Altro che garage e ventenni spettinati: fare impresa innovativa costa, e non poco. E le società over 50 vanno meglio di tutte
Dimenticate il garage sotto casa e i ventenni spettinati in maglietta a maniche corte che armeggiano con cavi e computer. La startup non è più quella dell’era di Mark Zuckerberg che inventa Facebook poco più che maggiorenne cercando di rimorchiare ragazze al College, ma ormai è un affare per chi ha i capelli bianchi. Almeno così è nel pianeta «startup Italia». Tanto che ieri Unioncamere ha pubblicato uno studio che incorona il Piemonte come regione con il più alto numero di startupper under 35. «Addirittura» il 20% di giovani sul totale, è la sentenza degli analisti. Sorvolando che l’80% delle aziende, i nipotini di Steve Jobs e Zuckerberg, ora hanno i capelli bianchi.
L’incanutirsi della filiera dell’innovazione va di pari passo con l’evoluzione del concetto stesso di startup, ormai datato, essendo spuntato la prima volta negli anni Settanta negli Usa. Ma anche con il fatto che fare impresa, innovativa, e non, in Italia costa. E non poco. Con la raccolta do finanziamenti, nonostante i buoni propositi della nuova legge, che resta complicata per tutti. Figurarsi per i ventenni; e infatti il numero di startup stenta a crescere a Torino.
L’altra faccia della medaglia è il ritorno in pista di ex manager che si rimettono in gioco. Portando sul campo esperienza, competenza e anche qualche capitale in più in portafoglio. Sta di fatto che l’età media dei founder delle startup è salita a 45 anni. E per l’eco-sistema dell’innovazione non è necessariamente un male. Prendiamo il caso di AorticLab di Colleretto Giacosa, azienda specializzata in tecnologie biomedicali nel settore biomedicali, nominata Pmi innovativa 2024 del Piemonte. A fondare l’azienda ci sono due ex manager con esperienza trentennale (in Sorin) come Franco Osta, finanza e management; Enrico Pasquino; specializzato in ambito clinico e il cardiochirurgo Marco Vola. «Siamo due brillanti 66enni che in tarda età hanno deciso di diventare startupper — spiega Franco Osta —. Ci vuole una bella dose di coraggio a fare impresa in questo paese. Ma stiamo ottenendo buoni risultati». Una decina di brevetti, una ventina di dipendenti, tre round in totale di raccolta fondi e l’interesse di investitori anche dall’estero. «Qualcuno ci ha anche chiesto di andare all’estero, negli Usa. Ma abbiamo costruito una bella realtà qui nel Torinese».
Per Giancarlo Rocchietti, presidente del Club degli Investitori di Torino, l’innograzione non ha anagrafe né passaporto. «A me interessa la qualità della startup su cui investire. In genere l’esperienza dei founder è garanzia del successo. Ma puntiamo ovviamente anche sui giovani: contano le idee e l’execution».
Gli startupper over 50 sono una nuova «specie» nel grande calderone dell’innovazione. Se i «ragazzi» di Aortic Lab hanno potuto investire i risparmi di una vita per partire con una nuova avventura, ce ne sono altri che fanno gli startupper part-time. È il caso di Claudio Duino, 54 anni, che di giorno lavora in un’azienda di circuiti stampati di San Benigno e di notte o nei fine settimana porta avanti con tre amici il progetto di Power Meter, sistemi che favoriscono il risparmio energetico sia in casa che nelle fabbriche. «Ci entusiasma fare impresa. Ma capisco perché i più giovani fanno fatica: in Italia costa tutto troppo». E poi ci sono anche top manager pronti a buttarsi nella mischia. Come è successo a Lorenzo Sistino, classe 1962, che dopo 28 anni nell’automotive e undici a fianco di Sergio Marchionne, (è stato ad di Fiat Worlwide e nel comitato esecutivo di Fca) ha creato e venduto con successo (a Facile.it) la startup Miacar nel settore del noleggio a lungo termine . «Fondata a 56 anni e compiuta la exit a 60. Ma non mi fermo qui — spiega Sistino — sto lavorando a un nuovo progetto sempre nel campo automotive. La passione per innovare e fare impresa non si ferma. Che poi innovare vuole dire tante cose, anche solo migliorare un processo, un servizio o un prodotto. A me entusiasma farlo e non smetterò mai».
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