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D.Lgs. 117/2017 conferma la compatibilità verso tutte le destinazioni d’uso a livello urbanistico
In pochi sapranno che agli Enti del (cosiddetto) Terzo Settore (ETS) non sono posti vincoli o limitazioni stringenti nella scelta della destinazione d’uso dei locali in cui svolgere l’attività, per i quali si invita tuttavia alla massima cautela verso le tante normative di settore aventi incidenza edilizia e urbanistica. Intanto partiamo dalla definizione e inquadramento dell’attività di ETS, espressamente prevista dall’articolo 4 comma 1 del vigente D.Lgs. 117/2017:
1. sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore.
Un esempio potrebbe essere l’attività ricreativo e tempo libero, ascrivibile in forma di circolo privato. All’interno dello stesso decreto legislativo è disciplinato il regime semplificato di mutamentoi destinazione d’uso riservato soltanto a questi enti, definito dall’articolo 71:
«1. Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.».
Si tratta sostanzialmente dello stesso previgente regime di favore riservato alle associazioni di promozione sociale tramite l’abrogata L. 383/2000. Anche la vigente versione semplificatrice del D.Lgs. 117/2017 mantiene una definizione con ampio respiro liberalizzatore, rimuovendo a questi enti determinati vincoli dettati dalle discipline funzionali dei locali e delle zone in cui collocarsi; questo speciale regime derogatorio ha consentito una maggiore libertà di ubicazione e avviamento per questo tipo di attività. La loro dislocazione è stata ritenuta compatibile con tutte le «destinazioni d’uso omogenee del D.M. 1444/68», ovvero più correttamente le zone territoriali omogenee di cui all’art. 2 del medesimo decreto, pertanto su tutto il territorio (vincoli e norme di settore a parte, naturalmente).
Questa disposizione intende favorire e promuovere le attività private di interesse pubblico, riconoscendo una sorta di “compatibilità ex lege” delle sedi e dei locali di questi enti con qualsiasi zona omogenea del piano regolatore e con qualsiasi destinazione d’uso (Cass. Pen. 24077/2024); ciò, tuttavia, non consente di affermare l’esistenza di una deroga generalizzata alle altre disposizioni in materia edilizia, con particolare riferimento ai titoli abilitativi ed alla disciplina in tema di sicurezza e di sanità, dunque evidentemente da rispettare (tra le molte, TAR Lazio, sezione di Latina, n. 607 del 2023; TAR Toscana, n. 235 del 2019). Anche il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1737 del 2021 (ancora richiamata nell’ordinanza), ha affermato con chiarezza che l’art. 71 in oggetto “non coincide con una disposizione urbanistica stricto sensu, non avendo a oggetto il governo o la regolazione del territorio in sé; si limita piuttosto a prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie di soggetti, non già a disciplinare l’uso del territorio in quanto tale. In tale prospettiva, l’esenzione dal regime ordinario costituisce un’agevolazione soggettiva a beneficio degli Ets e della loro attività, come tale ben rientrante nel quadro delle finalità di sostegno e incentivo perseguite dalla legge a norma degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 117 del 2017; ma non è ascrivibile a tale disposizione una natura urbanistica vera e propria, non investendo essa il governo del territorio come tale.” In altri termini, l’art. 71 in esame favorisce le attività del Terzo settore garantendone una più agevole collocazione territoriale, al fine di sollecitarne una omogenea distribuzione sulle diverse aree del Paese, dunque inerisce al “dove”, senza, però, ammettere o giustificare alcuna deroga sul “come”, che pertanto rimane assoggettato alla disciplina ordinaria. Diversamente, si configurerebbe un’irragionevole disparità di trattamento con l’attività edilizia realizzata da altri soggetti privati, suscettibile di evidenti dubbi di legittimità costituzionale (Cass. Pen. 24077/2024).
Inoltre è importante sollevare l’esclusione di quelle possibili forme di attività produttiva o di tipo produttivo, in quanto probabili fonte di emissioni e disturbo al loro intorno. La norma presuppone espressamente come condizione al regime “agevolato” di cui all’art. 71 cit., l’iscrizione nel registro unico nazionale del Terzo Settore: di conseguenza, in difetto della predetta iscrizione non si può legittimamente invocare tale la disposizione.
Tuttavia, in presenza dei necessari presupposti espressi sopra, la collocazione di attività E.T.S. non comporta un cambio di destinazione d’uso “proprio”: in senso analogo si è espresso il Consiglio di Stato con riferimento alla stessa normativa previgente L. 383/2000 (vedi Consiglio di Stato n. 3170/2015).
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