I centri in Albania sono ancora vuoti e il personale è stato licenziato: cosa succede ora

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 


La cooperativa Medihospes, incaricata della gestione dei centri per migranti in Albania, avrebbe interrotto il rapporto di lavoro con quasi tutti i suoi dipendenti. Il motivo? I centri sono vuoti e non c’è bisogno di personale. Decisione che mette nero su bianco il fallimento del piano voluto da Giorgia Meloni e dal premier albanese Edi Rama. A rivelarlo il quotidiano Domani.

Microcredito

per le aziende

 

Mentre il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi assicurava alla Camera che il progetto Italia-Albania sarebbe proseguito per “sviluppare le notevoli potenzialità di utilizzo delle strutture”, i lavoratori della cooperativa Medihospes ricevevano una lettera di licenziamento. Nel documento, ottenuto dal quotidiano Domani, si legge: “La informiamo che a causa di una serie di pronunce giudiziarie contraddittorie e non conformi agli orientamenti della Corte di Cassazione italiana, nonché dell’impossibilità momentanea di accogliere nuovi flussi di migranti, siamo costretti a sospendere temporaneamente il nostro servizio”.

La prefettura di Roma aveva affidato la gestione dei centri di Shengjin e Gjader a Medihospes nel maggio 2024, con un appalto senza gara dal valore di 151,5 milioni di euro per quattro anni. Otto mesi dopo però il contratto non era ancora stato firmato. E ora, con i centri praticamente inutilizzati, la cooperativa ha licenziato la quasi totalità del personale, lasciando solo pochi medici, addetti alle pulizie e le forze dell’ordine.

“I resti di quello che fu uno dei più potenti messaggi politici risalgono in disordine e senza speranza le onde che avevano discese con orgogliosa sicurezza”, ha scritto così il senatore Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Italia viva, sul suo profilo X (ex Twitter) “parafrasando”, come si legge in una nota, “il Bollettino della Vittoria del generale Diaz, a proposito della notizia del licenziamento dei lavoratori dei centri in Albania e della rescissione dei contratti”.

Contratti firmati in Albania con norme albanesi

Un altro dettaglio significativo emerso dalla lettera è che i contratti dei lavoratori sono stati regolati dalla normativa albanese e non da quella italiana: la Medihospes, infatti, ha aperto una sede in Albania con base a Tirana, guidata dallo stesso presidente della cooperativa italiana, Camillo Aceto. Così, pur essendo un progetto finanziato dall’Italia e sotto il controllo delle autorità italiane, ai lavoratori sono state applicate le leggi del lavoro albanesi.

Cosa diventeranno i centri in Albania

Con il piano attuale che sembra si stia sgretolando, il governo starebbe valutando una nuova strategia: l’ipotesi più concreta sarebbe quella di trasformare le strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio, i cosiddetti Cpr, che altro non sono che luoghi destinati a trattenere i migranti già sul territorio italiano prima di essere rimpatriati. Il problema, però, è che questi centri erano stati progettati per ospitare persone fermate in acque internazionali e sottoposte a procedure accelerate di frontiera, non quindi per chi è già sul suolo italiano. Se questa soluzione venisse confermata, sorgerebbero domande cruciali: come trasferire i richiedenti asilo in Albania? Chi se ne farà carico? E come garantire il rimpatrio nei paesi d’origine? Su questo punto, il ministro Piantedosi ha dichiarato: “Il governo è al lavoro per superare gli ostacoli”, ma la chiusura dei contratti ai lavoratori suggerisce proprio il contrario.

Il dibattito politico in Italia e in Albania

La possibile riconversione dei centri in Cpr avviene in un momento delicato per l’Albania, che si avvicina alle elezioni dell’11 maggio. Il premier Edi Rama, già aspramente criticato dalle opposizioni per l’accordo con l’Italia, potrebbe non voler rinegoziare i termini dell’intesa. Dall’altra parte, Sali Berisha, ex presidente albanese e leader dell’opposizione, ha dichiarato: “Noi non cambieremo una virgola di questo contratto, ma lo rispetteremo. Ci siamo opposti ai centri migranti in Albania per questioni umanitarie e abbiamo fatto ricorso”.

Intanto in Italia, il governo insiste nel dire che il progetto albanese è un modello da seguire, ma nei quindici mesi dall’approvazione del protocollo ci sono stati solo tre trasferimenti di richiedenti asilo, con una permanenza nei centri durata poche ore prima che i giudici ne ordinassero il rilascio e il ritorno in Italia. Se il piano del governo dovesse concretizzarsi, si tratterebbe tuttavia di un’inversione rispetto all’idea originale: il governo Meloni aveva promesso che i centri albanesi avrebbero avuto un effetto deterrente sui flussi migratori. Ma se questi si trasformassero in Cpr, i migranti entrerebbero comunque in Italia prima di essere trasferiti nei centri albanesi, annullando di fatto l’effetto dissuasivo tanto decantato.

Per ora, mentre l’esecutivo continua a difendere il progetto, i centri restano vuoti, il personale è stato licenziato e il piano Albania sembra sempre più vicino al tramonto.

Conto e carta

difficile da pignorare

 





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link