PAOLA ABENAVOLI | Quattro lavoratori per 25 euro al giorno: è quanto chiede il caporale, ogni mattina, quando sceglie gli operai che lavoreranno in nero alla costruzione di un edificio. Di quei 25 euro resterà poco, dopo aver comprato il minimo necessario per il sostentamento di una famiglia: «10 euro per me e 5 per mia moglie» da mettere da parte «perché non si sa mai». Un operaio italiano, in un cantiere, tra sabbia, acqua e mattoni, ripete questa frase, in un racconto che è monologo e insieme dialogo, quasi uno specchio, con un altro operaio, extracomunitario, di nome Abdy: entrambi sottopagati e senza tutele. Entrambi costretti a nascondersi qualora arrivasse un controllo, dietro sacchi di sabbia e se cadono, gli dice il capo, «c…i vostri: una risposta che vale anche qualora si infortunassero, lavorando senza caschi o altre protezioni. Ma tanto, ripete come un mantra il protagonista, qui i controlli non arrivano.
Non è (solo) realismo e supera i confini del teatro di denuncia, quello che Lorenzo Praticò propone nello spettacolo da lui scritto, diretto e interpretato, 4×25: è un percorso nella realtà più dura attraverso la drammaturgia poetica, attraverso le storie che rivivono nelle parole di due operai; ma la voce potrebbe essere unica come quella del protagonista italiano senza nome (perché il nome non importa se si è invisibili) e dell’attore che la incarna. Un’unica voce, che è appunto specchio di tante altre: e la caratteristica del testo – e della scrittura scenica – è proprio quella di alternare, dando scorrevolezza e intensità alla narrazione, i racconti della vita dei due muratori alle storie che dalle loro frasi prendono forma. Come quella del compare, ex tornitore che ha perso tre dita e che con forza chiede al suo capo che gli venga restituita almeno la sua fede, unico ricordo della bellissima moglie, morta improvvisamente mentre lavorava nei campi; o del nonno, al quale il protagonista portava sempre il pranzo durante la pausa lavorativa, e lui l’assaporava lentamente, «perché le cose importanti vogliono il loro tempo»; o del compagno di traversata dell’operaio straniero, che si prendeva cura dei più piccoli e più deboli durante le notti in mare.
Il lavoro nero, la sicurezza, le morti nei cantieri, dunque, ma anche lo sfruttamento degli immigrati, le storie di chi ha lasciato la famiglia, evitando per un soffio la guerra o una strage o un rapimento, ma vedendo comunque la morte da vicino, su un barcone: il termine che accomuna tutto ciò è dignità. Quella che il lavoro dovrebbe assicurare a tutti, secondo la Costituzione di cui più volte il protagonista parla, sapendo che pensare che quell’articolo sul lavoro venga applicato è un’utopia, se non un paradosso che fa ridere. Ma in realtà «non fa ridere», gli risponde sempre il collega straniero.
La dignità, dunque, come elemento cardine, filo conduttore di vite e percorsi, nei ricordi che si dipanano in quello spazio che Praticò ricava sul palcoscenico. Un palco come quello di SpazioTeatro, la cui rassegna ha ospitato lo spettacolo a Reggio Calabria: una dimensione che coinvolge, avvolge i protagonisti e gli spettatori insieme, e contribuisce ad un racconto intimo, come se tutti si fosse insieme agli operai, su quell’edifico in costruzione, tra mattoni e calce.
Con gli elementi scenici ben sfruttati, come strumenti del racconto (ad esempio, il secchio con la sabbia che diventa tutt’uno con il braccio che, roteando, simula un’altalena o una danza, ricordi dell’infanzia ancora spensierata di Abdy): tasselli di una costruzione, reale e drammaturgica, che ha la capacità di mantenere alto il livello narrativo, senza pietismi, senza retorica, con un realismo che non diviene documentaristico, bensì materia scenica attraverso la poetica delle storie.
Ricordi che si alternano, dunque, con abilità di scrittura, tradotta da un’interpretazione che riesce a calibrare ritmi e toni. E a farne teatro, utilizzando – come si diceva – ogni spazio, ogni angolo o trave, che diventano di volta in volta sfondo di lotta, di evocazione, di dramma.
E, nel dramma, all’improvviso, sprazzi di immaginazione che rimandano al cinema muto, alle scene ritmate e convulse che ricordano Chaplin o Keaton, con movimenti veloci e scombinati, per finire in fretta un lavoro: quasi quadri stile Tempi moderni, apparenti cesure che, al contrario, chiudono il cerchio di un racconto, non surreale come quelle vecchie pellicole, ma che non fa che cibarsi, sul palcoscenico e nella vita, di un’incredibile, e spesso invisibile, realtà.
4 x 25
scritto, diretto e interpretato da Lorenzo Praticò
produzione Teatro Rossosimona
in collaborazione con Mana Chuma Teatro
Stagione 2025 La casa dei racconti
SpazioTeatro, Reggio Calabria | 9 febbraio 2025
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