Il memoir di Dana Trant, pastora battista che è sopravvissuta a un’infanzia traumatica, con due genitori tossicodipendenti e spacciatori di droga

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Il ricordo d’infanzia preferito di Dana Trent, e anche il peggiore, sono i giri in bicicletta di mezzanotte con il padre e le cugine a Dana, nell’Indiana rurale: «tra le strade di quella città da dove tutti scappavano, mio padre ci raccontava la storia della nostra famiglia. Non c’è niente di più straziante che sentire un uomo rievocare le violenze subite durante l’infanzia dalla sella di una bicicletta». 

La 43enne Dana Trent, ora pastora battista e professoressa universitaria, racconta nel commovente memoir La scelta di Budgie (Il Pellegrino editore, pag. 304, euro 17) la sua storia di infanzia trascurata e negata, ma anche di tenacia e profondo amore. Perché Dana, detta Budgie, invece di giocare con bambole e trenini da bambina aiutava il padre, spacciatore affetto da schizofrenia, a sbriciolare marijuana con una lametta e a nascondere chili di droga in giostre per bambini, per consegnarla in tutti gli Stati Uniti. «Negli anni ‘80 la mia famiglia vendeva stupefacenti per conto di un grosso trafficante” racconta. “I miei genitori erano istruiti ma disoccupati e con problemi di salute mentale, così mio padre decise di trasformare la sua dipendenza per le droghe in un lavoro».

Dana bambina con il padre e la madre


Dana bambina con il padre e la madre



I genitori di Dana si conoscono in un ospedale psichiatrico dove entrambi lavorano; dopo aver “aver perso tutto” a Los Angeles tornano nell’Indiana, a vivere in una roulotte su un appezzamento invaso da erbacce e rifiuti. Lì nasce Budgie: «I miei primi ricordi sono la puzza di marijuana e le lamette sul tavolo della cucina. Papà, troppo impegnato per occuparsi di me, mi legava con il nastro adesivo le manine al biberon di latte e cacao. Sedevo accanto a lui tutto il giorno, respirando l’odore della marijuana, mentre mia madre fumava spinelli a letto guardando per ore i canali religiosi».

Il padre di Dana è una persona fragile, vittima da bambino delle violenze dei genitori e di un contesto sociale dove bisogna sopraffare l’altro per sopravvivere; per questo insegna alla figlia a non aver paura, a colpire prima di essere colpita. «Ma mi ha instillato anche un profondo senso di empatia verso il prossimo: gli veniva dall’aver lavorato con malati psichici. Un’empatia che però è mancata nei miei confronti, lasciandomi un disperato desiderio di essere accettata dagli altri e la difficoltà di saper riconoscere i miei bisogni». Come si sopravvive a un’infanzia che non è tale, come si diventa grandi senza essere mai stati davvero bambini? Dana trova conforto tra i banchi di scuola: “Era il mio rifugio, il luogo in cui nutrivo il corpo e la mente; lì gli adulti sembravano sapere come essere adulti e i bambini erano semplicemente bambini”. 

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Dana adolescente con il padre King.


Dana adolescente con il padre King.

La rottura improvvisa tra il padre e la madre apre un nuovo capitolo nella vita di Budgie, che vive la sua giovinezza con una madre malata e alcolista, ossessiva ma anche amorevole. È lei, infatti, a spingere Dana a studiare teologia all’università: «I miei genitori, a loro modo, erano molto religiosi. Dio è sempre stato presente nella mia vita: anche da piccola sentivo con grande chiarezza la sua vicinanza, che mi ha permesso di sopravvivere alla mia infanzia, e di perdonare».

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Quel che più colpisce in Dana Trent è infatti l’amore per i suoi genitori, nonostante tutto, e la capacità certosina di saper preservare alcuni ricordi: i giri in bici col padre, le discontinue attenzioni della madre, il calore della casa dei nonni. «La morte dei miei genitori, a distanza di pochi anni l’uno dall’altra, mi ha permesso di avere con loro una relazione diversa e di scrivere questo libro: ho voluto raccontare cosa fosse vivere davvero in un mondo orribile, sempre in bilico tra il caos e la sua assenza. Solo l’ironia mi ha permesso di affrontare la realtà: sono un’inguaribile ottimista, altrimenti non sarei qui».

 

Dana Trent oggi, 43 anni.


Dana Trent oggi, 43 anni.

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Dana pensa ancora ai suoi genitori, tutti i giorni. Meno, dice, da quando ha scritto il libro, come se fosse ormai al sicuro da quell’infanzia. Ogni giorno sperimenta su di sé la resilienza, «alzarsi dal letto e scegliere se dar spazio al risentimento o alla speranza». «Da piccola mi sentivo profondamente sola: per questo ora cerco sempre di coltivare i legami”-, e incontra bambini che attendono solo di essere guardati e amati». 
E se potesse parlare alla piccola Budgie di tanti anni fa, le direbbe «che la amo tanto, e che lei è molto, molto più forte di quanto pensi». 





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