Lo scrittore Andrea Camilleri, i romanzi in cui ha infuso lo spirito e la cultura della sua amata terra, la grande isola come l’abbiamo vista nella fiction più celebre degli ultimi vent’anni e gli attori, a cominciare da Luca Zingaretti, in un continuo andirivieni dalla realtà. Così Alberto Angela celebra La Sicilia di Montalbano per i cento anni dalla nascita del suo autore in una puntata speciale di Ulisse. Il piacere della scoperta stasera su Rai 1.
Che Sicilia vedremo?
«La chiave sta nelle ambientazioni scelte da Alberto Sironi, il regista scomparso nel 2019 che ha diretto 14 stagioni di Montalbano tranne l’ultima girata in suo onore da Zingaretti. Camilleri era di Porto Empedocle (Agrigento). Sironi ha composto una specie di mosaico di luoghi diversi con al centro la Val di Noto e il ragusano: il castello di Donnafugata (tanto bello che Zingaretti l’ha poi scelto per sposarsi), Tindari, Modica, Marzamemi, la “mannara” ossia la fornace Penna. E c’è il commissariato che nella realtà si trova al pianoterra del Comune di Scicli: il set è stato mantenuto, apri una porta e sei subito in Montalbano. Ci sono i luoghi ma anche le atmosfere, quei particolari tagli di luce che fanno unica la Sicilia».
E la casa di Montalbano esiste davvero?
«Certo, a Punta Secca, con la sua verandina sul mare e gli splendidi tramonti. È l’interno a essere diverso, come si vedrà».
Insomma, come si è trovato Alberto Angela sulle orme del commissario Montalbano?
«Ho cercato un incrocio di generi tra documentario e fiction. L’impressione così è di attraversare la storia passando senza soluzione di continuità dalle nostre riprese alle scene della serie. È una sorta di gemellaggio, cui partecipano come ospiti anche gli attori: oltre a Zingaretti, Cesare Bocci, Peppino Mazzotta, Angelo Russo. Tutti commossi: a quei luoghi, che hanno frequentato per quasi vent’anni, li lega un rapporto emotivamente molto intenso di nostalgia».
Una domanda si impone: ha capito se ci saranno nuove puntate?
«Confesso di essermela posta anch’io. Da parte degli interpreti c’è la massima disponibilità: i loro occhi trasmettevano il desiderio di dare compimento a questo viaggio. Il che sarebbe fattibile perché ci sono ancora due racconti di Camilleri non adattati, anche se al momento pare che sia tutto fermo».
Oltre ai luoghi e ai personaggi, avete interpellato altre persone per completare il mosaico siciliano?
«Visto il centenario non potevamo non intervistare la nipote Arianna Mortelliti. Bisogna ricordare il rapporto molto intenso e stretto che ebbe con il nonno: negli ultimi anni era la sua “scrittura”. E poi ovviamente l’editore palermitano Antonio Sellerio».
Montalbano è un goloso. E la cucina è parte integrante dei romanzi. Ne parlerete, considerando anche la tradizione gastronomica siciliana?
«Un giorno con Zingaretti siamo andati in un ristorante. Su una parete spiccava il cartello “Qui Montalbano ha mangiato due volte”. Questo testimonia anche il contributo turistico dato dalla fiction. Il cibo fa parte della cultura di una comunità, e non poteva mancare. Per questo abbiamo coinvolto la scrittrice Simonetta Agnello Hornby. Ci siamo però concentrati sui dolci: un piacere per gli occhi oltre che per il palato. Come i famosi cannoli della pasticceria di Modica, tanto cari al medico legale Pasquano. Li abbiamo assaggiati anche noi e sono davvero superiori: difficile resistere a certe prelibatezze. Per non ingrassare nelle due settimane di riprese ho dovuto fare attenzione».
Lei conosceva Camilleri?
«Sì, lo intervistai per una puntata di Meraviglie. Mi raccontò una storia che dava la dimensione del personaggio e degli incroci straordinari di cui era stato protagonista: da ragazzino, il giorno dello sbarco alleato, partì in bici da casa per andare al porto a cercare notizie del padre. Sulla strada del ritorno si fermò per vedere se i templi erano stati danneggiati. C’era solo un militare americano carico di macchine fotografiche. Immagino il dialogo tra questo soldato e il giovane Camilleri. Andando via, l’americano gli porse il suo biglietto da visita: era Robert Capa».
Camilleri e suo padre Alberto Angela appartenevano a un’epoca d’oro della tv di Stato. C’è ancora quella Rai o, come il palazzo che la ospita a Roma in viale Mazzini, necessita di una ristrutturazione?
«Ho conosciuto l’azienda in cui lavorava papà e, sì, posso dirle che c’è ancora. La Rai ha un incredibile Dna composto dai suoi tecnici e dalle maestranze, persone che con grande professionalità gestiscono attività complesse come possono per esempio le puntate dei miei programmi. La sua sede, forse, è un po’ malandata, ma c’è e tornerà a splendere».
Ricorda la prima volta in cui entrò alla Rai di viale Mazzini?
«Sinceramente no. Certamente ci sono andato dopo aver cominciato a lavorare in Rai. Però ricordo il senso di smarrimento che mi prendeva ogni volta per via della stravagante numerazione degli uffici. È un posto dove è difficile orientarsi e spero che con la ristrutturazione migliorino questo problema».
E la sua prima volta in Sicilia?
«A vent’anni feci una vacanza itinerante con i miei amici e mi entrò subito nel cuore. Ci tornai ancora trovandola sempre meravigliosamente uguale a sé stessa. Ha questa caratteristica di non cambiare e ancora oggi è bellissima come la ricordavo».
Un luogo siciliano del cuore?
«Forse Piazza Armerina, famosa nel mondo per i mosaici di Villa Romana del Casale. In generale, l’interno meno conosciuto dell’isola. Con quel caldo mediterraneo che abbraccia senza schiacciare».
Dopo La Sicilia di Montalbano dove approderà Ulisse?
«Ci sono quattro puntate già pronte per andare in onda più uno speciale. E poi ci sono 50 puntante di Passaggio a Nord Ovest. Mentre sto lavorando a quelle nuove di Stanotte a… e alla prossima stagione di Noos. Poi, se questo speciale andasse bene, potremmo pensare a farne un format dedicato a romanzi e film».
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