Due acronimi spesso confusi tra loro. Cosa sono il TFS e il TFR?
In entrambi i casi si fa riferimento a una quota di retribuzione maturata dal lavoratore durante il periodo di servizio e corrisposta in modo dilazionato al termine del rapporto lavorativo.
- Il trattamento di fine servizio è destinato ai dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato prima del 1° gennaio 2001. Si calcola prendendo l’80 per cento di un dodicesimo dell’ultima retribuzione annua lorda (RAL) e moltiplicandolo per gli anni di servizio.
- Il trattamento di fine rapporto o liquidazione è dovuto, invece, a tutti i lavoratori del settore privato e ai dipendenti pubblici assunti dopo il 1 gennaio 2001. Il datore di lavoro accantona ogni anno il 6,91% della RAL. La cifra viene poi rivalutata al 31 di dicembre con un incremento fisso (1,5%) e uno variabile, in base all’indice dei prezzi al consumo.
I tempi di erogazione variano in base al tipo di contratto e alle ragioni della cessazione. Nel settore privato il TFR viene accreditato, in genere, entro 30 o 45 giorni dall’interruzione. La normativa per il settore pubblico prevede, invece, che il TFS e il TFR vengano corrisposti dopo 12 mesi in caso di pensionamento per anzianità e dopo 24 mesi nei casi di pensionamento anticipato o dimissioni volontarie.
Nella pratica, però, alcuni dipendenti statali devono aspettare fino a sette anni per vedersi recapitare la liquidazione. I ritardi maggiori riguardano i dirigenti e i professionisti con RAL molto alte, a causa dell’attuale meccanismo di rateizzazione, che prevede il pagamento della liquidazione in due soluzioni annuali per importi tra i 50.000 e i 100.000 euro o, addirittura, tre soluzioni per importi superiori ai 100.000 euro.
Perché i ritardi non sono l’unico problema. Il nodo dell’inflazione
Sette sigle sindacali (Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Cordirp) si sono riunite nella giornata del 17 febbraio per discutere il problema del danno economico derivante dai ritardi nei pagamenti di TFS e TFR. Un’indagine della Cgil ha stimato, per gli anni 2022 e 2023, perdite comprese tra 17.958 e 41.290 euro per ciascun lavoratore. Il potere d’acquisto è stato eroso dalla rampante inflazione degli ultimi anni. In media, un dipendente con TFR di 82.400 euro, ha subito una perdita reale di 11.735 euro, pari al 14,2 per cento del valore originario. «Questa situazione rappresenta un vero e proprio furto per chi, dopo una vita di lavoro, è costretto a subire una discriminazione rispetto ai lavoratori del settore privato», ha commentato Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil.
Non solo norme penalizzanti e lentezza burocratica: secondo le sigle sindacali è anche la cronica carenza di personale dell’INPS a rallentare il processo di liquidazione.
Le soluzioni
Sulla questione TFR/TFS è intervenuta anche la Corte Costituzionale, in due distinte occasioni. Sia nel 2019 che nel 2023 ha dichiarato illegittimi i ritardi nell’erogazione, che rappresenterebbero una chiara violazione dei diritti dei lavoratori.
In Parlamento sono già state depositate varie proposte di legge. Una di queste, la n. 1254, porta la firma del parlamentare pentastellato Alfonso Colucci, che ne ha ricordato i punti fondamentali durante il convegno:
- accorciamento dei tempi di pagamento da 12 a 3 mesi per gli aventi diritto (invariato il termine di 24 mesi per le cessazioni anticipate)
- aumento delle soglie di rateizzazione, rispettivamente, da 50.000 e 100.000 a 63.600 euro e 127.200 euro.
La proposta di legge prevede un costo iniziale di 3,8 miliardi di euro ma il vantaggio sarebbe una progressiva riduzione della spesa negli anni successivi. Dal 2030 al 2033 si stima un risparmio di 1,08 miliardi di euro annui.
«È necessario evitare un approccio ideologico», ha continuato Colucci, «Tutte le forze politiche si devono muovere insieme per trovare una soluzione. Ciò deve avvenire prima che la Corte Costituzionale si pronunci ed emetta sentenza. In questo caso bisognerebbe pagare tutto e subito».
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