L’Unione Europea, si sa, è un colosso burocratico capace di celare dietro astrusi tecnicismi operazioni tutt’altro che trasparenti. L’ultima in ordine di tempo riguarda una maxi-erogazione da 132,82 milioni di euro destinata ai media nell’anno delle elezioni europee, un fiume di denaro che, anziché garantire un’informazione indipendente, solleva più di un dubbio sui rapporti tra istituzioni comunitarie e mondo dell’informazione.
A orchestrare questa manovra, sotto il segno del Partito Popolare Europeo, sono Roberta Metsola, presidente del Parlamento UE, e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione. I fondi, secondo quanto rivelato da Il Fatto Quotidiano, non sono stati distribuiti direttamente ai media, ma affidati a un intermediario privato: Havas Media France, agenzia pubblicitaria del gruppo Vivendi. Un dettaglio non secondario, perché consente di aggirare i vincoli di trasparenza e di rendere opaca la destinazione finale del denaro.
Il trucco del “contratto quadro”
La chiave del meccanismo è un “framework contract”, il contratto quadro siglato il 5 settembre 2023 con la sigla Comm/Dg/Fmw/2023/30. In pratica, invece di distribuire direttamente i fondi ai media, la Commissione ha affidato il pacchetto a Havas, che poi ha provveduto alla ripartizione. Il vantaggio? Evitare di rendere pubblici i singoli pagamenti e i destinatari.
Infatti, mentre qualsiasi pagamento superiore ai 14.000 euro dovrebbe essere registrato nel database pubblico ted.europa.eu, il ricorso a un intermediario consente di aggirare questa regola. Se qualcuno provasse a cercare gli esborsi a Mediaset, Repubblica, Corriere della Sera o altre testate italiane, difficilmente troverebbe qualcosa, perché il denaro passa attraverso la società terza. Una formula perfetta per mantenere il segreto su chi riceve cosa.
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Media pagati per “servizi graditi”
Il punto, però, non è solo la mancanza di trasparenza. Il Fatto ha rivelato che i fondi destinati ai principali media italiani – Rai, Mediaset, Sky, Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 Ore, Ansa, Agi, AdnKronos, Citynews – non si limitano all’acquisto di spazi pubblicitari. In alcuni casi, servono per la produzione di articoli e servizi “graditi” ai vertici UE.
Un esempio? Repubblica, legata agli Agnelli-Elkann, ha stretto una “partnership” con il Parlamento UE e la Commissione per pubblicare articoli sulle elezioni europee in cambio di denaro pubblico. Un accordo che, inizialmente fissato a 62.000 euro, non è mai stato messo a gara, contravvenendo ai limiti sui pagamenti diretti superiori a 14.000 euro. Ma grazie al contratto con Havas, tutto è rientrato nella cornice del “contratto quadro”, bypassando i controlli.
Il nodo politico: informazione o propaganda?
Se fosse solo una questione di pubblicità istituzionale, nulla da obiettare. Ma il problema è che questi fondi potrebbero per influenzare la linea editoriale di media che dovrebbero garantire un’informazione indipendente, soprattutto quando si parla di Unione Europea. Perché Parlamento, Commissione e Consiglio UE, dotati di propri uffici stampa e canali di comunicazione, sentono il bisogno di finanziare direttamente i media? È legittimo il sospetto che questo sistema serva a garantire una narrazione favorevole all’UE, camuffata da informazione neutrale.
Metsola e von der Leyen, interpellate dal Fatto, hanno risposto con formule burocratiche: il contratto con Havas è regolare e protegge gli “interessi commerciali” degli operatori. Ma la vera domanda resta inevasa: quanto può essere indipendente un giornale che riceve finanziamenti, per di più riservati, dalle istituzioni che dovrebbe controllare? E soprattutto: se non c’è nulla da nascondere, perché tutto questo segreto?
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