DONALD TRUMP, LA DESTRA ITALIANA E IL TRIONFO DELLA FREGNACCIA PERENTORIA – cariatinet.it

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Fregnaccia perentoria: Affermazione palesemente esagerata o erronea o sia esagerata che erronea, formulata ripetutamente, con voce stentorea e ferma convinzione. (Definizione coniata da Fortebraccio, compianto editorialista del pure compianto quotidiano “L’Unità”)

Ovviamente non si tratta di una novità: la fregnaccia perentoria è una figura retorica che domina il mondo della politica da tempi immemori spesso generando insperati successi, come ad esempio quando l’imperatore Costantino raccontò ai suoi legionari cristiani di aver ammirato, durante una visione notturna, un’insegna luminosa che diceva “In hoc signo vinces”.

L’espressione “Fregnaccia perentoria” era riferita da Fortebraccio alle affermazioni di certi politici democristiani le cui balle tuttavia, paragonate con quelle che si producono oggigiorno, farebbero tenerezza.

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Le fregnacce perentorie piacciono alle folle adoranti del leader di turno. Come non ricordare il giubilo degli italiani plaudenti quando Benito Mussolini evocava otto milioni di baionette, prometteva di spezzare le reni alla Grecia e con granitica certezza affermava “La parola d’ordine è vincere, e vinceremo!”?

La fregnaccia perentoria, dopo il Ventennio, in Italia fu comunque utilizzata dai politici, nonostante il sarcasmo di Fortebraccio, con una certa parsimonia e perfino con qualche imbarazzo. Il suo entusiastico e sistematico rilancio si deve a Silvio Berlusconi, che autodefinendosi “presidente operaio” giurò sui suoi figli di non aver mai commesso reati, di non aver nulla da spartire con la mafia, di non aver mai evaso le tasse e di fare politica per amore dell’Italia, non per proteggere i suoi interessi privati; egli assicurò inoltre che Ruby Rubacuori era la nipotina di Mubarak, e, oltre che ricchezza per tutti e tasse per nessuno, promise anche il mitico milione di posti di lavoro.

Sdoganato da Berlusconi, l’uso si è poi diffuso a macchia d’olio ed è partita nel Bel Paese la gara a chi la sparava più grossa, incentivata ed alimentata dalla nascita e dalla diffusione dei social media, notoriamente fonte alla quale si abbeverano con particolare entusiasmo i membri meno avveduti della società, quelli che amano sentirsi lisciare il pelo, farsi fare promesse che poi dimenticano, e sono soliti parteggiare e tifare più che avere delle idee, o almeno cercare di capirle.
Come dimenticare la certezza grillina che chiunque possa fare il deputato o il ministro, la promessa di non fare alleanze e la successiva dichiarazione dell’avvenuta abolizione della povertà?

Dal lato sinistro dell’emiciclo della politica le promesse (alias fregnacce) sono tendenzialmente argomentate e infarcite di condizioni, premesse, circonlocuzioni e periodi ipotetici che annoiano il pubblico e lo spingono a guardare dall’altra parte. Molto più sicuri di sé si dimostrano infatti i politici di destra, come dimostrano spericolate ma lapidarie (e quindi di facile impatto) affermazioni quali:

Sono cristiano/a;
La Padania non è Italia;
Prima gli italiani;
Per prima cosa, appena al governo, aboliremo le accise sui carburanti;
Abbiamo investito sul sistema sanitario come nessuno prima di noi;
Non vogliamo asservire la magistratura alla politica;
Tutti gli italiani, se vogliono, possono fermare un treno in una stazione a piacere;
Il ponte sullo Stretto di Messina porterà benessere a tutto il meridione;
Risolveremo il problema dell’immigrazione clandestina con i centri di detenzione in Albania;
I centri di detenzione in Albania fun-zio-ne-ran-no!
La riforma del premierato non tocca i poteri del Presidente della Repubblica;
Noi abbiamo messo fine alla politica dell’amichettismo;
Io non sono ricattabile;
Eccetera, eccetera (sicuramente ne ho omessa qualcuna).

Bisogna anche dire che dal lato destro della barricata non sono solo i politici ad abbandonarsi a siffatte dichiarazioni, in quanto ad essi si associano, ribadendone e confermandone con serafica autorevolezza le fregnacce perentorie,  le voci di noti esponenti del mondo del giornalismo quali Italo Bocchino, Mario Sechi, Mario Giordano, Bruno Vespa e Nicola Porro, che mettono in imbarazzo la giuria del Premio Faccia Di Bronzo (presieduta da  Emilio Fede) che, probabilmente, lo erogherà ex aequo a tutti loro.

Resta il fatto che, forse facendo tesoro dell’insegnamento berlusconiano o forse per un suo innato talento naturale, a livello mondiale il Gran Maestro della Fregnaccia Perentoria è senza ombra di dubbio il nuovo (o seminuovo, o riciclato) presidente degli Stati Uniti Donald Trump, autore impareggiabile di dichiarazioni di sfacciata, ineguagliabile, straordinaria ed encomiabile fregnacciaggine. Ne cito qualcuna:

Il Canada deve diventare il 51° Stato degli   USA;
Il Canale di Panama deve essere restituito agli USA;
La Striscia di Gaza deve diventare di proprietà degli USA;
I Palestinesi se li debbono prendere Egitto, Giordania e Arabia Saudita;
I Palestinesi saranno felici di andarsene dalla Striscia;
Le tasse degli americani le deve pagare il resto del mondo attraverso i dazi doganali che imporrò sulle importazioni;
La Danimarca deve vendere la Groenlandia agli USA;
Il mutamento climatico non esiste;
Gli statunitensi hanno il diritto di corrompere gli stranieri per fare affari;
Il covid si cura con la varechina;
Io sono l’eletto del Signore;
Dopo la mia rielezione, farò finire in 24 ore la guerra in Ucraina;
Dopo la mia rielezione, in 24 ore riporterò la pace in Medio Oriente;
Eccetera, eccetera (sicuramente, anche qui, ne ho omessa qualcuna)

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C’è inoltre una grande differenza tra le fregnacce perentorie di casa nostra e quelle che, con frequenza quotidiana, risuonano dalla Casa Bianca, e questa differenza sta nell’enorme potere – militare, politico, finanziario, economico e non da ultimo mediatico – che si concentra nelle mani di Trump e dei suoi più fedeli sodali. Un potere tale da rendere le sue perentorie fregnacce, per quanto madornali, non solo plausibili ma alla fin fine perfino realizzabili.

E questo è l’aspetto della faccenda che, credetemi, mi mette addosso una paura fottuta.

Giuseppe Riccardo Festa





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