Tutto ha inizio quando il Presidio per la Pace invia una lettera ai gruppi consiliari, esortandoli a prendere una posizione chiara contro il decreto legge che proroga fino al 31 dicembre 2025 l’invio di armi all’Ucraina. Una misura approvata prima dal Senato e poi dalla Camera, con un ampio consenso trasversale: non solo con i voti della maggioranza di governo, ma anche di una parte significativa dell’opposizione. A dire “no” al provvedimento, solo i parlamentari del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi e Sinistra.
Ne è seguito uno scontro in conferenza dei capigruppo a Ivrea, con al centro un’interpellanza generale presentata dalle opposizioni – e subito bocciata dalla maggioranza – che chiedeva ai gruppi consiliari di esprimere pubblicamente una posizione netta sulla questione e di dichiarare se avessero intenzione di sollecitare i propri partiti a un cambio di strategia sulla politica estera e sulle forniture belliche. Alla fine, l’unico compromesso trovato è stato un ordine del giorno per un consiglio comunale di là da venire.
A complicare ulteriormente una lettera aperta del sindaco Matteo Chiantore, nella quale esprime condivisione per il principio del ripudio della guerra, ma sottolinea anche come il suo ruolo istituzionale gli imponga di rappresentare l’intera comunità, evitando di schierarsi in un dibattito che rischia di polarizzarsi. Una posizione che sa di prudenza diplomatica, ma che di fatto si traduce in un passo indietro rispetto a una presa di posizione concreta.
Il vero colpo di scena arriva oggi, con la presentazione di un nuovo ordine del giorno da parte delle opposizioni, in cui si chiede al consiglio comunale di dichiarare la propria adesione alla decisione del Parlamento “a tutela dell’autodifesa del territorio nazionale” e di ribadire il sostegno dell’Italia alla NATO.
E siamo a “tutto il contrario di tutto”. Alla “strumentalizzazione” vera e propria. Al “calcio negli stinchi”. Alla “caciara” predeterminata. Insomma non se ne esce.
Chiamiamola pure provocazione peraltro portata avanti anche e soprattutto da quell’Andrea Cantoni vicino alla Chiesa “pacifista” più di chiunque altro.
La domanda è inevitabile: non sarebbe stato meglio discutere l’interpellanza bocciata?
Pierangelo Monti, anima del Presidio per la Pace, non nasconde la propria amarezza per l’evoluzione della vicenda.
“Si poteva anche prevedere che sarebbe andata così. Sappiamo bene come la pensano i consiglieri di minoranza. La politica vive di polemiche e coglie ogni occasione per alimentarle. Il nostro obiettivo era di tenere alta l’attenzione sul tema della pace, della non violenza, della non proliferazione delle armi, dell’opposizione alla guerra. Siamo perché vinca la pace, perché la guerra, come dice Papa Francesco, non la vince nessuno. È una sconfitta per tutti, e la storia lo dimostra in ogni conflitto. Noi crediamo nella via del dialogo e delle trattative, una strada che non è stata percorsa. Il risultato di questi tre anni è sotto gli occhi di tutti: morte, distruzione e nessuna soluzione.”
Proprio per questo il Presidio per la Pace aveva scelto di rivolgersi direttamente ai gruppi consiliari e non all’intero consiglio comunale.
“Volevamo sensibilizzare un’opposizione interna ai partiti, soprattutto nel Partito Democratico, perché pensiamo che lì ci sia chi è contrario all’invio di armi. Speravamo che tra i consiglieri comunali ci fosse qualcuno che condividesse la nostra posizione e potesse far sentire la propria voce ai vertici del partito.”
Intanto, sabato prossimo segnerà una data simbolica: saranno esattamente tre anni da quando il Presidio per la Pace ha iniziato a riunirsi in piazza della città. Un anniversario che porta con sé un misto di determinazione e amarezza. “Quando organizzammo il primo presidio il 26 febbraio 2022 – raccontano i promotori – non sapevamo ancora che la guerra sarebbe scoppiata due giorni dopo. Avevamo programmato una manifestazione di protesta per scongiurare il conflitto. Da quel giorno non ci siamo più fermati.”
L’interpellanza generale “bocciata”
L’ordine del giorno
Tre anni di guerra, tre anni di fallimento: quando la pace diventa un tabù
Tre anni. Tre anni di bombe, di case sventrate, di famiglie spezzate. Tre anni da quel 26 febbraio 2022, quando il mondo si risvegliò con le sirene d’allarme nelle città ucraine e i primi carri armati russi a varcare il confine.
Tre anni di sofferenza, di milioni di sfollati, di un’Europa trascinata nella più grande escalation militare dai tempi della Seconda guerra mondiale.
Tre anni in cui la parola pace è diventata un’idea scomoda, una posizione da giustificare, quasi un’ingenuità.
Eppure, c’è chi continua a resistere. Il Presidio per la Pace di Ivrea non si è mai fermato. Ogni sabato, da tre anni, scende in piazza per ricordare che la guerra non è uno spettacolo televisivo, che il conflitto in Ucraina non è un videogioco con buoni e cattivi, ma una tragedia umana, dove l’unico vero perdente è il popolo. Ed è proprio perché non si arrende all’idea che l’unica strada possibile sia quella delle armi che il Presidio aveva chiesto ai gruppi consiliari di, guardarsi dentro, di prendere una posizione chiara contro il decreto che proroga l’invio di armi fino al 2025.
Il problema vero è che parlare di pace, oggi, è diventato un atto quasi sovversivo. Lo dimostra la reazione di chi in conferenza dei capigruppo, ha bocciato senza esitazione un’interpellanza presentata dalle opposizioni per chiedere una discussione sul tema. Nemmeno parlarne, come se proporre un’altra via fosse un affronto, un gesto di debolezza, un tabù.
E poi c’è il sindaco Matteo Chiantore, che prova a destreggiarsi tra equilibri politici e sensibilità personali, scrivendo una lettera aperta in cui condivide il ripudio della guerra. Un gesto apprezzabile? Forse. Ma la precisazione che il suo ruolo istituzionale gli impone di rappresentare l’intera comunità senza prendere posizione lascia aperta una domanda inquietante: se un sindaco non può esprimersi su un tema così cruciale, chi dovrebbe farlo?
E soprattutto: perché la pace dovrebbe essere un tema divisivo, mentre la guerra no?
Eppure, il fallimento della strategia militare è sotto gli occhi di tutti. Dopo tre anni, il conflitto è ancora in stallo, con un bilancio di distruzione senza fine e nessuna prospettiva concreta di soluzione. Le armi non hanno portato la pace, le sanzioni non hanno piegato la Russia, la resistenza ucraina è al limite. E chi sta pagando il prezzo di tutto questo? Le persone comuni, quelle che non siedono nei parlamenti, quelle che non decidono i finanziamenti per la guerra.
Pierangelo Monti, portavoce del Presidio, lo dice senza mezzi termini: “La guerra è una sconfitta per tutti.”
E la storia lo conferma. Nessuna guerra è mai finita con una vittoria assoluta. Prima o poi, qualcuno dovrà avere il coraggio di ammettere che questa strategia ha fallito.
Forse, un giorno, qualcuno lo dirà: “Avevano ragione quelli del Presidio per la Pace…”.
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