Dipendenti pubblici, attese fino a 7 anni per la liquidazione: così si perdono quasi 12 mila euro

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di
Valentina Iorio

I lavoratori «che hanno subito un danno in seguito ai ritardi dell’erogazione del Tfs» dal 2011 a oggi sono circa 2 milioni, calcolano i sindacati. La perdita di potere d’acquisto è di 11.735 euro su un trattamento medio di 82.400 euro

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Ci possono volere fino a 7 anni prima che dipendente pubblico possa vedere la liquidazione. In due anni sono «2 miliardi e 157 milioni di euro sottratti ai lavoratori pubblici a causa del differimento del Trattamento di fine servizio (Tfs) e dell’inflazione», risorse che rappresentano una perdita anche per l’economia del Paese. «Si tratta a tutti gli effetti di una vera e propria appropriazione indebita da parte dello Stato», dicono Cgil e Uil insieme alle confederazioni del pubblico impiego Cgs, Cse, Cosmed, Cida, Codirp, che chiedono di «superare questo inaccettabile sequestro della liquidazione» ai danni dei dipendenti pubblici. La perdita di potere d’acquisto, a causa dell’inflazione degli ultimi anni, è di 11.735 euro su un trattamento medio di 82.400 euro, pari al 14.3% in meno.  I lavoratori «che hanno subito un danno in seguito ai ritardi dell’erogazione del Tfs» dal 2011 a oggi sono circa 2 milioni, calcolano i sindacati. L’occasione per fare un punto su questo tema è stato l’incontro interconfederale dedicato al differimento del Tfs/Tfr per i dipendenti pubblici che si è svolto lunedì 17 febbraio a Roma.

Il differimento del Tfs

Il meccanismo, introdotto nel 1997 dal governo Prodi per dare sollievo al Bilancio dello Stato, è stato inasprito nel 2010 dal governo Berlusconi. All’origine si prevedeva il pagamento differito del Tfs di dodici mesi dal momento dell’uscita per il raggiungimento dell’anzianità, e di due anni in tutti gli altri casi, e il differimento doveva essere temporaneo. Negli anni invece i tempi sono diventati via via più lunghi. Nel 2010 inoltre venne introdotta la rateizzazione delle liquidazioni differite, che oggi vengono pagate in tre anni se superano i 100 mila euro: uno sotto i 50 mila, due tra 50 e 100 mila.Questo ha finito per creare una disparità tra i dipendenti del privato che riescono a incassare il Tfr entro tre mesi e i dipendenti della Pubblica amministrazione che devono aspettare anni prima di vedere la liquidazione. Secondo la normativa attuale, il Trattamento di fine servizio ai dipendenti pubblici viene corrisposto dopo 12 mesi se il pensionamento è di vecchiaia, 24 mesi se il pensionamento è anticipato. Se l’importo del Tfs supera i 50 mila euro, scatta la rateizzazione e i tempi si allungano ulteriormente. Per chi lascia il lavoro con Quota 100-103, il pagamento può addirittura arrivare a 93 mesi.




















































L’allarme dei sindacati

«Il differimento del Tfs è una misura ingiustificata che, nel tempo, si è trasformata in una vera e propria penalizzazione strutturale-sequestro. Negli ultimi anni, inoltre, sono cresciuti i tempi di attesa per i dipendenti pubblici che hanno aderito ai fondi di previdenza complementare di tipo negoziale, tempi che sono passati da una media di 6 mesi fino agli oltre 15 mesi attuali, il tempo che impiega Inps per liquidare le somme alle lavoratrici e ai lavoratori. Sia per problemi tecnici e organizzativi sia, soprattutto, per carenza di organico», ha sottolineato Ezio Cigna della Cgil.  «Quasi 50.000 lavoratori hanno sottoscritto una petizione per chiedere una riforma immediata: un intervento legislativo non è più rinviabile. Bisogna aprire un confronto per sanare una discriminazione che penalizza la Pubblica amministrazione anche in termini di mancata attrattività», ha aggiunto Santo Biondo della Uil. «Il sequestro della liquidazione dei dipendenti pubblici sta duranto da 28 anni», ha ricordato Giorgio Cavallero della Cosmed. «Direttori, dirigenti, alti funzionari, professionisti pubblici, medici e docenti si trovano oggi penalizzati due volte: prima con una tassazione più elevata rispetto alla media, poi con un differimento della liquidazione che nega loro la disponibilità immediata di somme maturate in decenni di carriera», sottolinea Roberto Caruso, presidente Fp Cida.

La sentenza della Corte costituzionale

La sentenza 130/2023 della Corte costituzionale ha confermato l’incostituzionalità del differimento del Tfs affermando che «contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione», mentre la rateizzazione «aggrava il vulnus».

Gli effetti dell’innalzamento dell’età pensionabile

Le sigle sindacali, che hanno analizzato gli effetti del differimento del Tfs, evidenziano che anche l’innalzamento dell’età pensionabile avrà delle ricadute negative sul differimento. Per effetto dell’adeguamento del limite ordinamentale a 67 anni, introdotto con la legge di Bilancio 2025, «a partire dal 2026 inizieranno a manifestarsi risparmi per l’amministrazione pubblica, stimati in 339 milioni di euro nel decennio 2025-2034, ma a discapito di 76.300 lavoratori pubblici, che vedranno ulteriormente posticipato il loro diritto alla liquidazione», sottolineano i sindacati.

Il nodo delle risorse e le proposte 

Per garantire ai dipendenti pubblici di ottenere la liquidazione entro tre mesi, come avviene nel privato, servirebbero 3,8 miliardi. E proprio reperire queste risorse rimane il nodo principale. «Penso che la politica di qui ai prossimi mesi qualche risposta – forse non completa – la possa dare», ha affermato il presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto (FdI). L’opposizione chiede di aprire un tavolo al più presto. «Bisogna sanare un vulnus», ha sottolineato il deputato del M5s, Alfonso Colucci, primo firmatario della proposta di legge presentata nel 2023
per ridurre a massimo tre mesi i tempi di pagamento. «Dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale», è una priorità anche per il capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto. Anche il Civ dell’Inps concorda sulla necessità di intervenire, «sapendo che vi è una discriminazione e un danno concreto per i dipendenti pubblici dal punto di vista economico».

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