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Questo cibo poverissimo (neve mescolata con il miele) che ha fatto la sua comparsa al festival di Sanremo è l’occasione per una riflessione: le forze progressiste devono ripartire dalle aree dimenticate di questo paese, mettendo al centro le diseguaglianze

In uno dei rari momenti in cui il mondo reale è sembrato irrompere con la sua esistenza nonostante l’assordante silenzio sulle cose serie – Sanremo è stata l’occasione per venire a conoscenza della “scirubetta”. Un cibo poverissimo, che attraversa tradizioni differenti mediterranee e che viene ricordato in un passaggio della bella canzone di Brunori Sas.

La neve appena scesa viene mescolata col miele per dar luogo a una specie di sorbetto: «Sono cresciuto in una terra crudele dove la neve si mescola al miele», canta Brunori. Persino la scirubetta può insegnare un paio di cose alla nostra sinistra malconcia.

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Terra crudele

La terra crudele del cantante è la Calabria. E forse, per una volta, invece di rivolgerci sempre e innanzitutto al ceto produttivo del nord (che è ormai più una categoria dello spirito), la sinistra dovrebbe davvero ricominciare dalla Calabria. Dal sud che è diventato trasversale a tutto il paese, che arranca ormai tra enclave di ceti produttivi benestanti e zone desertificate senza più alcuna aspettativa.

E perché quella terra è crudele? Perché non resta altra dolcezza se non l’inaspettata grazia della neve mescolata con il miele. È crudele perché non c’è rimasto niente da spartirsi, da mangiare. La terra crudele è una terra in cui la misura della convivenza è l’impoverimento diffuso e l’incapacità di pensarsi davvero al sicuro.

La questione determinante 

È stato ricordato nei giorni scorsi su queste pagine anche da Fabrizio Barca e credo sia opportuno sottolinearlo di nuovo. Ripartire dalle terre crudeli vuol dire credere che l’impoverimento diffuso sia la questione politica determinante su cui costruire un’alternativa credibile.

In questa settimana ho ascoltato autorevoli esponenti del centro sinistra sostenere che la redistribuzione della ricchezza non è una priorità, perché prima la ricchezza c’è da crearla. Dopo trent’anni in cui la sinistra ha sbattuto ripetutamente il muso sostenendo esattamente queste cose, siamo ancora qui.

In un paese in cui la creazione di ricchezza – per quanto modesta – è incessante e unilaterale, tanto quanto lo è la creazione della povertà, evidentemente. E le loro traiettorie divergono: come se ancora non avessimo capito che ogni ricchezza che viene creata non viene affatto redistribuita, se non intervengono scelte politiche.

Se dopo decenni di sirene neoliberiste ancora siamo qui, forse non abbiamo idea di quante terre crudeli sia fatta l’Italia. Di quante persone vivono uno smarrimento che, prima che politico, è economico e sociale.

Dimenticarci delle nostre terre crudeli è una trappola dentro cui la destra sembra volerci costringere, anche in queste settimane. Forse è utile suggerire che gli attacchi ripetuti alla nostra Costituzione, la contestazione della magistratura, la tracotanza dell’esecutivo, il sospetto rimestio dei servizi segreti: tutto ciò che accade ultimamente in Italia è gravissimo in sé, ma è gravissimo anche perché funziona come un diversivo: per imporre un’agenda politica e continuare a tenere da parte i temi fondamentali che rendono questo tempo atroce e questa terra crudele.

Contro la mercificazione 

È un gioco perverso da cui solo la sinistra può salvarci, forse: il capitalismo costringe la democrazia a difendere se stessa per non permetterle di occuparsi di coloro che quel capitalismo sta finendo di annientare. La destra sta portando avanti anche questo gioco sporco.

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Non lasciandoci più tempo per ricordarci di quelli che nelle terre crudeli non hanno più un’aspettativa di lavoro dignitoso, scelgono di non farsi curare piuttosto che entrare nel girone degli inferni della nostra sanità ormai collassata, non si attendono alcun miglioramento personale da una scuola sempre più classista. Attendono solo che scenda la neve, per poterla mescolare col miele.

Ma anche questo aspetto contiene un ultimo insegnamento da tenere a mente. Nessuno può essere proprietario della neve. In tempi in cui l’unica strategia politica di Trump è di comprare ogni lembo di terra, dalla Groenlandia a Gaza, c’è qualcosa che persino lui non potrebbe comprare. Che sfugge alla misura dell’appropriazione del capitale e che non può essere privatizzata.

La scirubetta, che sembra un cibo povero, è in effetti ricchissimo: non si può né acquistare né possedere. Non si può nemmeno mettere in mostra e impiattare: nessun Canavacciuolo potrà giudicarne il valore. Quando arriva la neve e noi siamo poveri e non abbiamo più molto: non resta che mescolare col miele e goderne.

So bene che non è il gratuito che salverà la sinistra (forse le nostre vite un po’ sì). Ma opporsi alla privatizzazione e alla mercificazione così intransigente del mondo che ci viene imposta, potrebbe aiutare la sinistra a farsi finalmente riconoscere come tale.

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