Brain2Qwerty, l’intelligenza artificiale di Meta che decodifica l’attività cerebrale in testo

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Lo studio ha come scopo l’analisi delle alternative a strumenti invasivi per supportare i pazienti con difficoltà motorie e comunicative attraverso la trasformazioni dei segnali cerebrali in testo

La ricerca scientifica che rende sempre meno «analogico» il cervello umano, procede a grandi passi. L’ultima frontiera delle interfacce cervello-computer è stata raggiunta da Meta. E in particolare la parte più affascinante degli studi del colosso guidato da Mark Zuckerberg è il progetto Brain2Qwerty – qui i risultati che ha portato alla possibilità di decodificare il linguaggio a partire da segnali cerebrali, con tecniche non invasive. Secondo quanto affermato dal Fair di Meta (Fundamental AI Research) sono state decodificate con successo frasi ottenute da registrazioni cerebrali non invasive con una precisione fino all’80%

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Lo studio con Brain2Qwerty

La divisione Meta AI – dove si sviluppa l’intelligenza artificiale generativa – ha presentato un modello di deep learning chiamato Brain2Qwerty, basato su Transformer, ovvero un tipo di architettura computazionale che integra reti neurali artificiali complesse per classificare e generare contenuti eterogenei. Il modello è infatti in grado di trasformare l’attività cerebrale in testo scritto. Le applicazioni possibili? Ad esempio supportare la comunicazione per i pazienti affetti da compromissioni motorie e linguistiche. Allo studio hanno preso parte 35 volontari senza problematiche fisiche, i quali hanno aderito ad un protocollo sperimentale. I volontari hanno memorizzato alcune frasi che dovevano essere riprodotte su una tastiera Qwerty. 




















































Nel corso della digitazione, l’attività cerebrale dei soggetti è stata registrata attraverso l’elettroencefalografia (EEG) e la magnetoencefalografia (MEG). Le informazioni sono state poi filtrate, mentre ad ogni tasto premuto è stato sequenziato in finestre temporali, al fine di assicurare uniformità e affidabilità nel corso delle analisi. Il modello ha poi agito in tre fasi. La prima ha elaborato le finestre temporali dei segnali, tenendo conto delle differenze di ogni individuo. La seconda parte, e qui entra in gioco Transformer, ha sfruttato il contesto della frase per prevedere i caratteri e analizzare l’intero input. Infine, la terza fase sfrutta le capacità di un modello di linguaggio chiamato 9-gram,  la quale si avvale dell’addestramento ottenuto dai testi presenti su Wikipedia in lingua spagnola. Il suo scopo è correggere eventuali errori tipografici e rendere più coerente il testo decodificato. 

I risultati

Diversi i risultati a seconda della tecnica utilizzata per le registrazioni. La Meg ha permesso al modello di raggiungere un Character Error Rate (Cer, ovvero una metrica utilizzata per misurare l’accuratezza di un sistema di riconoscimento del testo) pari al 32%, con alcuni individui che hanno ottenuto valori prossimi al 19%. Diversamente, la Eeg ha prodotto un Cer intorno al 67%. In poche parole, è più efficace il Meg, in quanto offre un miglior rapporto segnale-rumore e dunque una decodifica più precisa dell’attività cerebrale associata alla produzione linguistica. 

Un risultato non privo però di limitazioni. Benché lo studio sia propedeutico all’impiego di strumenti non invasivi per il supporto della comunicazione dei pazienti con particolari esigenze, non mancano difficoltà. La decodifica avviene offline, perché il modulo Transformer e il modello di linguaggio elaborano il testo al termine dell’avvenuta digitazione su tastiera, la quale richiede una capacità motoria residua. Ciò significa che sono esclusi i pazienti completamente paralizzati

Gli obiettivi

L’obiettivo dello studio è aprire la strada ad alternative alle soluzioni invasive (leggasi Neuralink?) Tra queste, le cosiddette protesi neuronali, cioè dispositivi in grado di interloquire con il sistema nervoso di pazienti con lesioni neurologiche o malattie degenerative, al fine di recuperare funzioni altrimenti compromesse nel paziente, che siano di tipo motorie o comunicative. I dispositivi saranno in grado di tradurre l’attività elettrica dei neuroni in segnali che possono essere compresi dai computer, oppure che siano in grado di inviare stimoli elettrici al tessuto nervoso per ripristinare la comunicazione tra cervello e i vari organi oppure gli arti. Con il progresso di questi studi, si parla già di diritti neurologici o privacy neurologica; le ricerche sono ancora agli albori, ma i progressi sono rilevanti. 

Le altre scoperte

Questo studio è parte di una delle quattro scoperte annunciate da Fair di Meta in occasione del suo decimo anniversario. Oltre a Brain2Qwerty, Fair ha individuato come il cervello è in grado di trasformare i pensieri in sequenze complesse di azioni motorie, battezzato come «codice neurale dinamico». Anche questo studio si concentra sulle possibilità di far tornare a parlare le persone con difficoltà comunicative, ma anche per espandere le nostre conoscenze sull’intelligenza umana. Ma non è tutto.

Fair ha annunciato anche «Partnr» un framework di ricerca in grado di migliorare la collaborazione tra umani e robot. Secondo Meta AI, questo framework «ha il potenziale di rivoluzionare il modo in cui si interagisce con l’ambiente per migliorare la vita quotidiana». Stando alle dichiarazioni di Meta, la soluzione ha permesso di superare standard di riferimento in termini di performance e testato su un robot, questo è riuscito a scomporre azioni complesse per ragionare e comprendere l’ambiente che lo circondava. Ma è stato utilizzato anche sui visori di realtà mista come Quest, per visualizzare le azioni e il processo di pensiero del robot. In questo modo è stato possibile visionare una panoramica del suo processo decisionale.

17 febbraio 2025

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