Tregua o no, Israele sta creando lo stato palestinese

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La tregua scricchiola ma l’odio reciproco rafforza entrambi gli estremismi. I palestinesi non accettano di divenire arabi generici o membri di qualche altra nazione araba. Ogni guerra contribuisce ad indurire ancor più la loro determinazione 

Siamo arrivati agli uomini e l’orrore si allarga tanto da far scricchiolare la tregua. Dopo le donne, Hamas sta liberando i maschi. E li vediamo emaciati, ridotti a scheletri. Lo stesso avviene in senso opposto: i prigionieri maschi usciti dalle galere israeliane sono denutriti e con gli occhi sbarrati dalle condizioni di detenzione.

È in corso anche sui media un’atroce macabra gara su chi avrebbe sofferto di più: l’odio reciproco si tocca con mano laddove cade  ogni tabù. Il corpo del prigioniero porta i segni del disprezzo del popolo avverso. Intanto si discute su cosa fare di Gaza: l’accordo imporrebbe di riprendere i negoziati per una seconda fase ma in Israele c’è chi spinge per la fine della tregua. Ogni immagine  delle liberazioni operate da Hamas (con il loro assurdo teatro) diviene motivo di contrapposizione ulteriore. Non pare che l’amministrazione Trump si muova con decisione.

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Certo che i palestinesi di Gaza vorrebbero vivere in un posto meno violento, come ha detto The Donald. Ma non possono permetterselo: resta loro solo quel pezzetto di terra o altrimenti sarebbero condannati all’esilio perpetuo. E questo gli israeliani dovrebbero capirlo meglio degli altri. La storia si è accanita su questa piccola Striscia diventata il simbolo di tanto male condensato.

Male per i vari conflitti che vi sono succeduti; male per la guerra civile tra palestinesi che fece emergere Hamas; male per la decisione di Hamas di usare il proprio popolo come scudo per un’ideologia assassina; male per le continue pressioni israeliane che da decenni chiudono Gaza in una gabbia infernale senza sbocchi (senza porti o aeroporti, senza poter uscire…). Male per l’atroce attacco del 7 ottobre e la vendetta senza limiti voluta da Israele che ha ridotto tutto in macerie.

Male per gli ostaggi rapiti e uccisi e per i civili schiacciati sotto le bombe. Le macerie sono il destino di quel popolo che resta ferocemente attaccato ad esse. Le immagini della folla dolente che si muove da nord a sud e viceversa, sono un dramma umano senza limiti ma anche un simbolo: quello di un popolo che sente la sua identità viva, reale e definitiva.

I palestinesi non si considereranno mai “arabi generici” o membri di qualche altra nazione araba: resteranno palestinesi e di conseguenza vorranno rimanere sul posto. Ogni guerra contribuisce ad indurire e rafforzare la loro determinazione. Più gli israeliani distruggono le loro case e palazzi, più riducono in polvere strade e scuole, più gli rendono la vita impossibile e più i palestinesi diventano resilienti e rafforzano la loro volontà. 

Si dice che è impossibile ricostruire Gaza con la popolazione dentro: ma la Germania dell’anno zero, vinta e ridotta in macerie, fu ricostruita senza spostare le persone, anzi con molti più tedeschi per i milioni di profughi provenienti dai territori orientali. Israele dovrebbe saperlo meglio di altri: un popolo resta se stesso anche a causa delle sofferenze che patisce. La resilienza palestinese non è priva di colpe: gli attacchi del 7 ottobre e tanti altri attentati di Hamas, o di altre sigle prima di questa, dimostrano che c’è molto da fare per rendere la Palestina un paese vero, democratico e libero da radicalismi.

Ciò non può avvenire nella guerra ma solo con la pace e con la nascita dello stato. Il popolo palestinese rappresenta un paradosso: mentre la popolazione è sempre più unita e sopporta ogni male, i politici sono divisissimi. Le fazioni palestinesi sono almeno 14 e nessuno per ora è riuscito a unificarle. I vari governi di Israele hanno saputo dividere, comprare e manipolare ma ciò non ha intaccato minimamente il sentimento popolare profondo. Perciò Hamas si traveste da stato prima ancora che esso esista politicamente.

D’altronde l’Olp o al Fatah non esistono più nella Striscia mentre Hamas è forte in Cisgiordania: se mai un giorno ci saranno elezioni palestinesi, si vedrà che Hamas rimane maggioritaria. In Occidente la scambiamo per un movimento fondamentalista ma in realtà si tratta di un movimento di resistenza nazionalista, la cui patina religiosa è essenzialmente identitaria. Le atrocità che commette sono quelle di altre guerre di liberazione o della decolonizzazione. Israele paradossalmente le fornisce la migliore campagna elettorale possibile.

D’altro canto la sua esistenza è la più grande giustificazione per la tenuta della maggioranza di Netanyahu, permettendogli di restare saldo al potere. Trump e il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman vorrebbero mettere in moto il lucroso cantiere della ricostruzione: pensano di risolvere tutto con i soldi. Netanyahu ha invece bisogno che la guerra, magari a bassa intensità, continui. Hamas segue la stessa linea. Vedremo chi la spunterà. 

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