Montiferru, dal fuoco alla rinascita: con le prime 3mila piante nasce una “foresta per le api” dopo l’incendio del 2021

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di Andrea Tramonte

Era il 2021, tra il 24 e il 25 luglio, quando il fuoco divampò da un’auto in fiamme sulla provinciale – così stabilirono le indagini della Procura di Oristano – e si propagò, alimentato dal forte vento di maestrale e dalle temperature incandescenti, lungo le campagne di Santu Lussurgiu, Sennariolo, Bonarcado, Cuglieri, Scano di Montiferro, Tresnuraghes. Quello nel Montiferru è stato uno degli incendi più vasti che la Sardegna ricordi: a fuoco 13mila ettari di terreni, di cui 4mila di boschi. Scheletri di alberi senza foglie, l’aria densa, grumosa di cenere, pietre nere, piante polverizzate e cadaveri di animali – val la pena citarli: maiali, cervi, buoi, pecore, donnole, lepri, volpi, gatti selvatici, cavalli, asini, capre, cinghiali, martora, astori, passeri, cincia -, un ecosistema gravemente danneggiato e biodiversità cancellate.

Dalle ferite al tentativo di rinascita, con una serie di operazioni di riforestazione alcune delle quali portate avanti dalla Fondazione Medsea: l’ultima, avviata nelle scorse settimane, prevede la creazione di una “Foresta per le api”. Dopo i primi 5 ettari di olivi, lecci e arbusti della macchia mediterranea, ora si concentra l’attenzione sulle piante mellifere, ideali per sostenere gli insetti impollinatori. Nelle scorse settimane, il team di Medsea, sotto la guida di Maria Francesca Nonne – responsabile della campagna “A Forest for Bees” – ha iniziato i lavori di preparazione del terreno sul versante nord-occidentale del Colle Santa Vittoria a Sennariolo, piantando circa 3.000 nuove piante. Entro i prossimi due mesi, la riforestazione coprirà un ettaro di terreno, contribuendo a migliorare la biodiversità dell’area.

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Tra le piante scelte per la creazione di questa foresta mellifera ci sono specie come lavanda, rosmarino, elicriso, alaterno, corbezzolo, prugnolo selvatico e ginestra odorosa, mescolate con specie autoctone come cisto, lavanda stecca, mirto ed erica. L’obiettivo è creare un habitat favorevole per api e altri impollinatori, cruciali per la riproduzione delle piante e la produzione di frutti e semi. “Abbiamo selezionato le specie più adatte a resistere in quest’area esposta ai venti e su terreni rocciosi, per garantire un maggiore attecchimento e resilienza ai cambiamenti climatici”, ha spiegato Nonne. La riforestazione non ha solo lo scopo di rigenerare il Montiferru devastato dall’incendio, ma anche di proteggere la biodiversità e supportare le api, la cui sopravvivenza è minacciata dal riscaldamento globale.

Un elemento chiave del progetto è il ripristino di un equilibrio naturale, fondamentale per la vita degli impollinatori e dell’avifauna. Nonne ha sottolineato l’importanza di reintrodurre piante che scompaiono a causa degli incendi, spesso sostituite da specie più aggressive come il cisto. Per aiutare gli insetti durante i periodi più critici, sono stati installati cinque piccoli invasi d’acqua nella zona. Le api, in particolare, giocano un ruolo essenziale nell’ecosistema, permettendo la riproduzione delle piante selvatiche e alimentari. Senza il loro lavoro di impollinazione, un terzo delle piante non produrrebbe frutti e semi, con conseguenze negative per la sicurezza alimentare. “La campagna ‘Una Foresta per le api’ mira a ricreare le condizioni ideali per ospitare questi insetti fondamentali, che contribuiscono alla sicurezza alimentare e al mantenimento degli ecosistemi”, ha dichiarato Piera Pala, presidente della fondazione Medsea.

Il progetto è supportato da aziende e iniziative internazionali e locali, come Roamers, Patagonia, Extreme E, PlanBee e Coopagri Sardegna, che hanno deciso di contribuire alla riforestazione e alla sensibilizzazione del pubblico sull’importanza della biodiversità. L’obiettivo è piantare un totale di 15 ettari di foresta diffusa per le api su tutto il territorio della Sardegna. “Ogni contributo, anche piccolo, è un passo verso un futuro più sostenibile”, ha aggiunto Pala.

L’incendio del 2021 è qualificabile come evento estremo, per l’intensità delle fiamme – hanno bruciato per 60 ore – e per la quantità di ettari devastati. I cambiamenti climatici hanno un impatto tale che questi eventi estremi – dalla siccità alle precipitazioni concentrate e violente fino ai maxi-incendi – diventano sempre meno “estremi” e più regolari. Le temperature aumentano e le precipitazioni diminuiscono e questo mix – insieme alle attività umane – contribuisce a intensificare i roghi. “La futura variabilità climatica aggraverà ulteriormente il rischio di incendi in molte zone con conseguenti impatti su persone, beni ed ecosistemi esposti nelle aree più vulnerabili – spiegano da Medsea -. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento delle temperature medie e a un allungamento sia dei periodi di pioggia durante gli inverni sia di quelli di siccità durante le estati, che riducendo l’umidità della vegetazione facilitano la diffusione delle fiamme. Anche la maggiore abbondanza di piogge invernali, in realtà, può favorire gli incendi estivi, perché causa una maggiore crescita delle piante che nella stagione secca diventano materiale da combustione”.

La Fondazione negli anni scorsi ha lanciato un altro progetto, chiamato Hope for Sennariolo, per recuperare alberi e arbusti danneggiati dagli incendi e porre le basi per un’azione integrata di ripristino del territorio. Il progetto si è sviluppato nel sito di Santa Vittoria per recuperare il bosco, proteggere la biodiversità e la zona dagli eventi estremi e “migliorare la resilienza complessiva dell’area verso eventi climatici come incendi, inondazioni e ondate di calore”, spiegano. In primavera c’è stata la messa a dimora di 4.500 piante tra lecci, ulivi e altri arbusti della macchia mediterranea su 4 ettari e mezzo nel colle. Il ripristino della vegetazione e delle colture è stato un aspetto essenziale del tentativo di dare nuovo slancio e vita al territorio. Per riparare i danni, anche quando i danni sono difficilmente riparabili.





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