Belle parole sul clima | il manifesto

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L’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha certificato che nel 2024 la temperatura media dell’atmosfera è stata di oltre 1,5°C superiore a quella del periodo pre-industriale. É un livello che non si sarebbe dovuto superare per non mettere in crisi le popolazioni che vivono nei paesi più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale. E se non riusciremo a contenere l’incremento entro i 2,0°C, gli effetti sul sistema Terra, nelle sue componenti fisiche e biologiche, nonché sulle società, saranno irreversibili. Su questi valori si basa l’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici. Fare accettare questi limiti è stato un grande successo, anche se tardivo, della comunità scientifica internazionale, ma è un successo destinato a fallire, dato che Trump, il giorno dopo l’insediamento, ha firmato l’uscita degli Usa dall’accordo, e probabilmente altri paesi suoi sudditi o sovranisti ne seguiranno l’esempio.

La relazione fra l’incremento della CO2 nell’atmosfera e il suo riscaldamento venne formulata dal chimico fisico Svante Arrhenius nel 1896, e già alla metà degli anni ’50 del ‘900 il dibattito sull’impatto delle attività umane sul clima coinvolgeva tutte le discipline scientifiche e si allargava a quelle sociali ed economiche; ma se ancora oggi vi è una significativa fetta della popolazione che dubita di questo fenomeno, o che lo attribuisce a cause naturali, significa che gli scienziati non hanno trovato le parole per dirlo alle persone.

Altre forme di comunicazione, che non siano quelle tipiche del mondo accademico, sono forse necessarie perché queste conoscenze diventino patrimonio comune. La letteratura, l’arte, il teatro, il cinema, la pittura e mille altre forme non strutturate possono forse arrivare dove gli scienziati non sono riusciti.

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ANCHE SE RACHEL CARSON, con Primavera silenziosa (1962), ha contribuito alla causa ambientalista più di tanti altri scienziati che non hanno fatto altro che pubblicare decine di articoli all’anno sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, pochi ne seguono l’esempio: divulgare non premiava, e perdere tempo per comunicare alla gente comune i risultati delle proprie ricerche, e tanto meno quelle degli altri, non è servito per la carriera universitaria, almeno fino a oggi.

FORTUNATAMENTE, IL RISCALDAMENTO globale e il conseguente innalzamento del livello del mare sono tematiche sempre più presenti in forme di comunicazione non accademica, anche se molto spesso si trasformano in fantascienza e, allontanandosi troppo dalla realtà, inducono le persone a pensare che quanto descritto non potrà mai accadere. The Day After Tomorrow (2004), ha ricevuto critiche da parte di molti climatologi per quelle forzature nell’intensità e nella velocità degli eventi che hanno portato il pubblico a recepire tutto come un paradosso.

SONO I DOCUMENTARI, COME Una scomoda verità (2006), con Al Gore e la canzone di accompagnamento I Need to Wake Up, di Melissa Etheridge, a portare nelle sale cinematografiche queste tematiche in modo più corretto, ma purtroppo questi attraggono solo un pubblico già sensibilizzato.

FORTE SAREBBE STATO IL MESSAGGIO dato da Sorrentino in La Grande Bellezza (2013), con il Tevere in secca, se la pioggia alla fine non portasse a pensare che la normalità possa sempre tornare. Rimanendo a Roma, assai incisivo è il romanzo Dopo la pioggia (2021), di Chiara Mezzalama, in cui è un’alluvione che porta la crisi climatica al centro della vita dei protagonisti; mentre ne La collina delle farfalle (2012), di Barbara Kingsolver, il cambiamento climatico è annunciato da milioni di farfalle monarca che, invece di andare a svernare in Messico, si sono fermate in una valle del Tennessee.

NEL RECENTISSIMO Gli uomini pesce (2024), di Wu Ming 1, la fragilità del delta del Po nei confronti dell’innalzamento del livello del mare passa attraverso un romanzo che dalla guerra di liberazione nel ferrarese ci porta alla secca estate del 2022, e in cui emerge anche la violenza che le bonifiche hanno fatto a un territorio a cui forse solo l’ingressione marina renderà giustizia.

Non a caso l’autore fa parte di un gruppo di lavoro territoriale che raccoglie scrittori, antropologi, architetti, attori e storici che lavorano in modo interdisciplinare per capire e comunicare come la crisi climatica cambierà, non solo il paesaggio, ma il vivere stesso degli abitanti del delta padano.

ANCHE IN AMBITO TEATRALE vi sono gruppi impegnati sulle stesse tematiche, e l’esempio forse più rilevante viene dal Climate Change Theatre Action, nato a New York proprio nel 2015, che ha dato luogo a un festival mondiale di opere sulla crisi climatica che si svolge ogni due anni in concomitanza con le riunioni della COP delle Nazioni Unite, e che vede la partecipazione di attori di svariati paesi convinti che i problemi complessi debbano essere affrontati con sforzi collaborativi fra artisti di tutte le discipline.

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UNO DEI PRIMI LAVORI TEATRALI sull’innalzamento del livello del mare è The Contingency Plan (2009), in cui il fenomeno colpisce l’Inghilterra meridionale e mostra l’inadeguatezza della politica a gestire l’imminente catastrofe.

IN ITALIA VI SONO ALCUNE COMPAGNIE che occasionalmente affrontano queste tematiche, ma un impegno specifico se lo impone l’attore livornese Ephraim Pepe, che nel suo Diari di un cambiamento climatico, scende le scale di casa e infila i piedi nell’acqua: non è l’alta marea, ma l’inizio della sommersione della costa.

L’AMBIENTALISMO SI AFFACCIA presto nella musica, e se non vogliamo partire da Il ragazzo della via Gluck (1966) possiamo ricordare Joni Mitchell che, in Big Yellow Taxi (1970), cantava «Hanno asfaltato il paradiso per metterci un parcheggio», e «Non mi interessano le macchie sulle mie mele, lasciami gli uccelli e le api»; mentre per Neil Young, in Be the Rain (2003), «Il ghiaccio si sta sciogliendo, Dobbiamo salvare la Madre Terra».

LA SPERANZA CHE SI POSSA ANCORA FARE qualcosa svanisce negli ultimi anni e Billie Eilish, nel pessimistico All the Good Girls Go to Hell (2019) canta «E una volta che l’acqua inizia a salire», «Non c’è più niente da salvare adesso, E il paradiso è fuori dalla vista».

ANCOR PIÙ DRAMMATICO È 4 Degrees, di Anohni, lanciato proprio nel 2015 in occasione della Conferenza sul clima di Parigi, in cui al raggiungimento di quella soglia estrema (+4°C) canta: «Voglio sentire i cani piangere per l’acqua, Voglio vedere i pesci andare a pancia in su nel mare, E tutti quei lemuri e tutte quelle piccole creature, Voglio vederli bruciare, Sono solo 4 gradi!».

GUARDANDO AL CONTRIBUTO che sta dando la pittura, viene subito da pensare a Bansky con There Is No Planet B, ma l’artista non ha mai scritto questa frase, anche se molti murales che imitano il suo stile la riportano.

INNOVATIVE SONO LE TECNICHE USATE da Diane Burko per rappresentare l’evoluzione del paesaggio sotto l’influenza del cambiamento climatico sia in zone iconiche degli Stati Uniti, sia in ambienti estremi come l’Artico o la foresta amazzonica. Questa artista attinge anche a immagini satellitari, aeree e da drone, per produrre quadri, foto e video, fino a creare immagini lenticolari nelle quali varie forme si susseguono in una animazione che mostra l’espansione degli incendi in Amazzonia, lo sbiancamento della barriera corallina o il ritiro dei ghiacciai.

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SEAN YORO (IN ARTE HULA) in piedi su di una tavola da paddle dipinge superfici sul bordo dell’acqua (dighe portuali, piloni di pontili, relitti, …) in modo che l’oscillazione della marea periodicamente li sommerga. Anche se spesso si tratta di figure femminili, l’effetto di sommersione lancia un messaggio su quanto effimera sia la nostra presenza in prossimità del mare.

ANCOR PIÙ ESPLICITE sono le installazioni di Eve Mosher, che, con la macchina che si usa per tracciare le linee nei campi sportivi, ha disegnato la linea di riva di un futuro livello del mare (+3 m) in diverse città americane, fra cui New York (per 113 km) e Miami (per 42 km), spiegandone il significato a tutti coloro che, incuriositi, le chiedevano cosa stesse facendo.

É ANCHE CON L’AIUTO DI TUTTE queste forme di espressione che si può comunicare la gravità delle ricadute che il riscaldamento climatico avrà su tutti noi, raggiungendo anche quella fetta di popolazione meno aperta ai messaggi scientifici e alla quale spesso si rivolgono le politiche negazioniste, che oggi è ancor più necessario contrastare.



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