI, il colosso tecnologico che con ChatGpt ha messo in campo il primo modello di intelligenza artificiale generativa. Una mossa subito respinta al mittente da Sam Altman, Ceo dell’organizzazione che controlla la compagnia di San Francisco di cui Musk è stato membro del consiglio di amministrazione fino al 2018 ma che ne mette a repentaglio un obiettivo di sistema: la piena trasformazione in società con fini di lucro.

Come funziona OpenAI

Dal 2019, OpenAI è una organizzazione passata dallo status di non-profit a quella di capped for profit: ogni socio può ricevere ritorni massimi fino a cento volte il capitale investito. Per ora tutte le manovre compiute per alzare l’asticella del gruppo e trasformarlo in impresa hanno dovuto scontrarsi con un problema di fondo: la difficoltà a trovare un valore definito e preciso per il laboratorio di San Francisco, che vanta il sostegno di un colosso come Microsoft (che partecipa col 49% del capitale) con l’accordo, però, che l’azienda fondata da Bill Gates non entri direttamente nelle questioni gestionali, e possiede le chiavi della più diffusa tecnologia di Ia generativa al mondo.

Quanto vale il produttore di ChatGpt? Se lo chiedono in molti, specie dopo l’avvio del progetto Stargate promosso dall’amministrazione di Donald Trump per iniettare 500 miliardi di dollari nell’Ia a stelle e strisce col sostegno di OpenAI, Oracle e SoftBank, il cui patron Masayoshi Son si è detto pronto a investire direttamente dai 15 ai 25 miliardi nelle attività del gruppo di Altman.

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Per Musk, prevenire la trasformazione di OpenAI in una società a tutto tondo significa rendere attivi e scalabili i profitti della sua xAI e del suo tool, Grok, mantenere condizionato ai risultati dell’amministrazione federale di cui fa parte il successo del gruppo di Altman, e prendersi una principale rivincita sull’odiato rivale. Musk è uscito sbattendo la porta da OpenAI, che aveva contribuito a fondare, nel 2018 contestando da un lato il superamento dello status di non profit e dall’altro l’abbraccio con Microsoft, sui cui supercomputer e sulle cui piattaforme Azure girano gli algoritmi di Altman.

Perché Musk spinge per alzare il valore di OpenAI

Secondo il Financial Times OpenAI “è in trattativa per raccogliere nuovo capitale con una valutazione pre-finanziamento di 260 miliardi di dollari” e nel contesto del passaggio allo status di società “non ha alcun obbligo di vendere l’organizzazione non-profit” a cui Musk punta. Secondo il quotidiano della City di Londra, però, molti investitori ricordano che “come parte della conversione di OpenAI in un’organizzazione a scopo di lucro si era discusso di una valutazione” dell’entità non-profit con sede a San Francisco. Altman ha ipotizzato un valore di circa 30 miliardi di dollari per l’organizzazione, che Musk mira almeno a triplicare.

In quest’ottica, aver rifiutato l’offerta del suo rivale condizionerà la marcia di Altman per trasformare in una compagnia privata a tutto tondo, libera da vincoli, il suo gruppo. Rendendo più difficile veicolare investimenti volti a produrre profitto e sviluppo nell’Ia su ChatGpt e garantendo vantaggi competitivi a Grok e xAI. Uno scenario articolato in una partita miliardaria dove anche offerte con pochi paragoni nella storia finanziaria possono essere, in fin dei conti, manovre nate solo per distrarre e condizionare le mosse altrui.

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