Immagine elaborata da AI
Il capitalismo globale si ricompone oltre le etichette: Musk e Gates, destra e sinistra, condividono la visione di uno Stato privatizzato e di una democrazia svuotata. Il potere economico detta le regole, mentre l’opposizione si smarrisce tra indignazione borghese e culto dell’imprenditore.
Reazionari a confronto: Elon Musk, Bill Gates e il nuovo capitalismo
C’è grande attenzione nel variegato mondo progressista sulle modalità con cui si deve contestare l’avanzata dell’internazionale bruna, ormai irrobustita, tra Usa ed Europa, dagli encomiabili sforzi diplomatici dell’oligarca Elon Musk.
Il rischio al quale si potrebbe incorrere è quello di sfibrare il consenso alle ragioni ancestrali dell’Occidente, ribadite e romanzate meticolosamente, in questi anni di guerre, per celebrare la dignità intellettuale della violenza bellica.
Ci si deve muovere delicatamente, con concentrazione da equilibristi, e non provocare cadute di stile, assecondando, magari, contestazioni sociali e di classe che potrebbero mettere in crisi il consenso diffuso al discorso capitalista.
Più consona al modello della civiltà postmoderna una campagna di indignazione civile, di sdegno accigliato portato da quei capitalisti e dai loro cortigiani messi sorprendentemente all’angolo dall’improvviso cambio di rotta alla guida dell’impero. È il caso di Bill Gates.
Il tycoon, ovviamente, neanche si sogna di essere stato messo in disparte semplicemente perché gode di troppa fama scaturita dagli imponenti business contratti; ma il gotha dell’informazione professionale così vuol presentare la faccenda: una disfida tra sensibilità imprenditoriali, tra colossi multinazionali.
Una questione, dunque, tutta interna alle logiche di potenza del capitale, che non devono in alcun modo essere intaccate.
In Italia, per indicare la linea politica corretta, interviene colui che è stato internazionalmente designato quale megafono autentico di questa poetica, il cavalier servente Fabio Fazio.
Il mezzo è un’intervista apologetica corredata da parabole e curiosità sull’infanzia santificata del nostro coraggioso eroe. “Gates non è solo capace di vedere il futuro, ma di dargli forma”. Con questo tono incalzante il multimiliardario può presentare, in tranquillità, il proprio manifesto ideologico e assecondare il culto della propria personalità. Inutile negare che sì, è un visionario, ma non solo.
È la dimostrazione vivente che la caparbietà personale paga e grazie a essa l’IA oltrepasserà i confini della scienza. Inoltre, è per merito della sua fondazione che “i bambini non muoiono di fame”.
Nulla di nuovo dunque. La tenacia individuale rappresenta il canone di riferimento per il successo e le fondazioni private hanno le credenziali per governare gli esseri umani senza alcuna intermediazione politica. Merito competitivo e privatizzazione delle istituzioni.
Questo, in soldoni, il programma ideologico di Bill Gates. Ma, sorpresa delle sorprese, è lo stesso di Trump e di Elon Musk. Pressoché indistinguibile. Senza pudori il padrone di Microsoft lo ammette, quando risponde alla domanda sul futuro degli Stati Uniti corredata dall’augurio nel vederlo un giorno presidente: “io parlo con Trump e mi sono offerto di aiutarlo”.
Perché, tutto sommato, questa sostituzione tra finanza e politica appare operazione virtuosa e un cambio di rotta positivo, altro che dissonanze.
L’internazionale bruna e quella della società aperta concordano su un aspetto essenziale del prossimo futuro e fanno fatica a nascondere questa affinità elettiva. Le istituzioni politiche non devono più essere controllate da estranei e sottoposte alle formalità democratiche. È stato un processo lento ma implacabile quello della spoliazione democratica.
I privati hanno progressivamente occupato lo Stato e monopolizzato costituzionalmente l’indirizzo politico. In Europa il nemico da soffocare erano le costituzioni, negli Usa il New Deal. Pian piano il capitalismo si è liberato delle vecchie norme che consigliavano giustizia sociale e ha introdotto il principio della giustizia di mercato a piedistallo giuridico della legislazione internazionale.
La destra ha solo capito che i tempi erano maturi per un’accelerazione, per un’impennata al progetto oligarchico condiviso con i liberal: il bipolarismo, la governabilità, gli sbarramenti elettorali, il maggioritario, le commissioni accentrate dai tecnici.
Il popolo, confuso dalla gabbia della globalizzazione finanziaria, non vuole più sotterfugi, non ama chiaroscuri; preferisce l’impeto sfacciato dell’imprenditore sovversivo alle paternali borghesi falsamente accondiscendenti.
Vuole quella tonalità discorsiva perché, nella sua volgare virulenza, intravede un riscatto culturale, una riconsiderazione sociale perduta con la narrativa sulla dedizione virtuosa dell’uomo vincente che si sacrifica meritando stima, considerazione sociale e attenzione mediatica.
Ma la concordanza tra le due fazioni è ben circoscritta dalle parole di Bill Gates e risiede nell’immaginario sul totalitarismo d’impresa della Silicon Valley. L’avanzata di una cultura accecata da un libertarismo utopico in grado di dosare irriverenza e noncuranza nei confronti delle istituzioni politiche, di sbeffeggiare il conflitto sociale, ha accomunato i progetti reconditi delle destre e delle sinistre occidentali. U
na razionalità tecno-scientifica che spinge il metodo d’impresa all’onnipotenza e che monopolizza le capacità di definire concetti quali “bene”, “felicità”, “futuro” tutti assoggettati all’ordine del capitalismo digitale e tecnologico. Di fronte a questa rivoluzione della semantica non può sorprendere la guerra dichiarata alla politica democratica che soffocherebbe lo spirito creativo e imprenditoriale dell’essere umano.
Lo Stato privatizzato ha il preciso compito pedagogico di coltivare la spontaneità individuale, mezzo con cui si potrà pensare al futuro senza alcuna costrizione morale e vivere esclusivamente in un ossessionante presente denso di produttività e consumo.
La versione della Open Society, condensata nei ragionamenti di Bill Gates, ha, da qualche decennio, attirato anche la sinistra radicale nella weltanschauung capitalista. Proprio le suggestioni libertarie di un ceto mediamente istruito e professionale hanno progressivamente spostato il terreno del conflitto dalle rivendicazioni di classe a un piano espressivo e di emancipazione individuale.
Da qui la malia antagonista per lo spirito imprenditoriale, sul quale si è costruita la rete più profonda dei centri sociali, e per una controcultura rivestita da un americanismo spicciolo e fumettistico.
Un reticolato di attivismo postmoderno, sollecitato da un dissenso spiccatamente intellettuale dove la logica del desiderio ha caratterizzato le peculiarità delle rivendicazioni.
Partecipare sì, ma sempre a titolo personale, nel rifiuto assoluto della delega e della struttura militante, del programma e della strategia politica; per un situazionismo estemporaneo che dissacrava tutto il passato e, con esso, anche il marxismo. Si consolidava la società civile, quel soggetto sociale capace di interpretare alla perfezione il sentimento di indignazione del borghese istruito, ciclicamente attratto da vecchi e nuovi moralismi.
Al contrario, la vera opposizione al modello capitalista dell’internazionale bruna e della società aperta non può non concepire la conquista dello Stato. E non può non passare per un riscatto reale delle classi subalterne che ancora oggi rappresentano la maggioranza degli esseri umani, anche nel civilizzato Occidente.
E il vero antidoto alla dittatura dello spirito d’impresa va costruito in una prospettiva socialista. Ma questo lo sanno bene sia Elon Musk che Bill Gates. E con loro tutti gli anchormen di grido specializzati in ossequiosi colloqui agiografici.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link