Svimez, Pnrr nel Sud in ritardo

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Ma perché recuperare le informazioni sullo stato di avanzamento dei progetti del Pnrr è così difficile? Non dovrebbe essere di interesse collettivo sapere come vanno le cose così da poter intervenire là dove ce ne fosse bisogno? Ebbene, prima l’allora ministro Fitto, oggi il suo successore Tommaso Foti hanno “dimenticato” di dare gambe e braccia al “Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale”. Anzi, lo hanno praticamente soppresso benché fosse richiesto dall’Europa.

Ma si sa: Meloni e i suoi ministri hanno un rapporto “particolare” con le richieste di Bruxelles. Sta di fatto che per sapere come vanno le cose occorre affidarsi e fidarsi di centri di ricerca che, a propria volta, fanno fatica a trovare i dati da elaborare. Per fortuna ci pensa, tra gli altri, la Svimez, che da poco ha pubblicato un report su come stanno le cose nel Mezzogiorno

La trasparenza è necessaria

Più volte la Cgil, che di quel tavolo è parte, ha chiesto chiarezza e interlocuzione con le parti sociali. “La scarsa trasparenza sul Pnrr e l’assenza di confronto hanno caratterizzato l’agire ordinario del ministro Fitto”, spiega il segretario confederale Christian Ferrari: “La prima richiesta che abbiamo rivolto al ministro Foti, che lo ha sostituito, è stata di cambiare registro e di convocare rapidamente le parti sociali, anzitutto per fare il punto della situazione e concordare i correttivi necessari. Ma non è ancora avvenuto”.

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Scarsa informazione anche sul Sud

Tra gli obiettivi di Next Generation Eu, il progetto europeo da cui discendono i piani dei singoli Stati, vi erano – per l’Italia è corretto parlane al passato – la riduzione dei divari di genere, di generazione e territoriali. Proprio perché da noi questi divari sono particolarmente profondi, l’ammontare delle risorse destinate al nostro Paese è assai consistente. Ebbene, monitorare allora quante risorse vengono utilizzate dal Garigliano in giù è fondamentale.

“Occorre ricordare anzitutto – prosegue Ferrari – che il Governo Meloni ha deciso di non pubblicare più con cadenza semestrale le relazioni sull’applicazione della clausola secondo la quale le amministrazioni centrali coinvolte nell’attuazione del Pnrr devono assicurare che almeno il 40 per cento delle risorse allocabili territorialmente, indipendentemente dalla fonte finanziaria di provenienza, sia destinato alle Regioni del Mezzogiorno. L’ultima relazione, la terza, riguarda i dati al 31 dicembre 2022. Per questo è fondamentale il lavoro di analisi di Svimez sui dati scelti e filtrati dal governo, e pubblicati rapsodicamente sul sito di Italia domani”.

Cosa dice la Svimez

Purtroppo è cosa nota che una delle ragioni del divario tra Nord e Sud è la scarsità di infrastrutture materiali e immateriali nelle regioni meridionali. Basti pensare ai treni o alle autostrade. E non riguarda solo l’alta velocità, che pure si ferma a Salerno, ma anche i treni regionali o infraregionali, per non parlare delle strade della Basilicata o della Calabria. O delle ferrovie siciliane (altro che ponte di Messina). O ancora ospedali, case di comunità e asili nido, talmente pochi da mettere in discussione i diritti di cittadinanza di chi vive in quei territori.

Su questo, però, arriva una piccola buona notizia. Secondo l’Istituto, con questi fondi europei si comincia un riequilibrio tra le diverse aree territoriali. “Le risorse che il Pnrr destina alla realizzazione di lavori pubblici sono pari a 65 miliardi”, spiega la Svimez: “La quota di risorse Pnrr per interventi infrastrutturali è del 54,2 per cento nel Mezzogiorno (26,2 miliardi), di circa sei punti percentuali superiore al dato del Centro-Nord (48,5 per cento; 38,8 miliardi)”.

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E però….

Sì, perché un però esiste, e riguarda lo stato di realizzazioni delle opere. Siamo in ritardo, e non solo al Sud. Nel meridione forse lo si è di più, ma visto che alla scadenza del Piano manca poco più di un anno la preoccupazione dovrebbe non far dormire la notte il ministro Foti e la presidente del Consiglio Meloni. A leggere lo studio, poi, si scopre che i Comuni fanno meglio delle Regioni.

Meglio i Comuni

Ecco i numeri: “L’incidenza delle risorse a gestione dei Comuni per opere da realizzare nell’area è del 33,2 per cento nel Mezzogiorno e del 30,5 nel Centro-Nord. Anche dai valori pro capite risulta il maggiore sforzo attuativo a carico dei Comuni del Mezzogiorno: 440 euro di investimenti Pnrr per cittadino (302 euro il dato del Centro-Nord). Il dato relativo alle amministrazioni regionali è del 15 per cento nel Mezzogiorno e di circa il 12 nel Centro-Nord in termini di incidenza di risorse complessive; valutate in pro capite, le risorse a gestione delle regioni meridionali raggiungono 197 euro per cittadino (118 euro il dato del Centro-Nord)”.

Sud e Nord

Nonostante tutto, però, il confronto tra le diverse aree del Paese ci dice che, benché tutti i territori siano in ritardo, nel Sud lo si è di più. “A fine dicembre 2024, i Comuni meridionali hanno avviato lavori per 5,6 miliardi, il 64 per cento del valore complessivo degli investimenti a loro titolarità; per i Comuni del Centro-Nord il dato è di 9,7 miliardi, l’82,3 per centro delle risorse Pnrr”.

Alla stessa data, per le amministrazioni regionali meridionali risultano “avviati lavori per 1,9 miliardi di euro, il 50 per cento del valore complessivo degli investimenti Pnrr a loro titolarità. Il valore dei progetti avviati per quelle del Centro-Nord si attesta a 3,5 miliardi, quasi il 76 per cento delle risorse Pnrr”.

Perché questi ritardi?

“I ritardi nell’apertura dei cantieri – commenta la Svimez – riflettono le difficoltà incontrate dalle amministrazioni nella fase progettuale, in quella di accesso competitivo alle risorse, e nell’espletamento delle procedure amministrative preliminari all’apertura dei cantieri”. Insomma: aver depauperato la pubblica amministrazione di risorse, soprattutto umane, non è stata una scelta felice. Ed è bene ricordare che il blocco del turnover è una “invenzione” dell’allora Governo Berlusconi.

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Asili e infrastrutture scolastiche più avanti

A costruire “casa” per bimbi e bimbe si sta facendo più in fretta che a costruire quelle di comunità che dovranno garantire la sanità territoriale. Le prime sono competenza dei Comuni, le seconde delle Regioni. In realtà, in tutto il Paese la Missione 6 del Pnrr è quella più indietro.

“È proprio negli investimenti in sanità territoriale che le Regioni del Sud registrano i ritardi più preoccupanti”, chiarisce la Svimez: “Mentre per le linee di investimento per asili nido e infrastrutture scolastiche, le percentuali di mancato avviamento lavori a gestione dei Comuni del Sud sono significativamente più contenute e si riduce la forbice sui tempi di apertura dei cantieri rispetto al resto del Paese”.

Ritardi e preoccupazioni

Se l’analisi, nonostante la difficoltà a reperire le informazioni, è chiara, la questione più difficile è il che fare. A dire il vero qualche indicazione la Cgil l’ha data, ma Meloni è particolarmente restia ad ascoltare. “L’analisi di Svimez conferma alcune nostre valutazioni già espresse in passato”, riprende Ferrari: “Complessivamente, vi sono vistosi ritardi nell’attuazione degli investimenti, nonostante la robusta riprogrammazione del Pnrr avvenuta nel 2023. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha contribuito in maniera significativa alla ripresa del Mezzogiorno nella fase post Covid. Gli enti territoriali sono in evidente difficoltà per problemi legati alla capacità amministrativa, determinati sia dalla carenza di personale in generale sia dalla mancanza di specifiche professionalità. Nonostante tale situazione, soprattutto i Comuni stanno dimostrando una capacità di resilienza e di risposta davvero significativa”.

Attenzione a ciò che si fa

Diverse sono le questioni da tenere presente. In primo luogo occorre pensare a come affrontare i prossimi mesi, quelli che ci separano della scadenza del Piano. Ed è Svimez a lanciare un monito: nella prossima rimodulazione del Pnrr annunciata dal governo non bisogna replicare le scelte fatte con la precedente, ossia sottrarre investimenti destinati al riequilibrio territoriale indirizzando i fondi verso gli incentivi alle imprese che spendono più rapidamente.

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Ma esiste anche un’altra preoccupazione, che succederà dopo. “Ciò che più manca è la chiarezza delle prospettive del dopo Pnrr, rispetto agli investimenti che si stanno attuando”, conclude Ferrari: “È certamente vero che, non solo per il Meridione, ma per l’intero Paese, senza le risorse del Piano la recessione sarebbe già realtà. Ma l’ambizione con cui il Pnrr è stato varato era molto più alta: trasformare in profondità l’Italia, riducendo in maniera strutturale i divari territoriali e le diseguaglianze sociali, e migliorando le condizioni di lavoro e di vita delle donne e delle nuove generazioni. Tutto ciò non sta avvenendo, e quando i fondi europei saranno esauriti, i rischi per la nostra economia e per il sistema produttivo nazionale saranno ancora più gravi di oggi”.



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