Pensioni, tutte le novità sulla perequazione

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 


La sentenza della Consulta 19/2025 ha “promosso” le misure di “raffreddamento” della rivalutazione automatica delle pensioni, di cui alla legge di bilancio 197/2022 per il 2023, perché non avrebbero leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei trattamenti pensionistici, come da artt. 1, 3, 4, 23, 36, 38 Costituzione.

Vediamo se i Giudici della Corte sono entrati nella materia e hanno ragionato secondo logica e giustizia.

Partiamo dalla ragionevolezza: nel 2022 (con svalutazione previsionale al +1,7% e definitiva al + 1,9%) il criterio di indicizzazione adottato è stato quello a scaglioni (legge 234/2021, sulla falsariga della legge 388/2000), che prevedeva una specifica rivalutazione rispetto  ai diversi importi di una stessa pensione, cioè +100% indice Istat per gli importi fino a 4 volte il minimo INPS; + 90% per gli importi tra 4 e 5 volte il minimo e + 75% per i restanti importi oltre le 5 volte il minimo anzidetto, criterio questo che ha garantito un ricupero complessivo, rispetto all’inflazione accertata, ad esempio per le pensioni oltre 10 volte il minimo INPS, dell’80% o poco più. Nel 2023 (L. 197/2022), con svalutazione previsionale al +7,3% e definitiva al +8,1%, si è ritornati in materia di perequazione delle pensioni ai più penalizzanti e ingiusti criteri introdotti dal Governo Letta ( L.147/2013), secondo cui la rivalutazione avviene secondo una unica percentuale, decrescente rispetto al valore complessivo dell’assegno e sull’intera misura di una singola pensione, senza  alcuna fascia di rivalutazione piena e vera almeno su una quota parte dell’assegno pensionistico stesso, col risultato, ad esempio per le pensioni oltre 10 volte il minimo INPS, di un ricupero del 32% rispetto all’inflazione in luogo dell’80% circa dell’anno precedente. Ed allora è ragionevole che quando l’inflazione cresce la indicizzazione relativa scenda? O, al contrario, è vero che il legislatore se ne frega dell’art.38 della Costituzione, che prescrive che le pensioni siano adeguate alle esigenze di vita dei beneficiari, ed utilizza la mancata indicizzazione delle pensioni medio-alte per riequilibrare i conti pubblici dello Stato  dissestati dai bonus (tanti e spesso vergognosi), gravando su una sola categoria sociale, che rappresenta il 5% dei contribuenti italiani, una tassazione aggiuntiva ed impropria, nonostante che la stessa sostenga già il 40% dell’IRPEF totale del Paese? Inoltre l’art. 38 della Costituzione non pone né limiti di tempo, né di misura, all’adeguamento delle pensioni  alle esigenze di vita dei titolari del diritto. Ma su queste questioni la Corte non vuole ragionare ed allora: via i diritti, avanti coi favori! E chi mai può sostenere la follia che il “raffreddamento” della rivalutazione delle pensioni medio-alte possa contenere l’inflazione, quando la rivalutazione interviene successivamente all’insulto inflattivo e proprio per attenuarne gli effetti sulle esigenze di vita dei pensionati? E allora la rivalutazione è causa di svalutazione o correttivo degli effetti?

Finanziamo agevolati

Contributi per le imprese

 

E veniamo alla proporzionalità, non disgiunta dalla ragionevolezza: la Corte sostiene che il raffreddamento della rivalutazione automatica del 2023 ”non è irragionevole” perché “salvaguarda integralmente le pensioni di più modesta entità” (questa volta però non dice almeno che è ragionevole), ma come la mettiamo con la proporzionalità, visto che prosegue affermando che “per un limitato periodo riduce progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre pensioni (superiori a 4 volte il minimo INPS) al crescere  degli importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più elevate rispetto agli effetti dell’inflazione”? E qui la Corte dice falsità e si contraddice rispetto alla sua precedente consolidata giurisprudenza, infatti la mancata indicizzazione, anche di un solo anno, con la relativa perdita del potere d’acquisto della pensione, non è più recuperabile, dal momento che le successive rivalutazioni (anche se non più taglieggiate) verranno calcolate non sul valore originario cumulato di diritto, ma ”sull’ultimo importo nominale eroso dal mancato adeguamento” ed inoltre la mancata o ridotta indicizzazione delle pensioni in questione è stata ripetuta nel tempo (13 volte negli ultimi 18 anni). Inoltre (Sentenza 70/2015) i trattamenti pensionistici previdenziali, in quanto retribuzione differita, devono essere parametrati alla “quantità e qualità del lavoro svolto durante la vita attiva del lavoratore” e i principi di adeguatezza e proporzionalità devono reggere nel tempo, rendendo doverosa la costanza della loro perequazione automatica (artt. 36 e 38 Costituzione). La cattiva legislazione previdenziale evidenziata (e le mancate censure della Corte) ha prodotto questi effetti: a) i titolari di pensioni medio-alte, che hanno avuto di diritto liquidata una pensione di tipo retributivo, si sono trovati dopo pochi anni a godere, di fatto, di una pensione, svilita nella misura, di tipo contributivo, attraverso il subdolo meccanismo della ridotta indicizzazione, e senza modifiche ordinamentali e di calcolo della pensione acquisita, decretata, consolidata; b) l’intervento di de-indicizzazione è stato così grossolano e ripetuto che è stato necessario, tra l’altro, ricorrere a norme di salvaguardia che intervengono quando, calcolando la perequazione con la percentuale di propria spettanza (sulla basa del valore complessivo della pensione personale), il risultato ottenuto è inferiore al limite della fascia precedente, anch’esso perequato, importo che deve essere comunque assicurato per evitare che chi ha avuto retribuzioni, responsabilità, contribuzioni maggiori si trovi ad avere, poi, pensioni di valore inferiore. E che proporzionalità è quella che vede le pensioni inferiori al minimo INPS rivalutate al 120-150 % (nel 2023) rispetto all’inflazione; quelle fino a 4 volte il minimo INPS rivalutate sempre al 100%; quelle oltre 10 volte il minimo INPS rivalutate al 32% (nel 2023), quelle oltre 8 volte il minimo non rivalutate del tutto nel 2008, come è avvenuto nel 2012 e 2013 per le pensioni oltre 6 volte il minimo INPS?

Per quanto riguarda l’adeguatezza, basti questo dato: negli ultimi 18 anni (2008-2025) le pensioni medio-alte hanno perso il 30-35% del loro valore solo per i tagli aggiuntivi alla loro rivalutazione rispetto al taglio costante e consolidato, fin dal 2001, di cui alla legge 388/2000 (100% fino a 3 volte il minimo INPS; 90% tra 3 e 5 volte il minimo; 75% per i restanti importi oltre le 5 volte), taglio che ormai consideriamo permanente sull’altare della solidarietà. Di fronte a questi dati, ed alla realtà che vede per l’aspettativa di vita media degli ex lavoratori oggi in quiescenza un periodo di 20-25 anni, come può sostenere la Corte che le pensioni di maggiore importo hanno un margine di maggiore resistenza di fronte all’inflazione quando: i loro titolari non beneficiano del taglio del cuneo fiscale e di altre agevolazioni; subiscono un carico fiscale ben maggiore ( progressivo sul reddito); pagano presumibilmente maggiori bollette per luce,  gas e ticket vari, fanno più frequentemente acquisti di beni gravati da aliquote IVA al 22%, piuttosto che al 5 o 10% e, infine, vedono le loro pensioni peggio indicizzate in via ordinaria, quando non pesantemente falcidiate o non rivalutate del tutto?

Ma dove la Corte calpesta logica e buon senso e sfida il ridicolo è quando afferma:

  • che i diritti pensionistici, pur perequati in misura minore, sono tali “da non mutare la reale disponibilità economica e il potere d’acquisto del percettore”;
  • che il “raffreddamento” della rivalutazione, con il conseguente “trascinamento” permanente e crescente del danno, “ non ne muta la natura di misure di mero risparmio di spesa e non di decurtazione del patrimonio del soggetto passivo”. Evidentemente la Corte ignora il principio giuridico consolidato in materia di danni e risarcimenti secondo cui “chi è causa della causa” (deindicizzazione) “è causa del causato” (decurtazione del patrimonio);
  • che la inadeguata indicizzazione delle pensioni medio-alte non lede e mortifica la dignità delle professionalità più qualificate, già salvaguardata dalla liquidazione di maggiore importo!;
  • che delle perdite subite dalle pensioni di maggiore importo il legislatore potrà tener conto “nel calibrare la portata di eventuali successive misure incidenti sull’indicizzazione dei trattamenti pensionistici”. Quanto tale previsione sia realistica è dimostrato dalla successiva legge di bilancio (n.213/2023 per il 2024) dove, ferme tutte le altre percentuali, la rivalutazione delle pensioni oltre 10 volte il minimo INPS è ulteriormente scesa dal 32 al 22% dell’indice Istat!

Quanto sopra premesso e considerato, riteniamo la Sentenza in esame sconcertante e scandalosa, vero insulto e provocazione nei confronti del ceto medio vero, quello che studia, lavora, paga tasse e contributi, non evade ma viene continuamente tartassato, ultimamente anche attraverso  il mancato alleggerimento promesso dell’aliquota intermedia IRPEF ed il tetto imposto alle detrazioni fiscali , pur legittime e documentate.

Riteniamo che le ragioni di una Sentenza così deludente risiedano in una serie di cause: la Consulta è diventata da tempo un Organismo politico-partitico (come dimostrato anche dal triste spettacolo della nomina dei 4 Giudici mancanti), tutti schierati da una Parte, addirittura tifosi di quella; non più un Organismo “terzo”, equidistante tra chi fa le leggi e chi le applica o le subisce, che “pende sempre” dalla parte di chi governa, di qualsiasi colore sia; più attento ad interpretare la Carta secondo il proprio intendimento politico che seguendo lettera e spirito del testo vigente. E quindi non c’è più argine ad una legislazione scadente come mai.

Al confronto delle conclusioni esaminate dell’Organo collegiale, giganteggia l’impegno individuale e la passione nel difendere principi e valori della nostra Costituzione espressi, nella Ordinanza 33/2024 della Corte dei Conti della Toscana, dalla Dott.sa Khelena Nikifarava. Brava!

Speriamo almeno che la Giustizia europea, pur nella fragilità delle Istituzioni che si è data, “batta un colpo” contro tanta mortificazione del diritto, e dei diritti dei pensionati.

In caso contrario, sarà “buio pesto” e dovremo convenire, pessimisticamente, con quanto scriveva il poeta dialettale piemontese Nino Costa (1886-1945). Traduco: “ Guai a chi si incapriccia di far giusta la giustizia”.

Conto e carta

difficile da pignorare

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link