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L’Agenzia delle Entrate ha un limite temporale per effettuare i controlli fiscali? Quanto è chiaro questo limite e cosa viene stabilito dalla legge per garantire un rapporto trasparente tra il fisco e i cittadini? Scopriamolo insieme
Funzionalmente legati ai tempi previsti per l’accertamento dei redditi sono anche i tempi di conservazione dei documenti fiscali.
In generale, l‘art. 2220 del c.c. stabilisce che i documenti contabili debbano essere conservati per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione.
Analogamente, in ambito fiscale, l’art. 8 dello st. del contribuente stabilisce che la conservazione della documentazione fiscale, inclusi i registri contabili, non può superare il termine di dieci anni dalla loro formazione, emanazione o utilizzo. Dopo il decennio, l’amministrazione fiscale non può più fondare alcuna pretesa sulla documentazione scaduta.
- devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Quindi, ad esempio, per un reddito del 2020, l’Agenzia può procedere con un controllo fino al 2025;
- nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla, l’avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata;
- fino alla scadenza del termine stabilito nei punti precedenti, l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte.
Un’importante novità deriva, inoltre, dalla sentenza della Cassazione n. 4638/2024, che ha chiarito come la documentazione relativa a vantaggi fiscali ottenuti dal contribuente, per esempio in relazione ad agevolazioni fiscali, debba essere conservata anche oltre i dieci anni. Questo significa che un contribuente che si avvale di agevolazioni fiscali è obbligato a conservare la documentazione per periodi più lunghi, a meno che non intervenga un accertamento fiscale prima della scadenza del termine decennale.
In questo contesto, la giurisprudenza sembra orientarsi verso la necessità di garantire che i contribuenti non possano avvalersi del termine decennale per eludere l’onere probatorio nei casi di agevolazioni fiscali.
La notifica dell’avviso di accertamento – si sottolinea – è un passaggio fondamentale. Se l’Agenzia delle Entrate non invia tale avviso entro i termini stabiliti, il contribuente non sarà più sottoposto a verifica per quel periodo d’imposta.
Ma qual è la corretta modalità di prova per il perfezionamento della notifica di un atto impositivo tramite servizio postale? Se l’atto non viene consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo, per sua temporanea assenza o per l’assenza di altre persone idonee a riceverlo, come si può dimostrare che il procedimento notificatorio si è effettivamente perfezionato?
Secondo l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, che è stato suggellato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 10012//2021 e ribadito, successivamente, con l’ordinanza 26957/2024, “in tema di notifica di un atto impositivo tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata (artt. 24 e 111, comma 2, Cost.) dell’art. 8 della L n. 890 del 1982 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito, non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa”.
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