Guerriglieri in lotta con il Clan del Golfo per i mercati illegali di droga, legno e oro. L’analisi del ricercatore dell’università Statale di Milano, Simone Ferrari: «I gruppi armati del Chocó non hanno l’appoggio della popolazione»
Giada Aquilino – Città del Vaticano
È uno “sciopero armato” quello proclamato in Colombia dai guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) nel dipartimento del Chocó, regione del Paese latinoamericano che si affaccia sull’oceano Pacifico. La misura, che prevede da oggi un coprifuoco permanente e il blocco generalizzato di ogni attività, tali da confinare gli abitanti nei loro comuni e rendere difficile l’accesso al cibo e all’assistenza sanitaria, rimarrà in vigore fino alla mezzanotte del 21 febbraio, secondo un comunicato dell’Eln. L’estate scorsa un’analoga decisione aveva coinvolto una popolazione di circa 50.000 persone.
«È la ventesima misura del genere negli ultimi tre anni da parte del gruppo armato dell’Eln, il movimento guerrigliero che in questo momento sta mettendo più in difficoltà il progetto di pace totale» del presidente Gustavo Petro, spiega Simone Ferrari, ricercatore all’università Statale di Milano in Culture indigene e conflitti armati in Colombia. «Alcune regioni del Paese hanno visto un miglioramento delle condizioni del conflitto, mentre il Chocó — osserva lo studioso, riferendo dati di Acled — è un territorio in cui è aumentata maggiormente la violenza. Storicamente erano le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, a tenere il controllo della regione, fino al grande accordo di pace del 2016. Poi l’Eln si è progressivamente espanso come pure il Clan del Golfo, organizzazione che possiamo definire narco-criminale. Il Chocó è abitato soprattutto da persone di origine afro-colombiana e popolazioni indigene, in una zona sostanzialmente con poche infrastrutture, in cui ci si muove soprattutto via fiume: ciò fa sì che queste rotte siano particolarmente “interessanti” per il mercato del narcotraffico e per quelli illegali del legno e dell’oro».
Scontri tra Eln e Clan del Golfo
Da due settimane, gli scontri nel dipartimento tra i guerriglieri dell’Eln e il cartello del Clan del Golfo, in particolare per il controllo del fiume San Juan, hanno provocato almeno 3.600 sfollati e bloccato più di 12.000 persone, secondo i dati delle autorità locali. «I gruppi armati del Chocó — fa notare Ferrari — non hanno assolutamente l’appoggio del tessuto sociale o di parte di esso: è una sorta di occupazione militare, in cui non c’è quasi contatto con la popolazione, se non per metterla in difficoltà con migrazioni forzate o come in questo caso con limitazioni al movimento o, in alternativa, con meccanismi come l’estorsione e il sequestro, che sono altri sistemi di finanziamento di questi gruppi».
Già giovedì scorso l’ufficio in Colombia dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani aveva lanciato un allarme sulla grave situazione nel dipartimento di Chocó, dove sono stati segnalati anche reclutamenti di minori e presenza di mine antiuomo. E la Chiesa locale, col vescovo di Istmina-Tadó, monsignor Mario de Jesús Álvarez, aveva chiesto di «accompagnare» e non lasciare «sole» le comunità locali. Il ricercatore dell’università Statale di Milano sottolinea poi un altro aspetto da analizzare. «Il Chocó è una regione di frontiera con Panamá e una parte di essa è interessata pure da un grande fenomeno di “controllo economico” del processo migratorio, dato che tantissimi dei migranti che si dirigono verso gli Stati Uniti devono passare per quest’area, in una tratta complicata che conduce alla foresta del Darién», un’area di fitta foresta infestata da bande criminali.
Stallo nei colloqui di pace
I guerriglieri, nella loro nota, hanno denunciato la «grave situazione umanitaria» del dipartimento di Chocó e l’«avanzata paramilitare» nell’area, attribuendone le «responsabilità» al governo di Bogotá, che pure ha inviato nella zona 150 soldati in supporto ai 340 già schierati e mobilitato diversi mezzi militari anfibi. «Sia i gruppi guerriglieri sia quelli paramilitari di fatto nell’azione territoriale agiscono allo stesso modo. Nel caso dell’Eln, c’è una matrice ideologica dietro la quale i guerriglieri cercano di giustificare le loro azioni come politiche, in realtà l’Eln, ancora più delle dissidenze delle Farc, ha perso questa vocazione politica soprattutto per la sua struttura molto decentralizzata, quindi magari il comandante può avere una visione politica ma di fatto le unità territoriali operano assolutamente come un esercito dedicato al controllo dei mercati criminali. Poi — prosegue — è vero che lo Stato è più assente in regioni come quella del Chocó: è un problema secolare, di lungo termine, da una parte legato a Stati-nazioni in America Latina che sono nati con frontiere immaginarie e da un’altra correlato al fatto che anche questo governo, che ha l’obiettivo di raggiungere ogni territorio, in realtà si sta rendendo conto progressivamente di non avere i mezzi o le capacità per farlo, proprio perché tante regioni sono totalmente in mano a gruppi armati».
Lo “sciopero armato” avviene peraltro quando negli ultimi mesi si è riacutizzato lo stallo nelle trattative di pace tra Bogotá ed Eln e si sono intensificati gli scontri tra i guerriglieri e i dissidenti delle disciolte Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) nella regione del Catatumbo, dove nelle ultime ore sono stati arrestati 14 combattenti. «Nel Catatumbo, altra regione di frontiera, in questo caso con il Venezuela, il conflitto è forse ancora più complesso, perché — ricorda Ferrari — è maggiormente immerso nel tessuto sociale: è una zona contadina con tantissimi coltivatori della pianta della coca, da cui poi si ricava la cocaina, e questo la rende particolarmente “attraente” per i due gruppi che si stanno contendendo il territorio».
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