Umanizzare il mercato? Sì, se si stringono alleanze

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Viviamo un tempo in cui pochissimi “big” delle tecnologie hanno in mano un potere enorme, peraltro con una preoccupante commistione politica. Se dovessimo domandarci che alternative ci sono a questo modello, dobbiamo constatare che, a oggi, gli strumenti di controllo sono limitati. L’Unione Europea ha emanato il Digital Market Act e il Digital Service Act, ma non basta regolamentare: occorre anche promuovere una maggiore consapevolezza fra i cittadini sui rischi di manipolazione dell’informazione e delle opinioni, sulle possibili violazioni della privacy e della trasparenza. Allo stesso tempo occorre promuovere investimenti su piattaforme alternative in modo da aumentare la concorrenza e ridurre il grado di monopolio. Si pensi all’intelligenza artificiale: in alcuni settori i suoi vantaggi sono evidenti, ma occorre prestare grande attenzione agli effetti occupazionali che un uso indiscriminato dell’AI potrebbe avere. Su questo l’Europa dovrebbe promuovere politiche comuni e sviluppare investimenti su piattaforme più sicure e sostenibili.

Quello della governance delle tecnologie è uno degli ambiti che contraddistinguono l’economia odierna. A partire da qui possiamo chiederci, in generale, se sia possibile “umanizzare il mercato”, riconoscendo anzitutto che esso è un’istituzione umana e sociale. In quanto tale, la sua finalità non dev’essere la massima efficienza e il massimo profitto, che di per sé non significano niente, ma la creazione di valore sociale per le donne e gli uomini di oggi e di domani. La policrisi finanziaria, ambientale ed economica degli ultimi due decenni ha mostrato che il mercato da solo non è capace di darsi da solo un limite e un orientamento. Le scelte degli ultimi mesi delle grandi corporation mostrano anzi come esse cerchino il potere politico per le proprie finalità; occorre invece tornare a porre il mercato al servizio di una visione di società, partendo dal rispetto dei diritti fondamentali, dalla valorizzazione del lavoro e dalla tutela dell’ambiente.

Di questo, come di molto altro, se ne è parlato alla recente Settimana sociale di Trieste, così come se ne parlerà all’incontro della Scuola sociopolitica dell’Arcidiocesi di Udine il prossimo 10 febbraio. A Trieste erano molte le “buone pratiche” presenti in città. Questi piccoli segni di economia civile sono oggi un potente messaggio di speranza e uno strumento concreto di emancipazione e di innovazione economica e sociale. Affinché queste tantissime realtà possano avere un impatto non solo nei territori di riferimento, ma anche a livello macro-economico occorre tessere alleanze su base regionale e nazionale, stendere agende comuni sui temi della sostenibilità, dell’inclusione e delle pari opportunità. Le reti già esistono e occorre potenziarle affinché possano diventare una realtà sempre più partecipata e ascoltata anche dalle istituzioni.

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Una proposta molto importante è quella avanzata dalla Cisl, ma supportata anche da UCID e da tante altre associazioni laiche e cattoliche, per l’attuazione dell’art. 46 della costituzione sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Si tratta di introdurre anche nella gestione delle imprese principi di partecipazione attiva dei lavoratori, di corresponsabilizzazione e valorizzazione delle competenze, di trasparenza e gestione comune di aspetti essenziali della vita aziendale, dal welfare, alla conciliazione vita-lavoro, alla formazione. Tutto questo può aiutare a migliorare il clima e la qualità del lavoro, creando nuovi margini di redditività per un lavoro che i dati ISTAT certificano in crescente sofferenza anche sotto il profilo salariale.

Non dimentichiamo, infine, che stiamo svolgendo queste riflessioni nel corso di un anno giubilare improntato alla speranza. Il Giubileo, come ha detto alcuni giorni fa Luigino Bruni, deve toccare il cuore dell’economia altrimenti rischia di essere una occasione persa. Oggi noi vediamo un drammatico aumento della diseguaglianza e della povertà anche nel nostro paese. Il peso del debito schiaccia i paesi poveri e anche tante famiglie. Mi ha colpito molto durante e dopo la Settimana Sociale di Trieste conoscere una realtà come quella di FINETICA che in Campania conduce una difficile battaglia contro l’usura, sostenendo le famiglie e aiutandole a uscire dalla trappola del debito, ma anche favorendo percorsi di inclusione finanziaria e sensibilizzando i giovani, a partire dalle scuole, sull’importanza del risparmio e dell’uso responsabile del denaro. Educare, curare, promuovere. Tre parole che certamente possono aiutare a umanizzare la nostra economia.

Sebastiano Nerozzi
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
Comitato delle Settimane Sociali



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