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Alla Madonna del Conforto, loro patrona speciale, gli aretini si rivolgono da secoli nei momenti di prova della vita. Non è privo di significato, per chi legge la cronaca con sguardo non superficiale, che il giorno della sua celebrazione annuale – 15 febbraio – sia caduto pochi giorni dopo il varo in Consiglio regionale della Toscana della contestatissima legge che legalizza per la prima volta in Italia il suicidio assistito, anche se sulla carta vuole “solo” codificare l’iter per consentire in tempi certi e cadenzati a chi ne fa richiesta di ottenere l’assistenza del Servizio sanitario pubblico alla morte volontaria, se il suo caso soddisfa le condizioni indicate sei anni fa dalla Corte costituzionale nella “sentenza Cappato”.
Il Conforto di cui parla la fede e la storia di Arezzo nel giorno della grande festa della città attorno alla Madonna va in direzione opposta a un’apertura a percorsi di morte dentro le istituzioni di cura. Di questo drammatico paradosso si è fatto voce l’arcivescovo di Firenze Gherardo Gambelli, invitato dal confratello aretino Andrea Migliavacca a presiedere la celebrazione in Cattedrale: «Consolazione e conforto – ha scandito Gambelli – sono la considerazione che chiedono tanti malati, anche quelli terminali e i loro familiari. Alleviare solitudine e dolore delle persone che soffrono, migliorare l’accesso alle cure palliative e agli hospice, contrastando il senso di abbandono che conduce spesso alla disperazione, è segno vero di amore e cura, di rispetto del diritto alla vita».
E ricalcando le parole della nota dettata pochi minuti dopo il voto in Consiglio regionale dall’arcivescovo di Siena cardinale Paolo Lojudice a nome di tutti i vescovi toscani dei quali è presidente, monsignor Gambelli ha aggiunto che «una legge che sancisce il diritto alla morte non è certo un traguardo, ma una sconfitta per tutti. La priorità non può essere come si deve morire, ma proteggere la vita dall’origine sino al suo termine, e garantire a tutti fino alla fine un’esistenza dignitosa. La vita e non la morte è un bene, non si può essere convinti del contrario».
Incontrando poi i giornalisti al termine della celebrazione, l’arcivescovo di Firenze è tornato sul tema affermando che «noi vescovi toscani siamo tutti concordi nel dire che questa legge non è una legge giusta soprattutto perché scoraggia il lavoro di tante persone che vivono l’attenzione alle cure palliative, agli hospice e a tutto ciò che consente di non far sentire soli i malati. Questa è certamente la sfida: noi diciamo no alla legge, ma questo deve anche impegnarci perché le persone malate hanno bisogno di vicinanza. Solo così percepiscono che il suicidio non è l’unica strada, ma è piuttosto il vivere questa condizione accompagnati da tante persone che ci permette di vivere questo momento come un passaggio e non come una tragedia».
Gli ha fatto eco, accanto a lui, il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, delegato dell’episcopato toscano per la Pastorale sanitaria, che a caldo aveva parlato di una decisione che lascia « sgomenti e addolorati»: «La nostra posizione di Chiese toscane – ha dichiarato monsignor Migliavacca a margine della celebrazione mariana – viene dalla coralità del mondo medico del territorio. C’è un grande rischio in questa legge, che non è certo un traguardo o uno sviluppo per la nostra regione ma apre a una deriva estremamente pericolosa nel considerare la vita umana solo in base alla sua efficienza, così che quando sembra non servire più possiamo scartarla. Aggiungo che la legge tradisce la grande tradizione toscana, la terra di La Pira, delle Misericordie, e che per prima ha visto abolire la pena di morte. Qui c’è tutta una ricca tradizione di attenzione e di promozione della vita. In questo siamo stati i primi. E trovarsi ora primi sulla strada della morte provoca tristezza». Migliavacca esprime «l’auspicio che si percorrano le opportune vie costituzionali perché questa legge possa essere riformata e riconosciuta iniqua».
Da Pisa arriva una nota estremamente preoccupata della delegazione locale di Uneba, la rete di istituzioni assistenziali di ispirazione cristiana che si prendono cura di anziani, disabili e persone fragili, che riflettendo su cosa ha condotto a considerare plausibile una legge come quella approvata in Toscana vede «una differenza fondamentale tra due visioni antropologiche differenti, profondamente differenti. Da una parte coloro che ritengono che la vita umana abbia un valore “in funzione” di quanto produce, di quanto è bella, di quanto è forte, di quanto vale “esser vissuta”, di quanto non sia di disturbo o di “peso” a nessuno. Dall’altro una visione antropologia che riconosce la ‘vita umana’ come valore ontologico ed assoluto in sé che nessuno si può permettere di interrompere e fermare».
Alle voci di Gambelli e Migliavacca si è aggiunta nella stessa giornata quella del vescovo di Prato: «La pienezza e la dignità della vita dipendono dalla cura e dal sostegno che la famiglia e la società possono dare alle persone in difficoltà – ha detto monsignor Giovanni Nerbini –. Con i miei confratelli vescovi della Toscana abbiamo ribadito più volte l’importanza delle cure palliative e la necessità di rinnovare gli sforzi per accompagnare chi vive situazioni di fragilità. Il diritto di essere curati, il diritto a essere accuditi, il diritto ad avere speranza non devono essere sopraffatti dal diritto a morire, come quello sancito dalla recente legge regionale». Nerbini osserva che «questo non significa sostenere l’accanimento terapeutico, né l’esaltazione del dolore: per un cristiano la morte non è la fine ma un passaggio, è l’incontro con Dio, la morte esiste e non dobbiamo dimenticarlo». A far riflettere il vescovo di Prato sono anche i tempi di approvazione della legge: «Mi sono sembrati tutti passaggi molto brevi, non si è voluto trovare il modo di allargare la discussione su una questione delicata come quella del fine vita. Il dialogo e il confronto su questo grande tema sarebbe stato importante per far emergere ragioni e posizioni diverse» Visitando la Cooperativa Kepos e il Laboratorio Itaca Oami, impegnato a prendersi cura di persone con disabilità, monsignor Nerbini ha «potuto vedere e toccare con mano la forza e la bellezza della vita. Ho parlato con famiglie meravigliose, che mi hanno testimoniato l’amore e la dedizione con la quale assistono i propri figli e ho visto l’amorevole professionalità con la quale gli operatori e i volontari si occupano dei loro ospiti. In quei contesti, nei quali la fragilità, il dolore e anche la sofferenza, sono capite, supportate e sostenute, si assiste a un vero e proprio inno alla vita».
In movimento anche il fronte politico. I capigruppo del centrodestra in Consiglio regionale – Marco Stella (Forza Italia), Elena Meini (Lega) e Vittorio Fantozzi (Fratelli d’Italia) – hanno annunciato nel corso di una conferenza stampa a Firenze di aver presentato un ricorso al collegio di garanzia statutaria per chiedere se la legge approvata dal Consiglio regionale della Toscana, «ancorché dichiaratamente recante modalità organizzative, in assenza di una legge statale che assicuri la necessaria uniformità, risulti conforme allo Statuto della Regione». L’iter prevede che il collegio di garanzia decida entro pochi giorni se il ricorso è fondato, e in caso affermativo ha fino a 30 giorni di tempo per esprimersi. La mossa dell’opposizione in Consiglio regionale mira a fermare la legge, che finché è pendente il ricorso «non può essere promulgata e pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Toscana».
Ha collaborato Giacomo Gambassi
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