Aumentano le violenze in Cisgiordania. «Mai visto niente di simile»

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Sondos Shalabi era incinta all’ottavo mese quando è stata uccisa domenica dall’esercito israeliano mentre cercava di abbandonare il campo profughi di Nur Shams, nella città di Tulkarm, nella Cisgiordania settentrionale. Né lei, né il bambino sono sopravvissuti, il marito è in fin di vita. L’accerchiamento del campo profughi, iniziato sabato, fa parte dell’offensiva senza precedenti lanciata da Israele tre giorni dopo la tregua con Hamas a Gaza per «sconfiggere il terrorismo» in Cisgiordania. A causa degli attacchi a Tubas, Jenin e Tulkarm i campi profughi di Jenin, Tulkarm, Nur Shams e El Far’a si sono parzialmente svuotati e già 40 mila palestinesi sono stati sfollati, secondo i dati dell’Onu.

L’operazione “Muro di ferro”

L’Acled, l’Ong più scrupolosa al mondo nel monitoraggio dei conflitti, scrive che a gennaio in Cisgiordania sono stati uccisi da Israele 70 palestinesi, 44 dei quali nel primo mese dell’anno nall’ambito dell’operazione “Muro di ferro”, lanciata il 21 gennaio in Cisgiordania e ancora in corso. Le violenze, rispetto a dicembre, sono aumentate del 14%.

Dal 7 ottobre 2023, tra civili e miliziani di gruppi terroristici, sono stati uccisi in Cisgiordania almeno 905 palestinesi, secondo il ministero della Salute palestinese. Nello stesso periodo, hanno perso la vita almeno 32 israeliani, tra soldati dell’esercito e coloni.

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Israele blocca i soccorsi

Shalabi e il marito volevano mettersi in salvo prima che l’esercito israeliano entrasse nel campo profughi, ma sono stati raggiunti dal fuoco israeliano mentre scappavano, riporta l’Associated Press. La Mezzaluna rossa ha provato a correre in loro soccorso due volte, ma i medici sono stati bloccati dai soldati.

Poche ore dopo un’altra ragazza palestinese di 21 anni è stata uccisa quando l’esercito israeliano, per fare irruzione in casa sua, ha fatto saltare in aria la porta di ingresso. Lei si trovava dietro la porta. L’esercito ha detto che aprirà un’indagine.

«Vogliono distruggere la Cisgiordania»

In un editoriale Haaretz, quotidiano di sinistra fortemente critico del governo Netanyahu, ha accusato il primo ministro di «volere ridurre la Cisgiordania a un cumulo di macerie come Gaza». Nell’ultimo mese l’esercito e le frange più estremiste dei coloni hanno aumentato la violenza verso i palestinesi in modo esponenziale. «Viviamo barricati in casa, non osiamo mettere un piede fuori neanche per comprare da mangiare», ha dichiarato padre Amer Jubran a Vatican News, parroco della chiesa cattolica latina di Jenin. «Non è la prima volta che l’esercito attacca Jenin, ma ora abbiamo paura che l’occupazione diventi permanente».

Secondo il sacerdote, «circa 20 mila persone sono scappate dalle loro case nei villaggi vicini in cerca di un rifugio sicuro. Molti non possono più lavorare perché i check-point verso nord sono chiusi. Molte case non hanno più acqua perché le cisterne sono state distrutte e le strade bloccate. Anche alcune case dei cristiani sono state demolite. Uscire di casa è molto pericoloso ma io non ho nessuna intenzione di andarmene dalla mia terra».

Colonne di fumo si alzano dal campo profughi di Jenin in Cisgiordania dopo un attacco israeliano (foto Ansa)

«Mai visto nulla di simile»

Padre Bashar Fawadleh, parroco di Taybeh, è sconvolto dall’evolversi della situazione. «Speriamo che quanto successo a Gaza non si ripeta anche in Cisgiordania. Siamo al cospetto di un governo fanatico», ha dichiarato ad AsiaNews.

«Non si è mai visto nulla di simile nemmeno ai tempi della Seconda intifada. Si registrano continui attacchi dei coloni, colpiscono le persone e non disdegnano l’uso di armi da fuoco. Ci sono posti di blocco e controlli ovunque, le vie di collegamento con Nablus, Ramallah e Gerico sono chiuse, non possiamo muoverci, la situazione è difficile».

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Aumenta la violenza in Cisgiordania

Da quando ha iniziato a occupare la Cisgiordania, nel 1967, Israele ha costruito 160 insediamenti, illegali per il diritto internazionale, e oltre 200 avamposti (illegali anche per la legge israeliana) che oggi ospitano oltre 500 mila coloni, quasi un terzo dell’intera popolazione del territorio palestinese.

Come dichiarato a Tempi da Ameneh Mehvar, analista di Acled, «la violenza dei coloni non è un fenomeno nuovo in Cisgiordania, ma dopo il 7 ottobre 2023 è esplosa a livelli mai registrati prima» e a partire dal 21 gennaio è ulteriormente peggiorata. Secondo Dror Etkes, attivista israeliano per i diritti umani, fondatore dell’associazione Kerem Navot, che monitora l’espropriazione delle terre palestinesi in Cisgiordania, le cause dell’aumento delle violenze sono tante.


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I coloni sono sempre più estremisti

Da un lato «la guerra ha fornito ai coloni più violenti la scusa perfetta per portare avanti il loro piano originario: sbarazzarsi delle comunità palestinesi». Dall’altro, il governo israeliano, soprattutto grazie alla volontà dei ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, ha permesso a un numero sempre più ampio di coloni di portare armi.

Infine, con lo spostamento di molti soldati a Gaza e in Libano, «l’amministrazione dei territori palestinesi è stata in parte affidata a coloni riservisti» e questo ha reso esplosiva una situazione già instabile. Se l’impunità dei violenti, in precedenza, era già garantita dal fatto che «i soldati e i coloni in molti casi mangiano e celebrano lo shabbat insieme», spiega Mehvar, ora il legame è diventato simbiotico.

Per l’analista di Acled, l’espansione delle colonie ha come scopo «l’annessione di fatto della Cisgiordania»: «Se domani venisse trovato un accordo per la creazione di uno Stato palestinese, come farebbe Israele a deportare 500 mila coloni, di cui la metà armati? Scoppierebbe una guerra».

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I familiari degli ostaggi protestano in Israele davanti alla residenza di Benjamin Netanyahu chiedendo il ritorno a casa dei loro familiari e la fine della guerra (foto Ansa)
I familiari degli ostaggi protestano in Israele davanti alla residenza di Benjamin Netanyahu chiedendo la fine della guerra (foto Ansa)

Chiusa libreria storica di Gerusalemme

La postura sempre più intransigente del governo israeliano verso i palestinesi ha portato anche alla inedita chiusura a Gerusalemme Est della famosa libreria palestinese “Educational Bookshop” e all’arresto dei proprietari, Mahmoud e Ahmad Muna. Tel Aviv ha affermato che la libreria diffonde contenuti che “incitano alla violenza” e ha pubblicato una foto di un testo per bambini intitolato “From the River to the Sea”, slogan spesso associato alla distruzione di Israele. L’avvocato dei Muna, citato dalla Cnn, ha dichiarato che il libro non poneva alcuna minaccia a Israele e che non era neanche in vendita, essendo stato rinvenuto solo in magazzino. L’accusa ai proprietari ora è stata derubricata a “turbamento dell’ordine pubblico”.

L’attività della libreria è stata difesa anche dall’ambasciatore tedesco in Israele, Steffen Seibert: «So che i proprietari sono orgogliosi palestinesi di Gerusalemme, amanti della pace, aperti alla discussione e allo scambio intellettuale. Sono preoccupato per il raid e la loro detenzione in prigione». Nathan Thrall, giornalista americano residente a Gerusalemme, premio Pulitzer 2024, ha attaccato duramente Israele: «Il sequestro di testi solo perché contenevano nel titolo la parola “Palestina” o la bandiera palestinese è un oltraggio inaccettabile. E il fatto che Israele abbia preso i Muna come obiettivo, sapendo benissimo delle relazioni nel mondo culturale e intellettuale che queste due persone hanno, la dice lunga sul grado di impunità che le autorità israeliane ritengono di avere. A mio avviso si tratta chiaramente di un altro step nella crescita di una politica di autoritarismo».

Hamas viola i termini della tregua

Donald Trump, dopo aver proposto di deportare i palestinesi di Gaza «altrove» e di acquistare la Striscia per trasformarla in una “riviera” turistica, ha dichiarato che nel giro di un mese farà sapere quali sono i piani della sua amministrazione per la Cisgiordania.

La situazione è ulteriormente aggravata dal comportamento criminale di Hamas, che non sta rispettando i termini della tregua. Come dichiarato ieri da Netanyahu, «se Hamas non restituirà i nostri ostaggi entro sabato a mezzogiorno, il cessate il fuoco terminerà e l’Idf riprenderà a combattere intensamente finché Hamas non sarà definitivamente sconfitto».

@LeoneGrotti

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