Con la Risposta n. 22/2025, l’Agenzia ha chiarito alcuni aspetti relativi al nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati, introdotto dall’art. 5, D.Lgs. n. 209/2023.
In particolare, il documento si concentra sulle condizioni per accedere alla tassazione agevolata per i soggetti che rientrano in Italia dopo un periodo di residenza all’estero e sulla rilevanza del rapporto contrattuale col precedente datore di lavoro estero.
Il decreto legislativo n. 209/2023 ha introdotto un nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati, con l’obiettivo di incentivare il rientro in Italia di professionisti altamente qualificati. In estrema sintesi, l’articolo 5 del decreto stabilisce che i redditi di lavoro dipendente e autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio italiano possono beneficiare di una tassazione ridotta. Tuttavia, per accedere a questo regime, è necessario rispettare alcune condizioni, tra cui:
- l’impegno a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo specifico
- il non essere stati residenti in Italia nei tre anni precedenti il trasferimento.
In caso di prestazione di lavoro per lo stesso soggetto presso il quale si era lavorato all’estero, il periodo minimo di permanenza all’estero è esteso a sei o sette anni, a seconda delle circostanze.
La tassazione ridotta riguarda esclusivamente i redditi indicati dalla norma che, entro un limite di 600.000 € annui, concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento del loro ammontare, senza che sia necessario il ragguaglio ad anno, anche nel caso in cui il trasferimento della residenza fiscale sia avvenuto nel corso del periodo d’imposta. La base imponibile è ulteriormente ridotta al 40 per cento in caso di :
a) il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore;
b) in caso di nascita di un figlio ovvero di adozione di un minore di età durante il periodo di fruizione del regime di cui al presente articolo. In tale caso il beneficio di cui al presente comma è fruito a partire dal periodo d’imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione .
Nei precedenti casi la riduzione è subordinata alla condizione che durante il periodo di fruizione del regime da parte del lavoratore, il figlio minore di età, ovvero il minore adottato, sia residente nel territorio dello Stato. Inoltre, la circostanza che successivamente al rientro i figli diventino maggiorenni non determina la perdita del maggiore beneficio fiscale fino al termine del periodo agevolato.
Riepilogata la normativa di riferimento, l’ Agenzia delle Entrate prende in considerazione i quesiti posti dal contribuente.
Si tratta di una lavoratrice che ha prestato la propria attività lavorativa in Italia dal gennaio 2015 al marzo 2018 e, successivamente, ha risieduto all’estero fino al 2024, lavorando come account manager in un’azienda di Zurigo dal 21 settembre 2020 al 27 giugno 2024. Il 15 agosto 2024, si è trasferita in Italia con la sua famiglia e ha richiesto la residenza anagrafica. Non essendo mai stata iscritta all’Aire, ha chiesto se potesse aver accesso al beneficio previsto dall’articolo 5 del decreto che ha disciplinato il nuovo regime agevolativo. La lavoratrice, cittadina francese, ha precisato anche di aver concluso un primo contratto di lavoro dipendente e aver stipulato contestualmente un nuovo contratto di consulenza con la stessa azienda per cui lavorava.
La Lavoratrice chiede delucidazioni se l’emissione di fatture ad unico cliente estero che , negli anni precedenti è stato il datore di lavoro, o la mancata iscrizione all’ AIRE, sostituita dalla residenza in nazioni estere con le quali l’ Italia intrattiene una convenzione contro le doppie imposizioni fiscali siano ostacolo alla fruizione del regime degli impatriati.
Quanto al primo quesito , l’ Amministrazione finanziaria non ritiene l’emissione di fatture un elemento preclusivo all’ accesso del regime agevolativo. In merito al secondo requisito, ritenuto inammissibile, viene rimarcato che la verifica relativa all’effettiva residenza fiscale deve essere fattuale e, pertanto, esula dall’ abito in cui l’ Agenzia può intervenire mediante interpello.
Nella determinazione della residenza fiscale, infatti, spiccano elementi fattuali riscontrabili solo in sede di accertamento. Si pensi al sistema di disposizioni che stabiliscono i requisiti per la qualificazione del soggetto come residente in Italia ( art. 2 e 73 TUIR ) , o le disposizioni che introducono specifiche presunzioni di residenza, suscettibili di prova contraria ( Art. 2, C. 2-bis e art. 73, c.3, 2° periodo e c. 5-bis ) per cui è essenziale verificare la veridicità e completezza.
Fonte : Agenzia delle Entrate
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